Le opere funzionali all’eliminazione delle barriere architettoniche sono solo quelle tecnicamente necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e non quelle dirette alla migliore fruibilità dell’edificio e alla maggior comodità dei residenti (T.A.R. Campania, Salerno, sez. 2, 19 aprile 2013, n. 952; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. 1, 24 febbraio 2012, n. 87; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. 1, 8 novembre 2011, n. 526).
Tali opere rientrano nell’attività edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, qualora “consistano in interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio”. Qualora vi sia, invece, la realizzazione di rampe o ascensori esterni o manufatti che comunque comportino un’alterazione della sagoma dell’edificio, trattandosi di opere non ricomprese nell’art. 10 – il quale sottopone a permesso di costruire a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso – trova applicazione l’art. 22 dello stesso d.P.R., a norma del quale sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6. A tale disposizione si sovrappone oggi l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, come modificato dal d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il quale consente che, per le opere soggette a d.i.a ordinaria, si proceda, in via semplificata, con s.c.i.a. (segnalazione certificata di inizio attività). Tale è l’interpretazione autentica data dall’art. 5, comma 2, lettera c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, il quale prevede che: “Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire”. A ciò deve aggiungersi che la mancata presentazione di d.i.a. è sanzionata in via amministrativa dall’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, come la mancata presentazione di s.c.i.a. Per quest’ultima, infatti, l’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990 prevede che: “Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico – edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, e dalle leggi regionali”.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 giugno – 18 settembre 2013, n. 38360
Presidente Fiale – Relatore Andronio
Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza del 18 maggio 2012, la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Bari – sezione distaccata di Modugno del 14 ottobre 2009, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere, in qualità di committente e legale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori, realizzato, in mancanza di permesso di costruire, una rampa per l’accesso per diversamente abili sul lato sinistro del fabbricato di proprietà, nonché, sul lato destro dello stesso fabbricato la recinzione dell’area della rampa carrabile di accesso al piano interrato con l’apposizione di una fascia di larghezza di m 2 destinata a pubblico parcheggio. Con la sentenza, il Tribunale aveva ordinato la demolizione di quanto abusivamente costruito.
2. – Avverso la sentenza d’appello l’imputato ha proposto personalmente ricorso per cassazione, deducendo: 1) l’inosservanza degli artt. 178, comma 1, lettera c), e 179 cod. proc. pen., in relazione al rigetto dell’eccezione di nullità dell’ordinanza pronunciata dal giudice di primo grado all’udienza del 14 ottobre 2009, avente ad oggetto il rigetto dell’istanza di rinvio per impedimento dell’imputato a presenziare all’udienza stessa, non essendosi preso in considerazione il fatto che l’imputato era un soggetto che aveva subito il trapianto di cuore, non poteva utilizzare mezzi di trasporto quale l’aereo ed era stato sottoposto, proprio il giorno prima dell’udienza, ad accertamenti ospedalieri in (…); 2) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, perché non si sarebbe presa in considerazione la normativa (artt. 27 e 28 della legge n. 5 del 1971; art. 18 del d.P.R. n. 118 del 1971; art. 23 del d.P.R. n. 503 del 1996; artt. 12 e 23 della legge n. 104 del 1992) che prevede che sia assicurato agli invalidi l’accesso agli edifici, sussistendo un vero e proprio diritto del disabile a vedere eliminate le barriere architettoniche; diritto irragionevolmente negato dal Consiglio comunale che, nella seduta del 27 giugno 2007 aveva deliberato di non adottare la variante allo strumento urbanistico richiesta a tale fine dall’imputato.
Considerato in diritto
3. – Deve essere dichiarata l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.
3.1. – Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il presupposto per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. è costituito dall’evidenza, emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato. Solo in tali casi, infatti, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa sentenza. I presupposti per l’immediato proscioglimento devono, però, risultare dagli atti in modo incontrovertibile, tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. È necessario, quindi, che la prova dell’innocenza dell’imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un “apprezzamento”, ma ad una mera “constatazione”.
L’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio, possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece dichiarare l’estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l’obbligo dell’immediata declaratoria della causa di estinzione del reato. E ciò, anche in presenza di una nullità di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità, essendo l’inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva (ex plurimis, sez. 6, 1 dicembre 2011, n. 5438; sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490, rv. 244275; sez. un., 27 febbraio 2002, n. 17179, rv. 221403; sez. un. 28 novembre 2001, n. 1021, rv. 220511).
