In materia di distanze tra fabbricati, sono principi inderogabili della legislazione statale sul governo del territorio (ai sensi degli artt. 873 Cod. civ. e 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, applicativo dell’art. 41 quinquies L. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dall’art. 17 L. 6 agosto 1967 n. 765) quelli secondo i quali la distanza minima è determinata dalla legge statale, in sede locale (entro limiti di ragionevolezza) si possono solo fissare limiti maggiori e le deroghe locali devono essere previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati.
La possibilità di costruire sul confine è consentita soltanto se vi è la possibilità di costruire in aderenza rispetto ad un fabbricato già edificato e non laddove il fabbricato già esistente non sia stato costruito sul confine, ma discosto da esso (Cons. St., Sez. V, 27 aprile 2012, n. 2458; Id., 13 gennaio 2004, n. 46). Al suddetto precetto soggiacciono anche le costruzioni destinate a ricovero per autovetture: la tettoia di dimensioni sufficienti al parcheggio di un’autovettura, pur avendo pareti laterali a graticcio, va considerata alla stregua di una costruzione col conseguente obbligo di osservanza delle distanze legali ai sensi dell’art. 873 Cod. civ., in quanto essa è idonea a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà” (Cons. St., Sez. II, 10 novembre 2004, n. 3523).
In tema di distanze legali, integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione e irrilevante ai fini del calcolo delle distanze legali, soltanto l’opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali della costruzione medesima” (Cons. St., Sez. IV, 15 gennaio 2013, n. 223) e tale non può considerarsi il balcone che non si connoti per una mera funzionalità decorativa: ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell’igiene” (Cons. St., Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7731; Id., 14 ottobre 1998, n. 1467).
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 4 febbraio – 13 marzo 2014, n. 1272
Presidente Pajno – Estensore Tarantino
Fatto
1. Gli appelli 8146 del 2002 e n. 8672 del 2002 devono essere riuniti, perché proposti entrambi contra la sentenza T.a.r. Lombardia – Milano, Sezione II, n. 1194/2002, con la quale il primo Giudice in data 23 marzo 2002 accoglieva il ricorso principale, respingeva in parte ed in parte dichiarava inammissibile il ricorso incidentale.
2. Nella ricostruzione della vicenda va chiarito che il ricorso di prime cure, spiegato dall’odierno appellato, tendeva all’annullamento della concessione edilizia 14 novembre 1996, n. 43/96, rilasciata agli originari controinteressati ed in subordine dell’art. 45.9 del regolamento edilizio del comune di Rho. Il ricorso incidentale di primo grado dei Sig.ri Allievi, invece, era volto ad ottenere l’annullamento dell’art. 29 NTA, e dell’art. 45.9 del regolamento edilizio del comune di Rho, nella parte in cui non consentivano la realizzazione di parcheggi a pertinenza delle unità immobiliari in deroga al p.r.g. e del provvedimento con cui il comune aveva ad assentire la costruzione di box a favore del ricorrente principale su confine di proprietà.
3. La sentenza oggetto di gravame riteneva, come detto, fosse fondato il ricorso principale, perché l’art. 45.9 del regolamento edilizio del comune di Rho, nella parte in cui consentiva la realizzazione di box auto sul confine di proprietà in aderenza di quanto già edificato, era violativo dell’art. 873 c.c., non rispettando la distanza di 3 mt. di distanza, ivi indicata. Mentre, era legittimo nella parte in cui non consentiva la realizzazione di parcheggi a pertinenza delle unità immobiliari in deroga al p.r.g., così conformandosi a quanto prescritto dall’art. 873 c.c. e dal d.m. 1444/1968.
3.1. Del pari, il TAR riteneva legittimo l’art. 29 NTA, perché conforme alla disciplina sulle distanze, dal ché faceva derivare la parziale infondatezza del ricorso incidentale, che, nella misura in cui impugnava il provvedimento con cui il comune ebbe ad assentire la costruzione di box a favore del ricorrente principale su confine di proprietà, veniva dichiarato inammissibile, perché generico nelle censure che inoltre non consentivano di comprendere l’epoca di realizzazione del box.
4. Con atto d’appello n. 8146 del 2002, il Comune di Rho invoca la riforma della sentenza di primo grado, sostenendo, da un lato, l’inammissibilità del ricorso, perché i motivi avrebbero riguardato solo parte delle opere realizzate a seguito della concessione, ma non quella relativa alla demolizione di due dei tre rustici ed all’ampliamento del fabbricato esistente. Inoltre il ricorrente non avrebbe interesse, perché: a) il corpo di fabbrica in ampliamento sarebbe distante dalla sua proprietà; b) la concessione prevede la demolizione di tre manufatti, ma non la loro successiva ricostruzione; c) solo tre dei sette box sarebbero sul confine di proprietà del ricorrente. Dall’altro, ritiene che il ricorso sia infondato, perché l’art. 45.9 regolamento edilizio sarebbe legittimo, atteso che sia l’art. 873 che l’art. 877 c.c. consentirebbero di costruire in aderenza. In ogni caso il progetto rispetterebbe la distanza di mt. 3, non potendosi computare anche il balcone del fabbricato dell’appellato.
