La legge n. 184 del 1983, all’art. 1, indica il diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ma solo fino a quando ciò non comporti un’incidenza grave e irreversibile sul suo sviluppo psicofisico, e l’art. 8 della stessa legge definisce la situazione di abbandono come mancanza di assistenza materiale e morale. Pertanto, nei casi in cui un genitore si riveli incapace di soddisfare le necessità anche più semplici di accudimento dei figli, a causa della personalità “immatura” che determina gravissimi problemi di ritardo nello sviluppo psicofisico dei bambini, occorre dichiarare lo stato di abbandono dei minori e conseguentemente l’adottabilità degli stessi

 

Cassazione, sez. I 26 luglio 2013, n. 18132
Svolgimento del processo
Il Tribunale per i Minorenni di Torino, con sentenza in data 28 luglio 2010, dichiarava l’adottabilità di B.E.M. e B.C.M. Proponeva impugnazione la madre, M.D. Si costituiva il “difensore” delle minori, chiedendo il rigetto dello appello. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza in data 30/9 – 31/7/2012, rigettava l’appello. Ricorre per cassazione la madre della minore. Non si costituiscono le altre parti.
Motivo della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione di “norme di diritto” (nella trattazione del motivo si fa riferimento all’art. 1 e 15 L. n. 184/1983). Con il secondo, violazione di norme internazionali e in particolare dell’art. 8 CEDU. Con il terzo, vizio di motivazione in ordine allo stato di abbandono delle minori, alla personalità della madre, alla valutazione della CTU espletata.
I motivi appaiono infondati.
L’art. 1 L. n. 184/1983, enuncia il diritto del minore di vivere nella propria famiglia di origine, ma fino a che tale permanenza sia compatibile con il suo armonico sviluppo psicofisico. L’art. 15 prevedere che lo stato di adottabilità sia dichiarato quando, anche dopo l’audizione dei genitori, emerga il persistere della mancanza di assistenza materiale e morale e la non disponibilità ad ovviarvi.
L’art. 8 CEDU, come del resto precisa la stessa ricorrente, enuncia il diritto al rispetto della vita privata e famigliare, ammettendo peraltro che in casi di necessità, ancorchè eccezionali (e tra essi va annoverato sicuramente l’abbandono) possa interrompersi ogni rapporto con la famiglia di origine.
Quanto alla motivazione della sentenza impugnata, emerge palesemente lo stato di abbandono delle minori e la valutazione fortemente negativa della madre, attraverso le numerose relazioni dei servizi sociali, del servizio neuropsichiatrico infantile e della comunità di accoglienza della minore e della madre, la quale aveva difficoltà a costituire un rapporto affettivo con le minori e di garantire loro un adeguato accudimento, e si era poi allontanata dalla comunità, “abbandonando” le bambine.
La CTU espletata parla di personalità immatura della M., che non aveva saputo prendere le distanze dal marito, violento e totalmente disinteressato verso le figlie, presentava notevole difficoltà nell’interpretare i bisogni delle figlie stesse e di soddisfare le necessità anche più semplici di accudimento; si esprimeva dunque una prognosi negativa sulla possibile evoluzione della madre. Tale situazione – secondo la CTU, richiamata dalla sentenza impugnata – aveva provocato gravissimi problemi di ritardo nello sviluppo delle bambine, che erano venuti meno con l’affidamento provvisorio ad una coppia di coniugi.
Va conclusivamente rigettato il ricorso. Nulla sulle spese, non essendosi costituite le altre parti.
P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.

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