In materia di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. 29 settembre 1313, n. 600, art. 38, la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie: una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente, può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito da quello posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto e quello ignoto, senza che possa ravvisarsi, nella disposizione che consente l’esercizio di tale potere, una violazione del principio costituzionale della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost.. In tale caso, infatti, è sempre consentita, anche se a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere, l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente” (Cass. 8665/2002, n, 5794/2001, n. 11300/2000).
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 10 luglio – 11 settembre 2013, n. 20800
Presidente Cappabianca – Relatore Iofrida
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 74 del 7/10/2005, depositata in data 9/01/2006, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, Sez. 5, respingeva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 11/05/2004, dall’Agenzia delle Entrate Ufficio di Chiavari, avverso la decisione n. 591/02/2002 della Commissione Tributaria Provinciale di Genova, che aveva accolto il ricorso di M. G. contro un avviso di accertamento sintetico, notificato nel dicembre 2001, con il quale, in applicazione dell’art. 38 DPR 600/1973, sulla base di ritenuti incrementi patrimoniali, indici di un’elevata capacità di spesa, nel periodo dal 1995 al 2000 (in particolare, l’acquisto di due immobili, alienati dal padre al contribuente), venivano liquidate maggiori imposte IRPEF, ILOR e Contributo SSN dovute per l’anno 1995.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva il gravame dell’ Agenzia delle Entrate, in quanto riteneva che il contribuente avesse provato, “in modo adeguato, la sussistenza dei presupposti di inesistenza degli incrementi patrimoniali supposti (contratto di mutuo, dismissioni patrimoniali)”, essendo inoltre “fondato il fatto che le vendite da padre a figlio non abbiano comportato reale corresponsione di denaro se non l’accollo del mutuo”, tanto più trattandosi di “immobile in cui entrambi, padre e figlio” convivevano. Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo due motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c. (Motivo 1, in relazione agli artt. 38 DPR 600/1973 e 2697 e 2722 c.c.), e per omessa motivazione su fatti decisivi, ex art. 360 n. 5 c.p.c. (Motivo 2, in relazione all’omesso esame della data, successiva agli acquisti, e dell’entità, inferiore alle spese per quelli affrontate, delle operazioni di disinvestimento allegate dal contribuente ed all’omessa motivazione sulle ragioni poste a sostegno della ritenuta natura gratuita delle vendite da padre a figlio).
Ha resistito il contribuente con controricorso, anche eccependo l’inammissibilità del ricorso, per difetto di legittimazione attiva dell’Agenzia delle Entrate ed omessa formulazione dei quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va respinta l’eccezione pregiudiziale di parte controricorrente, formulata ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., trattandosi di disposizione inoperante nella specie (l’onere di formulazione nel ricorso per cassazione del “quesito di diritto”, prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., norma successivamente abrogata dall’art. 47 Legge 18.6.2009 n. 69, è stato infatti introdotto dall’art. 6 del Dlgs 2.2.2006 n. 40 e la norma trova pertanto applicazione esclusivamente ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto, 2.3.2006, e prima del 4/7/2009, data di entrata in vigore della l. n. 69/2009, ipotesi che non ricorre nel caso di specie, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata nel gennaio 2006).
L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione del disposto dell’art. 38 DPR 600/1973 e dei principi in materia di onere della prova, in tema di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento» È stato affermato da questa Corte, con orientamento che qui si condivide, che “in materia di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. 29 settembre 1313, n. 600, art. 38, la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie: una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente, può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito da quello posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto e quello ignoto, senza che possa ravvisarsi, nella disposizione che consente l’esercizio di tale potere, una violazione del principio costituzionale della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost.. In tale caso, infatti, è sempre consentita, anche se a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere, l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente” (Cass. 8665/2002, n, 5794/2001, n. 11300/2000). Le presunzioni di maggior reddito formulate ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, sono presunzioni semplici, contestabili dunque con mezzi di prova riferiti o alla esenzione di tale maggior reddito da imponibilità o alla esistenza di ritenuta alla fonte su di esso il tutto comprovato da “idonea documentazione” (art. 38, comma 6 cit.). Nella specie, in presenza di documenti qualificati quali i rogiti notarili, il contribuente si era limitato ad opporre presunzioni di segno contrario relative alla assenza della propria capacità contributiva, in quanto la spesa per incrementi patrimoniali era inesistente, trattandosi per lo più dell’ acquisto di immobili da padre a figlio, senza effettiva corresponsione di denaro, presunzioni queste che non soddisfacevano, di per sé sole, le precise richieste di prova documentale contraria (cfr. Cass. 14778/2000; 20588/2005; 17202/2006; Cass. 22218/2008), derivanti dalla norma citata.
Tuttavia il primo motivo del ricorso va comunque respinto, potendo il contribuente contrastare le presunzioni “gravi, precise e concordanti” dell’Ufficio attraverso una prova documentale, che, nella specie, è consistita anche nell’allegazione di operazioni di dismissione patrimoniale e del contratto di mutuo, stipulato per l’acquisto di uno degli immobili, quello adibito ad abitazione, pure valutati dal giudice.
Con il secondo motivo, implicante un vizio motivazionale, in realtà, si censurano poi esclusivamente valutazioni in fatto, espresse dai giudici tributari in maniera logica ed esaustiva. Il motivo è poi inammissibile, per difetto di autosufficienza, non essendo riportati, nel ricorso, nel dettaglio i disinvestimenti patrimoniali dedotti dalla parte e privi di rilievo secondo l’Ufficio.
La Corte rigetta il ricorso.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, in conformità del D.M. 140/2012, attuativo della prescrizione contenuta nell’art. 9, comma 2°, d.l. 1/2012, convertito dalla l. 271/2012 (Cass. S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi € 1.500,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge.