Ai sensi dell’art. 1482 c.c. il promissario acquirente, se la cosa promessa è gravata da garanzie reali (o da pignoramento: o sequestro) non dichiarate dal promittente venditore, può sia sospendere il pagamento del prezzo, sia domandare la risoluzione del contratto, avendo egli la facoltà e non già l’obbligo di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la cancellazione dei gravami. In ogni caso, fin tanto che questi ultimi non siano cancellati è legittimo il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 febbraio – 28 maggio 2013, n. 13208
Presidente Goldoni – Relatore Manna
Svolgimento del processo
C..C. , promissaria acquirente di un appartamento sito in …, giusta contratto preliminare del 18.5.1998, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la promittente venditrice, N..G. , per la risoluzione del contratto per inadempimento di lei e per il risarcimento dei danni. A sostegno della domanda deduceva che la convenuta non aveva provveduto a cancellare l’ipoteca, dichiarata nel preliminare, che gravava sull’immobile, nonostante la caparra di L. 100 milioni versata proprio a tal fine, di guisa che non le era stato possibile, a sua volta, contrarre un mutuo ipotecario in tempo utile per la stipula del definitivo di vendita. Inoltre, sull’immobile promesso gravava anche un’altra ipoteca, questa non dichiarata, iscritta dal condominio per il pagamento di oneri condominiali pregressi. Infine, l’appartamento presentava irregolarità d’indole urbanistico e necessitava di significativi lavori riguardanti l’impianto di riscaldamento e di erogazione del gas per la cucina.
La convenuta nel resistere in giudizio deduceva, in particolare, che il contratto preliminare prevedeva la cancellazione dell’ipoteca entro la data del rogito. Chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto per inadempimento della C. , cui addebitava di non aveva versato l’ulteriore rateo di 50 milioni di lire sul prezzo di vendita pattuito.
Interveniva in causa la Mazzetta Intermediazioni Immobiliari s.r.l., che chiedeva la condanna della convinta al pagamento del saldo della provvigione spettante per la stipula del preliminare di vendita.
Il Tribunale, in accoglimento della domanda principale, dichiarava risolto il contratto per inadempimento della G. , che condannava al risarcimento dei danni nella misura di L. 132.500.000, e dichiarava, altresì, inammissibile l’intervento in causa della società Mazzetta Intermediazioni Immobiliari.
Tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza n. 346/07 dichiarava risolto il contratto per inadempimento della C. .
La Corte capitolina osservava che in base alla clausola n. 2 del contratto il prezzo, salvo l’acconto di L. 100 milioni versato all’atto della conclusione del preliminare, doveva essere corrisposto nella misura di 50 milioni entro il successivo 30 giugno, mentre il pagamento del saldo, pari a 290 milioni, doveva avvenire alla data del rogito “mediante mutuo bancario richiesto a cura e spese dell’acquirente; a tal scopo la parte venditrice si impegna(va) a fornire tutta la documentazione necessaria alla stipula del contratto di mutuo e di vendita e ad essere terzo datore d’ipoteca”. Quindi, posto che la successiva clausola n.6 fissava entro il mese di novembre 1998 il rogito notarile, con scelta del notaio a carico della parte acquirente, la Corte romana rilevava che la C. non aveva né dedotto, né provato di aver mai comunicato all’altra parte data e nominativo del notaio prescelto; che inoltre per la configurazione del dedotto inadempimento della promittente venditrice sarebbe stato necessario un atto di costituzione in mora da parte della C. ; e che, infine, tale costituzione in mora neppure vi era stata, atteso che la G. non era mai stata convocata davanti al notaio. Concludeva, quindi, nel senso che non vi erano elementi che giustificassero un’interpretazione extratestuale delle predette clausole del contratto preliminare, per cui il mancato pagamento dell’ulteriore acconto di 50 milioni di lire integrava, rapportate all’economia complessiva dell’affare, gli estremi di un inadempimento grave e tale da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento della parte promissaria acquirente.
