Secondo il costante indirizzo della Corte in materia di servitù di passaggio, nel caso in cui il proprietario del fondo servente intenda esercitare la facoltà, prevista dall’art. 841 c.c., di chiudere il fondo per preservarlo dall’ingerenza di terzi, spetta al giudice di merito stabilire in concreto quali misure risultino più idonee a contemperare i due diritti, avendo riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità d’esercizio e alla configurazione dei luoghi (v. Cass. nn. 15971/01, 9631/99, 1212/99, 5808/98, 2267/97 e 8536/95).
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 giugno – 23 settembre 2013, n. 21744
Presidente Triola – Relatore Manna
Svolgimento del processo
R..G. , proprietario di un fabbricato sito in (omissis) , agiva innanzi al Tribunale di Brescia nei confronti del condominio di piazza, del (omissis), lamentando la chiusura nelle ore notturne del cancello di accesso al cortile interno di detto condominio, gravato da servitù di passaggio in favore del proprio fondo.
Il condominio convenuto deduceva che la chiusura era stata necessitata da ragioni di sicurezza e che aveva consegnato le chiavi del cancello al G. . Sosteneva, quindi, che questi a seguito della ristrutturazione del proprio immobile aveva eliminato l’accesso diretto su via del Crocefisso, aggravando in tal modo la servitù di passo sul cortile del condominio; non aveva canalizzato le grondaie, scaricando così l’acqua piovana sulla stessa proprietà condominiale; aveva realizzato una tettoia aggettante sul cortile; e che, infine, il G. immetteva nella proprietà condominiale i fumi di combustione di due scarichi di impianti di riscaldamento a parete. In relazione a tutto ciò proponeva altrettante domande riconvenzionali.
Il Tribunale accoglieva la domanda principale e, limitatamente agli scoli, quella riconvenzionale, che rigettava invece nel resto.
Gravata da ambo le parti, detta sentenza era riformata dalla Corte d’appello di Brescia, che rigettava ogni domanda ad eccezione di quella diretta alla condanna del G. a rimuovere i camini di sfiato degli impianti di riscaldamento apposti sulla parete del fabbricato di lui, e compensava interamente le spese del doppio grado di merito.
In ordine alla dedotta illegittimità degli scoli, la Corte territoriale accoglieva l’eccezione di usucapione proposta in grado d’appello dal G. , eccezione ritenuta ammissibile essendo governato il giudizio dal testo dell’art. 345 c.p.c. anteriore alla novella di cui alla leg6c n.353/90.
Quanto alla servitù di passaggio, giudicava non grave il disagio arrecato al fondo dominante dalla chiusura del cancello, in quanto limitata a sole tre ore notturne (dalle 2 alle 5), e dunque compatibile con l’esercizio di detta servitù la chiusura del cortile condominiale in forza della facoltà di cui all’art. 841 c.c..
Riteneva che il condominio non avesse interesse ad eliminare lo sporto della tettoia di proprietà G. sul proprio cortile, sporto la cui altezza (m.2) dal suolo non avrebbe consentito alcuna possibilità di godimento dello spazio aereo da parte del condominio, se non ostruendo l’ingresso alla proprietà G. . Richiamato l’art. 890 c.c., la Corte bresciana rilevava, ancora, che le canne fumarie erano state realizzate in violazione sia del regolamento d’igiene, sia di quello edilizio in allora vigente, che ne imponeva lo sbocco sul tetto e non su di una parete, sia della legge n.615/66, cui il regolamento stesso rinviava, e che non fosse condivisibile il giudizio espresso dal Tribunale in punto di tollerabilità delle immissioni, ai sensi dell’art. 844 c.c., giacché i fumi di combustione si immettevano su di un cortile scarsamente aerato e quasi per intero intercluso. Infine, osservava che sulla questione dell’aggravamento della servitù di passaggio si era formato un giudicato esterno tra i precedenti proprietari del cortile e lo stesso G. .
Per la cassazione di tale sentenza quest’ultimo ricorre con un solo motivo articolato in tre censure.
Resiste con controricorso il condominio di piazza (omissis), che propone altresì ricorso incidentale affidato a due mezzi di annullamento, successivamente illustrati da memoria.
In esito alla concessione di un apposito termine, il condominio ha depositato la delibera di autorizzazione dell’amministratore a proporre controricorso formulando impugnazione incidentale.
Motivi della decisione
1. – L’unico motivo del ricorso principale denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su alcuni punti della decisione.