3.2. – I presupposti per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., come appena delineati, non sussistono certamente nel caso di specie, con riferimento agli atti di causa e al contenuto della sentenza impugnata.
3.2.1. – Il primo motivo di ricorso – con cui si lamenta che il Tribunale non avrebbe ritenuto legittimo l’impedimento dell’imputato a comparire all’udienza del 14 ottobre 2009, trascurando di considerare che egli era un soggetto che aveva subito il trapianto di cuore, non poteva utilizzare mezzi di trasporto come l’aereo ed era stato sottoposto, proprio il giorno prima dell’udienza, ad accertamenti ospedalieri in (…) – è infondato.
La sentenza impugnata reca infatti, sul punto, una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove evidenzia che non emergono elementi concreti a sostegno di un reale impedimento per l’imputato al raggiungimento della sede giudiziaria per il giorno 14 ottobre 2009, immediatamente successivo a quello degli accertamenti medici svolti presso l’ospedale di (…). Dalla documentazione in atti – sottolinea la Corte d’appello – non risulta in particolare che l’imputato fosse impossibilitato a viaggiare in aereo o su altro mezzo di trasporto che gli avrebbe consentito di raggiungere in tempo utile la sede giudiziaria, non essendo di per sé dirimente la semplice distanza chilometrica tra (omissis).
3.2.2. – Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso con il quale si lamenta, in sostanza, che la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione il fatto che le opere realizzate erano, almeno in parte, dirette all’eliminazione di barriere architettoniche e, dunque, non potevano essere fatte rientrare nel novero di quelle per le quali è necessario il permesso di costruire.
3.2.2.1. – Quanto alla definizione di “barriere architettoniche” per i soggetti disabili, deve preliminarmente ricordarsi che le opere funzionali all’eliminazione delle barriere architettoniche sono solo quelle tecnicamente necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e non quelle dirette alla migliore fruibilità dell’edificio e alla maggior comodità dei residenti (T.A.R. Campania, Salerno, sez. 2, 19 aprile 2013, n. 952; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. 1, 24 febbraio 2012, n. 87; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. 1, 8 novembre 2011, n. 526).
Tali opere rientrano nell’attività edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, qualora “consistano in interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio”. Qualora vi sia, invece, la realizzazione di rampe o ascensori esterni o manufatti che comunque comportino un’alterazione della sagoma dell’edificio, trattandosi di opere non ricomprese nell’art. 10 – il quale sottopone a permesso di costruire a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso – trova applicazione l’art. 22 dello stesso d.P.R., a norma del quale sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6. A tale disposizione si sovrappone oggi l’art. 19 della legge n. 241 del 1990, come modificato dal d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il quale consente che, per le opere soggette a d.i.a ordinaria, si proceda, in via semplificata, con s.c.i.a. (segnalazione certificata di inizio attività). Tale è l’interpretazione autentica data dall’art. 5, comma 2, lettera c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, il quale prevede che: “Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire”. A ciò deve aggiungersi che la mancata presentazione di d.i.a. è sanzionata in via amministrativa dall’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, come la mancata presentazione di s.c.i.a. Per quest’ultima, infatti, l’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990 prevede che: “Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico – edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, e dalle leggi regionali”.
3.2.2.2. – Ne consegue, in relazione al caso di specie, che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare la consistenza delle opere realizzate dall’imputato alla luce della normativa richiamata, evidenziando se e in che misura le stesse necessitassero del permesso di costruire o potessero essere realizzate previa semplice denuncia di inizio attività. Il rinvio al giudice del merito è, però – come sopra visto – incompatibile con l’immediata applicabilità della prescrizione alla quale deve essere data prevalenza.
3.3. – Quanto alla prescrizione del reato (commesso il (omissis)), al relativo termine complessivo di anni 5, che sarebbe andato a scadere alla data del 25 settembre 2012, devono aggiungersi 80 giorni di sospensione, giungendosi così al termine finale del 15 dicembre 2012, successivo alla pronuncia della sentenza impugnata ma precedente alla pronuncia della presente sentenza.
4. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio, perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione. La dichiarazione di estinzione del reato implica la revoca dell’ordine di demolizione impartito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione. Revoca l’ordine di demolizione.