Per decoro architettonico condominiale, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 cod. civ., deve intendersi l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia.

L’alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l’originario aspetto anche, soltanto, di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di riflettersi sull’insieme dell’aspetto dello stabile.

Va anche osservato che l’indagine volta a stabilire se, in concreto, un’innovazione determini o meno l’alterazione del decoro di un determinato fabbricato è demandata al giudice di merito il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato.
E’patrimonio culturale dell’uomo comune ritenere che la trasformazione di un balcone in veranda eseguita mediante chiusura in alluminio e vetri comporti, comunque, un’alterazione dell’armonia cromatica della facciata dell’intero fabbricato, tanto da poter pensare che per escludere la naturale alterazione del decoro architettonico del fabbricato sarebbe stato necessario dimostrare che quell’innovazione non avesse comportato una alterazione o modificazione del decoro del fabbricato.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 giugno – 4 dicembre 2013, n. 27224
Presidente Triola – Relatore Scalisi

Svolgimento del processo

F.G. , C.D. e C.M. convenivano in giudizio B.I. e S.F. davanti al Tribunale di Arezzo per ivi sentire dichiarare che i convenuti transitavano illegittimamente con i propri mezzi nel tratto di proprietà comune fiancheggiante l’edificio condominiale costituto al piano terra dal loro appartamento e al primo piano da quello di B. – S. . Ritenevano gli attori che il transito di cui si dice fosse esercizio di un diritto di servitù senza titolo aggravamento della stessa e indebito utilizzo della cosa comune.
A questa domanda si opponevano i coniugi B. , eccependo l’infondatezza in diritto.
Oltre a queste istanze processuali va detto che gli attori in primo grado avevano introdotte altre domande, a) gli attori avevano chiesto: che venisse ordinato ai convenuti il ripristino della veranda al loro piano che era stata costruita senza il consenso degli attori e con aumento di volume e variazione prospettica di fabbricato, b) i convenuti chiedevano che venisse ripristinata la finestra porta realizzata da controparte nella struttura perimetrale dell’edificio; che si provvedesse all’eliminazione della canna fumaria da loro installata in detta struttura, che il locale caldaia di loro proprietà venisse liberato da quanto ivi immesso dagli attori.
Il Tribunale di Arezzo accoglieva la domanda attrice in ordine all’inibizione ai convenuti del transito sulla parte del cortile comune, perché si trattava di una limitazione illegittima dell’uso della cosa comune, e condannava i convenuti a titolo di risarcimento danni a corrispondere agli attori la somma di Euro 2.500,00.
Respingeva, invece, la domanda dei convenuti.
Avverso questa sentenza proponeva appello I..B. e F..S. .
E la Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 1407 accoglieva l’appello principale e l’appello incidentale spiegato da F. e C. , e in riforma della sentenza di primo grado dichiarava il diritto di I..B. e F..S. di transitare, anche, con veicoli sul predetto cortile.
Condannava B. e S. a ridurre in pristino la terrazza da loro trasformata in veranda sul fabbricato condominiale, confermava nel resto la sentenza impugnata. Compensava le spese. Secondo la Corte fiorentina il transito con veicoli da parte degli appellanti sul cortile comune era legittimo perché conforme sia all’uso consentito naturaliter, sia perché il bene comune consentiva tale tipo di transito data l’ampiezza della striscia del terreno e, ancora, sia perché il transito dei veicoli non creava alcuna situazione di pericolo, posto che il fabbricato era circondato da un ampio marciapiede. La terrazza trasformata dai B. e S. in veranda era illegittima perché, non solo non era stata costruita con il consenso degli altri condomini (F. , C. ), ma aveva determinato una variazione prospettica per l’intero edificio.
La Cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B.I. e S.F. per un motivo, illustrato con memoria. F.G. e C.D. e M. hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo di ricorso I..B. e S.F. lamentano la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3 e 5 cpc, art. 115 cpc, art. 116 cpc, art. 111 Cost., art. 1120 cc, art. 1362 cc. e segg., art. 2697 cc. e segg..
Nonché l’omessa motivazione di fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In via preliminare i ricorrenti specificano che con il presente ricorso intendono impugnare dinnanzi a questa Corte Suprema solo la decisione che riguarda la chiusura della veranda, essendo questa più che altra parte della decisione giuridicamente inaccettabile e non corretta sul piano della motivazione e contrastante con l’art. 1120 cod. civ..
a) Intanto, secondo i ricorrenti, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale gli attuali ricorrenti (appellanti) avevano contestato la scarsa concisione, ma non anche la fondatezza del giudizio tecnico espresso dal CTU, laddove aveva affermato che la chiusura della veranda sul suo lato esterno aveva determinato un aumento di volume e variazione prospettica per l’intero edificio, sarebbe inaccettabile perché il giudizio del CTU era stato puntualmente contestato e specificamente con la memoria di replica alla conclusionale di controparte, atto utile per tale incombenza.
b) La sentenza impugnata, sempre secondo i ricorrenti, avrebbe affermato ma non anche dimostrato, come avrebbe dovuto fare, che la chiusura della veranda integrasse gli estremi di una lesione del decoro architettonico dell’immobile, senza tener conto che il pregiudizio al decoro architettonico non poteva essere presunto, né tanto meno desunto dall’aumento di volume.