1.1. – Quanto alla chiusura del cancello di accesso al cortile condominiale e alla conseguente compromissione dell’esercizio della servitù di passo tramite esso, parte ricorrente deduce che la Corte territoriale ha escluso la gravosità di tale limitazione ritenendo che la chiusura fosse limitata a sole tre ore notturne (dalle 2 alle 5), circostanza che, però, non è stata in alcun modo provata, e che, di fatto, consente al condominio di chiudere il cancello quando lo ritenga. Inoltre, la Corte d’appello non ha preso in considerazione le precedenti modalità di esercizio del diritto, rispetto al quale la chiusura del cancello costituisce un aggravamento.
1.2. – La seconda censura, concernente la rimozione degli sfiati degli impianti di riscaldamento, deduce che il condominio non è titolare di un diritto soggettivo leso, trattandosi di questione valutabile unicamente all’interno del procedimento amministrativo, e che in ogni caso la Corte bresciana non ha tenuto conto delle conclusioni del c.t.u., secondo il quale le immissioni possono sussistere soltanto in condizioni di bassa pressione atmosferica, a danno in primo luogo della stessa proprietà G. e, in minima parte, del vicino condominio.
1.3. – La terza censura, riguardante la compensazione delle spese di giudizio, è solo apparente, perché si limita a prospettare la condanna del condominio nel caso di accoglimento del ricorso, sicché su di essa non mette conto provvedere.
2. – Il primo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione o falsa applicazione degli artt.908, primo e secondo comma, e 1158 c.c..
Sostiene parte controricorrente che se Part.345 c.p.c. vigente all’epoca d’instaurazione del giudizio (22.12.1994: n.d.r.) ammetteva la formulazione di nuove eccezioni, in nessun caso era ammessa, invece, la deduzione di nuovi fatti a sostegno delle eccezioni svolte. Da ciò deriverebbe l’inaccoglibilità dell’eccezione di usucapione, anche alla luce dell’art.908, secondo comma c.c., norma che consente di valorizzare l’ordinanza sindacale, prodotta sin dal giudizio di primo grado, con la quale il comune di Desenzano aveva imposto al G. di far confluire gli scarichi delle acque bianche e nere nelle condotte fognarie esistenti sulla parte opposta del cortile condominiale, e cioè su via (omissis) .
2.1. – Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c., lamentando parte controricorrente che la compensazione delle spese è stata disposta in violazione dei principi di soccombenza e di causalità. È evidente, assume il condominio di piazza (omissis), che la reiezione dell’unica domanda formulata in atto di citazione dal G. e il contemporaneo accoglimento anche di una sola delle domande riconvenzionali proposte costituivano elementi idonei a giustificare la condanna dell’originario attore al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
3. – Entrambi i ricorsi sono infondati e vanno respinti.
4. – Quanto alla prima censura del ricorso principale, va osservato che secondo il costante indirizzo di questa Corte in materia di servitù di passaggio, nel caso in cui il proprietario del fondo servente intenda esercitare la facoltà, prevista dall’art. 841 c.c., di chiudere il fondo per preservarlo dall’ingerenza di terzi, spetta al giudice di merito stabilire in concreto quali misure risultino più idonee a contemperare i due diritti, avendo riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità d’esercizio e alla configurazione dei luoghi (v. Cass. nn. 15971/01, 9631/99, 1212/99, 5808/98, 2267/97 e 8536/95).
4.1.- Nello specifico la Corte bresciana, con motivazione in sé congrua ed esente da vizi logici, ha ritenuto non grave il disagio per il fondo dominante, dovuto all’assenza di un dispositivo di apertura elettrico del cancello, in considerazione della chiusura solo notturna di esso in un orario (dalle 2 alle 5) in cui normalmente non si ricevono ospiti, osservando, per contro, che vi erano importanti ragioni di sicurezza che militano a favore della chiusura notturna per evitare l’intrusione di estranei, anche tossicodipendenti, nel cortile condominiale, interno ma comodamente accessibile dalla via pubblica.
4.1.1. – L’obiezione mossa al riguardo dalla parte ricorrente, secondo cui non vi sarebbe di fatto alcuna limitazione d’orario, poiché i titolari degli esercizi commerciali che si affacciano sul cortile provvederebbero a chiudere il cancello dalle 19.00 alle 9.00 del giorno seguente, è una replica di puro fatto e per di più generica, in quanto non ancorata ad un’emergenza processuale di cui sia stata fornita idonea e precisa rappresentazione nel ricorso, con indicazione degli atti da cui la questione risulti espressamente dedotta.