Per la cassazione di questa sentenza C..C. propone ricorso, affidato a quattro motivi, successivamente illustrati da memoria.
Resiste con controricorso N..G. .
La Mazzetta Intermediazioni Immobiliari s.r.l. è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. – Col primo motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362 e 1175 c.c., in relazione all’art.360, n. 3 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alle valutazioni delle testimonianze rese in primo grado.
L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui, pur essendo ammissibile l’interpretazione del contratto fondata non solo sul tenore letterale delle parole adoperate (qualora queste divergano dallo spirito complessivo e dal contenuto dell’accordo), non si riscontrerebbero nella specie indici interpretativi di una volontà divergente dal dato letterale, collide con le risultanze della deposizione della teste Pa..Co. . Quest’ultima ha riferito che la G. si era obbligata a estinguere l’ipoteca gravante sull’immobile entro il mese di giugno del 1998, utilizzando a tal fine la somma di lire 100 milioni versata dalla C. a titolo di caparra. Di tale testimonianza, sostiene parte ricorrente, la Corte territoriale non ha tenuto conto, omettendo così di rilevare nella condotta della parte promittente venditrice la violazione dell’obbligo di correttezza di cui all’art. 1175 c.c..
Formula al riguardo il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. (applicabile alla fattispecie ratione temporis): “In relazione al suesposto motivo e al vizio nello stesso denunciato, accerti la Corte se la sentenza impugnata è incorsa nel vizio di violazione di legge (art. 1362 c.c. e 1175 c.c.) avendo mal interpretato il contratto, nonché di omessa motivazione avendo completamente omesso di esaminare le risultanze della prova testimoniale resa dal mediatore che aveva agito per incarico della venditrice”.
2. – Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1219 c.c. e il vizio motivazionale sul punto (rectius, fatto) concernente la costituzione in mora della parte promittente venditrice.
La Corte distrettuale, sostiene parte ricorrente, non ha considerato né le lettere del 10 e del 15 luglio 1998, e poi ancora del 5 novembre 1998, con le quali la C. aveva convocato la G. innanzi al notaio per il pagamento della somma di lire 50 milioni e per la trascrizione del contratto preliminare, convocazioni che la G. aveva poi disertato, né il fatto che la citazione, inizialmente diretta, in tesi, ad ottenere una condanna della promittente venditrice all’adempimento, è atto equivalente ad una costituzione in mora.
Il motivo mette capo al seguente quesito: “In relazione al sopraesteso motivo e vizio nello stesso denunciato, accerti la Corte se la sentenza impugnata abbia violato gli artt. 1219 c.c. in relazione all’art. 360 commi (sic) 3 e 5 non avendo considerato come atti di costituzione m mora le numerose convocazioni avanti al notaio e l’atto di citazione del giudizio di primo grado con il quale la ricorrente ha chiesto l’adempimento coattivo”.
3. – Col terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 1362 c.c. e degli artt. 99, 112 e 277 c.p.c., nonché il vizio di motivazione su di un punto (rectius, fatto) decisivo della causa, in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art.360 c.p.c..
La Corte territoriale, si afferma, non ha considerato in alcun modo né che la G. aveva taciuto l’esistenza di un’ulteriore iscrizione ipotecaria, derivante da un ricorso per decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio, né l’irregolare situazione urbanistica dell’immobile, circostanze, entrambe, dedotte dall’odierna ricorrente.
Questo il quesito correlato: “In relazione al suesposto motivo ed al vizio nello stesso denunciato, accerti la Corte se la sentenza impugnata avendo omesso di pronunciarsi sulla richiesta di risoluzione del contratto a causa dell’esistenza di illeciti urbanistici e di un’ipoteca non dichiarata abbia violato oltre che l’art. 1362 c.c. gli artt. 99, 112 e 277 c.p.c. incorrendo nel vizio di difetto assoluto di motivazione o abbia comunque errato nell’interpretazione di dette norme”.