5. Costituitosi in giudizio l’appellato, per un verso, sostiene l’inammissibilità dell’appello del Comune, atteso che: a) nel nuovo regolamento edilizio non sarebbe più presente una norma quale quella dell’art. 45.9; b) per un periodo superiore a 2 anni il Comune appellante non avrebbe posto in essere alcun atto di procedura, quindi, varrebbe il disposto dell’art. 40 r.d. 1054/1924, e dell’art. 45 r.d. 642/1907, ratione temporis vigenti. Per altro verso, ne deduce l’infondatezza, in quanto il TAR avrebbe annullato la concessione solo nella parte in cui autorizzava la realizzazione dei tre box. Inoltre, perché la residenza dell’appellato, realizzata nel 1961, sarebbe a mt. 2 dal confine, tanto che a tal fine avanza istanza di verificazione. Quanto al computo del balcone nella misurazione delle distanze lo stesso art. 45.8 del regolamento edilizio non più vigente prevedeva espressamente che si calcolasse dalla massima parete in aggetto.
6. Nelle successive difese l’amministrazione comunale replica che vi è interesse del Comune per evitare eventuali rivalse. Ancora, in data 30 ottobre 2002 il Comune depositava istanza di fissazione udienza, impedendo il verificarsi dell’ipotesi di cui all’art. 40 r.d. 1054/1924. Inoltre, i tre box disterebbero oltre tre metri dal confine. Né varrebbe il dettato dell’art. 45.8 regolamento edilizio abrogato perché un balcone non sarebbe una parete in aggetto.
7. Con appello autonomo il Sig. Allievi impugna la stessa sentenza, dolendosi della sua erroneità nella misura in cui: a) ha annullato in toto la concessione edilizia; b) non ha colto che la distanza di tre mt. sarebbe stata rispettata e che, anche se così non fosse, varrebbe la disciplina contenuta nell’art. 9, l. n. 122/89; c) non accoglieva il ricorso incidentale di primo grado, senza spiegare, però, perché l’art. 45.9 del regolamento edilizio non potesse leggersi alla luce del citato art. 9; d) valutava le censure residue come generiche.
8. L’appellato nelle proprie difese giunge a conclusioni speculari rispetto a quelle rassegnate dall’appellante, precisando, inoltre, che non sarebbe provata la pertinenzialità dei box alle unità immobiliari anche in relazione al loro numero, sicché mancando un vincolo di stretta pertinenzialità non si potrebbe applicare la disciplina contenuta nell’art. 9, l. 122/89.
DIRITTO
1. Gli appelli sono infondato e meritano di essere respinti.
2. Preliminarmente, appare opportuno delimitare il decisum del primo Giudice, questi, infatti, con la sentenza oggetto di gravame, rilevata la violazione della disciplina sulle distanze, annullava i provvedimenti impugnati solo nella parte in cui autorizzavano la realizzazione di tre box a confine con la proprietà dell’appellato. Una conclusione di tal fatta si desume non solo dalla motivazione della sentenza di prime cure, ma anche dalle difese dello stesso appellato. In questi termini, al riguardo, si esprime la memoria dell’appellato depositata il 3 gennaio 2014 alla pag. 8: “Certamente, il TAR Lombardia non ha annullato integralmente la concessione edilizia impugnata…ma solo la concessione edilizia nella parte in cui ha assentito la edificazione dei boxes a confine”. Pertanto, le doglianze proposte in entrambi gli appelli sono destituite di fondamento, sicché l’unica censura apprezzabile proposta dall’amministrazione comunale appellante è quella relativa alla corretta applicazione nella fattispecie della disciplina sulle distanze, mentre, in relazione all’appello degli originari controinteressati le censure alle quali occorre fornire ancora risposta sono solo quelle riportate nella parte in fatto sub 7 da b) a d).