4.1.2. – Del pari priva di pregio è la doglianza per cui la Corte bresciana non avrebbe tenuto conto, quanto alle precedenti modalità d’esercizio, della circostanza per cui in precedenza il cancello era sempre aperto, sicché la chiusura di esso costituirebbe un oggettivo aggravio della servitù.
L’art. 1067, 1 comma c.c. vieta non già qualsivoglia innovazione, ma solo quelle che rendano più gravosa la situazione del fondo servente.
È evidente che la collocazione di un cancello sul locus servitutis modifica la precedente situazione di esercizio del diritto di passaggio, per cui se bastasse registrare tale dato per integrare l’ipotesi dell’aggravamento della servitù, sarebbe esclusa in partenza, contro la lettera e il senso stesso della norma citata, sia questa che qualsivoglia altra innovazione non rispondente all’interesse del titolare della servitù. L’aggravamento non è dato dall’innovazione in sé, ma dall’incidenza di essa rispetto al modo in cui è stata goduta la servitù, venendo in rilievo, quindi, frequenza del passaggio, caratteristica dei luoghi, particolari esigenze del transito ed ogni altra precedente condizione di esercizio.
Rispetto a tutto ciò la censura è affatto muta, poiché non dimostra l’allegazione di fatti specifici rilevanti a tal fine e non considerati dalla Corte territoriale.
5. – La seconda censura del ricorso principale è manifestamente infondata sotto entrambi i profili dedotti.
5.1. – Quanto al primo, va osservato che l’art. 890 c.c., che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte si applica anche alle condotte fumarie (cfr. Cass. nn. 22389/09, 3199/02 e 12927/91), attribuisce al vicino una tutela immediata e diretta per il rispetto delle distanze prescritte e quindi la possibilità di chiedere ai sensi dell’art. 872, comma secondo c.c., la riduzione in pristino indipendentemente dallo stabilire se tali norme regolamentari o regionali siano integrative o non delle disposizioni del codice civile (Cass. n. 14354/00; conforme su quest’ultima affermazione, Cass. n. 7466/97). Pertanto, poiché tale norma tutela sia la proprietà, sia l’incolumità delle persone, il proprietario del fondo confinante con quello in cui sono collocate le canne fumarie è titolare di un diritto soggettivo al rispetto della distanza, e non di un semplice interesse amministrativamente protetto all’osservanza delle prescrizioni che siano state imposte col provvedimento di autorizzazione dell’opera.
5.2. – Quanto al secondo profilo, è sufficiente rilevare che la censura non solo pone una questione di mero fatto senza individuare un elemento d’illogicità nella motivazione della sentenza impugnata, ma altresì è essa stessa sostanzialmente illogica, lì dove pretende di escludere la nocività dell’impianto per il solo fatto che le immissioni si verificherebbero soltanto in situazione di bassa pressione atmosferica (evento non certo raro o eccezionale, ma del tutto ordinarie) e con minimo interessamento della proprietà condominiale (la quale non è tenuta a sopportare, neppure in minima parte, gli effetti nocivi di un’installazione tecnologica realizzata a distanza inferiore a quella legale).
6. – Anche il primo motivo del ricorso incidentale è manifestamente destituito di fondamento.
L’eccezione di merito consta di due elementi entrambi necessari, ossia l’allegazione di un fatto sostanziale e la manifestazione (anche soltanto implicita) della volontà di avvalersene per gli effetti estintivi, modificativi o impeditivi che esso produce sulla pretesa dell’attore. L’un elemento senza l’altro non vale i configurare l’eccezione. Pertanto, la norma dell’art. 345, cpv. c.p.c., che nel testo in vigore anteriormente alla novella di cui alla legge n. 353/90 consentiva la proposizione nel giudizio d’appello di nuove eccezioni, va interpretata nel senso che queste ultime sono consentite non solo se basate su fatti storici che già altrimenti appartengano ai temi di causa, ma anche ove con esse siano introdotti fatti del tutto nuovi.
7. – Infine, anche il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.
In tema di spese processuali, qualora ricorra la soccombenza reciproca è rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (ex pluribus, ui. Cass. nn. 12295/01,2124/94 e 13/88).
8. – La speculare reiezione dei due ricorsi è ragione di compensazione integrale delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale e compensa le spese.