4. – Con il quarto motivo si allega la violazione dell’art. 1460 c.c., nonché il vizio di motivazione, in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., per non aver la Corte d’appello considerato che la C. , che pure aveva offerto il pagamento innanzi al notaio della frazione di L. 50 milioni del prezzo, era comunque legittimata ad eccepire gli inadempimenti dell’altra parte.
Segue il quesito: “In relazione al sopraesteso motivo e vizio nello stesso denunciato, accerti la Corte se la sentenza impugnata abbia violato gli artt. 1460 c.c. in relazione all’art. 360 comma (sic) 3 e 5 non avendo considerato che la ricorrente aveva offerto il pagamento di 50.000.000 avanti al notaio e che comunque la stessa era legittimata a rifiutare il pagamento dal dettato dell’art. 1 460 c.c.”.
5. – Il terzo motivo, che conviene esaminare con priorità rispetto agli altri, è fondato nei termini che seguono.
La Corte romana, infatti, ha omesso di considerare un fatto che era stato evidenziato dal giudice di prime cure nel motivare l’accoglimento della domanda di risoluzione proposta dalla C. . Non ha valutato, infatti, che oltre all’ipoteca espressamente contemplata dalle parti, sull’immobile promesso gravava un’altra formalità pregiudizievole, non dichiarata, consistente in un’ipoteca iscritta in forza di un decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio nei confronti della G. . Si tratta di un fatto assolutamente decisivo ai fini del giudizio, per ragioni di carattere generale e particolare.
Sotto il primo aspetto, perché ai sensi dell’art. 1482 c.c. (la cui applicabilità analogica al contratto preliminare è costantemente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass. nn. 3565/02, 15380/00, 9498/94 e 4450/82) il promissario acquirente, se la cosa promessa è gravata da garanzie reali (o da pignoramento: o sequestro) non dichiarate(i) dal promittente venditore, può sia sospendere il pagamento del prezzo, sia domandare la risoluzione del contratto, avendo egli la facoltà e non già l’obbligo di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la cancellazione dei gravami (cfr. Cass. nn. 19097/09 e 15380/00). In ogni caso, fin tanto che questi ultimi non siano cancellati è legittimo il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo (cfr. Cass. n. 1431/79).
Sotto il secondo aspetto, la decisività del fatto emerge da ciò, che la Corte romana ha ricostruito il regolamento contrattuale nel senso che il saldo prezzo, pari a 290 milioni del vecchio conio, avrebbe dovuto essere versato al momento del rogito notarile, “mediante mutuo bancario richiesto a cura e spese dell’acquirente”, con l’ulteriore espressa previsione che “a tal scopo la parte venditrice si (era) impegna(ta) a fornire tutta la documentazione necessaria alla stipula del contratto di mutuo e di vendita e ad essere terzo datore d’ipoteca”. Tale essendo l’accertamento operato in punto di fatto dalla Corte distrettuale, è evidente che l’esistenza di un’ipoteca non dichiarata nel preliminare consentiva alla C. di chiedere senz’altro la risoluzione del contratto e di sospendere il pagamento del prezzo, anche in considerazione del fatto che per espressa clausola contrattuale il pagamento stesso richiedeva la cooperazione della parte promittente venditrice, che si sarebbe dovuta costituire quale terza datrice di ipoteca ai fini della concessione del mutuo bancario. Ed è di solare chiarezza che la presenza del gravame impediva tanto la dazione di ipoteca quanto la contrazione del mutuo.
Il non aver considerato tale fatto – cioè l’esistenza di un’ipoteca non dichiarata – falsa il ragionamento operato dalla Corte capitolina e ne vizia la decisione ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c..
6. – L’accoglimento del suddetto motivo assorbe l’esame delle restanti censure.
7. – S’impone, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che ai sensi dell’art. 385, 3 comma c.p.c. provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

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