3. Quanto alla lamentata erroneità della sentenza di primo grado circa la non corretta esegesi della disciplina delle distanze che avrebbe condotto il TAR all’erroneo annullamento nei limiti sopra indicati della concessione edilizia 14 novembre 1996, n. 43/96 e dell’art. 45.9 del regolamento edilizio del comune di Rho, non può convenirsi con le tesi proposte in entrambi i gravami. Appare, infatti, corretta la ricostruzione giuridica offerta dal TAR per la Lombardia, che ha rilevato il contrasto insanabile tra il citato art. 45.9 del regolamento edilizio e l’art. 873 c.c., la cui portata precettiva è stata chiaramente indicata da Corte cost., 16 giugno 2005, n. 232: “In materia di distanze tra fabbricati, sono principi inderogabili della legislazione statale sul governo del territorio (ai sensi degli artt. 873 Cod. civ. e 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, applicativo dell’art. 41 quinquies L. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dall’art. 17 L. 6 agosto 1967 n. 765) quelli secondo i quali la distanza minima è determinata dalla legge statale, in sede locale (entro limiti di ragionevolezza) si possono solo fissare limiti maggiori e le deroghe locali devono essere previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio e non ai rapporti tra vicini isolatamente considerati; pertanto, è incostituzionale, per violazione dei detti principi, l’art. 50 comma 8 lett. c) L. reg. Veneto 23 aprile 2004 n. 11, che disciplina le distanze solo in funzione degli interessi privati, autorizzando il confinante a costruire a distanza inferiore a quella prescritta, salva la distanza dal confine, quando un fabbricato finitimo già esistente sia stato posto, rispetto al medesimo confine, a distanza inferiore dai limiti in atto vigenti, pur se legittimamente all’epoca dell’edificazione”. Pertanto, la possibilità di costruire sul confine è consentita soltanto se vi è la possibilità di costruire in aderenza rispetto ad un fabbricato già edificato e non laddove il fabbricato già esistente non sia stato costruito sul confine, ma discosto da esso (Cons. St., Sez. V, 27 aprile 2012, n. 2458; Id., 13 gennaio 2004, n. 46), ma dall’esame documentale si apprezza che i box in questione verrebbero realizzati in aderenza alla rete metallica che separa le due proprietà. Al suddetto precetto soggiacciono anche le costruzioni destinate a ricovero per autovetture, come ha già avuto modo di chiarire questo Consiglio, precisando che persino: “La tettoia di dimensioni sufficienti al parcheggio di un’autovettura, pur avendo pareti laterali a graticcio, va considerata alla stregua di una costruzione col conseguente obbligo di osservanza delle distanze legali ai sensi dell’art. 873 Cod. civ., in quanto essa è idonea a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà” (Cons. St., Sez. II, 10 novembre 2004, n. 3523).
3.1. Neanche coglie nel segno l’appello dell’amministrazione comunale nella parte in cui sostiene che nel computo delle distanze non potrebbero calcolarsi i balconi. Milita in senso contrario l’orientamento consolidato del Consiglio di Stato, secondo il quale: “In tema di distanze legali, integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione e irrilevante ai fini del calcolo delle distanze legali, soltanto l’opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali della costruzione medesima” (Cons. St., Sez. IV, 15 gennaio 2013, n. 223) e tale non può considerarsi il balcone che non si connoti per una mera funzionalità decorativa: “Ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell’igiene” (Cons. St., Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7731; Id., 14 ottobre 1998, n. 1467).
4. In relazione alla portata derogatoria dell’art. 9, l. n. 122/89, che a giudizio degli originari controinteressati non sarebbe stata tenuta nel dovuto conto dal primo Giudice, non può convenirsi con quanto dedotto, perché la norma citata stabilisce che: “I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici”. Si tratta di una disposizione che prevede una deroga alla disciplina sulle distanze solo in ragione della stretta pertinenzialità che deve avvincere i parcheggi in questione alle singole unità immobiliari. Pertinenzialità che, se non deve avere uno stretto legame materiale, deve però caratterizzarsi per uno stretto legame giuridico (Cons. St., Sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3456; Id. Sez. VI, 17 febbraio 2003, n. 844), come già precisato da Cons. St., Sez. IV, 31 marzo 2010, n. 1842: “La locuzione “aree pertinenziali esterne”, riferita dall’art. 9 L. 24 marzo 1989 n. 122 alla possibilità di costruire parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, non presuppone una relazione di pertinenzialità “materiale”, evocante un rapporto di immediata contiguità fisica tra il fabbricato principale e l’area esterna asservita (sottostante, interna o esterna), ma fa piuttosto riferimento ad una nozione giuridica di pertinenzialità tra ciascun singolo posto auto ed una specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra essi un nesso di inscindibilità in forza del quale di essi non possa più disporsi separatamente, potendo quindi anche non preesistere all’intervento ed essere creato solo in un momento successivo alla realizzazione del parcheggio”. Nella fattispecie una simile situazione non appare rinvenibile, atteso che esistono già una pluralità di box a servizio del fabbricato degli originari controinteressati, sicché quell’esigenza di fornire ogni unità immobiliare di un posto auto, che giustifica la deroga alla disciplina sulle distanze, non può rinvenirsi.
5. Da ultimo, non si può accogliere la censura proposta dagli originari controinteressati in ordine al capo della sentenza gravata che ha ritenuto di non esaminare le residue censure introdotte con il ricorso incidentale attesa la loro genericità. Infatti, il vizio in questione risulta reiterato anche in sede d’appello, non risultando forniti all’odierno giudicante nelle pagine 11 e 12 del suddetto gravame adeguati elementi in fatto e in diritto per poter dedurre la presenza di uno o più quesiti ai quali fornire risposta.
6. Appare giocoforza, pertanto, respingere entrambi gli appelli in esame.
7. Nella complessità delle questioni trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 8146 del 2002 e sull’appello n. 8672 del 2002, come in epigrafe proposti, li rigetta.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.