Piuttosto l’accertamento della lesione va effettuato caso per caso tenendo conto delle caratteristiche dell’edificio, dell’entità della lesione, del pregiudizio ad essa derivante, degli eventuali effetti compensativi. Pertanto, ritengono i ricorrenti, mancando nel caso specifico la predetta disamina essendosi desunta la lesione al decoro architettonico in via automatica per derivazione diretta dalla variazione prospettica, per altro a sua volta né argomentata né identificata, si deve ritenere che il percorso logico della sentenza è giuridicamente scorretto e contrastante con il dettato di cui all’art. 1120 cc..
Ciò posto, concludono i ricorrenti formulando i seguenti quesiti:
a) se la sentenza impugnata abbia illegittimamente desunto la certezza dell’aumento del volume indotto dalla chiusura della veranda e il pregiudizio estetico per l’intero edificio, avendo tratto detto convincimento da errata interpretazione del comportamento degli appellanti e dalle risultanze della CTU, nonostante che queste ultime fossero prive di ogni motivazione, con la conseguenza di esprimere un convincimento a sua volta assolutamente immotivato; se inoltre l’affermazione della variazione prospettiva non possa essere desunta da un semplice aumento di volume senza specificare la consistenza e la configurazione di quest’ultimo, avverso se in questa disamina il Giudice di merito debba attingere alla situazione concreta e spiegare il nesso fra le predette situazioni in modo particolareggiato:
b) se, inoltre, l’affermazione della variazione prospettica non possa essere desunta da un semplice aumento di volume senza specificare la consistenza e la configurazione di quest’ultimo, ovvero, se in questa disamina il Giudice di merito debba attingere alla situazione concreta e spiegare il nesso fra le predette situazioni in modo particolareggiato.
c) se infine, per il rispetto dell’art. 1120 cc. la lesione del decoro architettonico debba essere accertata ed apprezzata attraverso l’esame della situazione particolare, non potendosi presumere che la stessa derivi automaticamente ed immediatamente dalla variazione prospettica e se, quindi, nel caso specifico la sentenza impugnata, avendo assunto detta nozione per sola presunzione, abbia ancora una volta violato l’art. 1120 cc. anche tenuto conto che, e particolarmente dagli atti di causa e, particolarmente dalle foto in essi depositate, risultava evidente che, allineandosi la chiusura in vetro della veranda al muro perimetrale dell’edificio, non si era determinata alcuna protuberanza e, quindi, né l’aumento del volume, né a maggior ragione l’alterazione prospettiva dell’edificio e tanto più la lesione del decoro architettonico.
1.1.- Il motivo è infondato.
Va qui osservato che il motivo in esame ripropone una questione già affrontata e delibata da questa Corte Suprema ed è quella di stabilire il senso da attribuire all’espressione “decoro architettonico” di un fabbricato e quali le caratteristiche che devono presentare le “innovazioni” di cui all’art. 1120 cc. per essere ritenute lesive del decoro architettonico.
Come è stato già affermato da questa Corte Suprema (con sentenza n. 8731 del 1998) che qui si intende ribadire e riattualizzare, per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 cod. civ., deve intendersi l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia.
L’alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l’originario aspetto anche, soltanto, di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di riflettersi sull’insieme dell’aspetto dello stabile.
Va anche osservato che l’indagine volta a stabilire se, in concreto, un’innovazione determini o meno l’alterazione del decoro di un determinato fabbricato è demandata al giudice di merito il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato.
1.2 – Ora nel caso in esame, il CTU, come afferma la sentenza impugnata, ha accertato che la chiusura della terrazza oggetto di controversia, con vetro e struttura metallica che trasformava quella terrazza in veranda, aveva determinato non solo un aumento di volume, ma anche una “variazione prospettica dell’intero edificio”. Questa rilevazione tecnica proprio perché effettuata da un tecnico, cioè dal CTU nominato dal Giudice, non integrava gli estremi di una semplice notazione teorica e non era neppure un’affermazione apodittica od equivoca, ma rappresentava e non poteva che rappresentare la conclusione di una valutazione delle linee e delle strutture che connotavano il fabbricato prima della realizzazione della veranda rapportate al nuovo aspetto che l’immobile aveva assunto dopo la realizzazione di quella veranda. D’altra parte, è patrimonio culturale dell’uomo comune ritenere che la trasformazione di un balcone in veranda eseguita mediante chiusura in alluminio e vetri comporti, comunque, un’alterazione dell’armonia cromatica della facciata dell’intero fabbricato, tanto da poter pensare che per escludere la naturale alterazione del decoro architettonico del fabbricato sarebbe stato necessario dimostrare che quell’innovazione non avesse comportato una alterazione o modificazione del decoro del fabbricato.
1.3. – Pertanto, la decisione assunta dalla Corte fiorentina di disporre la riduzione in pristino dell’opera sopra indicata, appare condivisibile perché coerente con la normativa condominiale (in particolare con la normativa di cui agli artt. 1120 e 1122 cod. civ.), e, ad un tempo, sufficientemente motivata dato che è fondata su un accertamento riferito al caso concreto effettuato ed esplicitato dal CTU. D’altra parte è giusto il caso di evidenziare che il Giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del Consulente Tecnico di Ufficio, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, dato che l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro. 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *