Non è escluso lo scopo elusivo di un’operazione negoziale che si realizzi nella sequenza donazione-vendita in presenza della realizzazione di una plusvalenza.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione di cui all’art. 37, c 3, DPR 29.09.1973, n. 600, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento del contribuente, in quanto è sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico che permetta di eludere il regime fiscale che costituisce il presuppostodell’imposta. Di conseguenza, la simulazione relativa, nel cui ambito può comprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, poiché lo scopo elusivo può attuarsi anche tramite operazioni effettive e reali. Il carattere reale e non simulato dell’operazione – nel caso di specie, la realizzazione di una plusvalenza attraverso la vendita di un terreno che il contribuente aveva donato ai propri figli pochi mesi prima – non è dunque sufficiente ad escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita. La prova della natura elusiva delle operazioni, da parte dell’Amministrazione finanziaria, può certamente basarsi su presunzioni (quali ad esempio, sempre con riferimento al caso di specie, la vicinanza temporale tra l’atto di donazione e quello di compravendita del terreno, la mancata restituzione della caparra al promittente venditore-donante e lo stretto rapporto di parentela tra donante e donatari). Spetterà eventualmente al contribuente fornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico che giustifichino l’operazione stessa.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 92/63/07, la CTR della Lombardia accoglieva l’appello proposto da B.P. e Pa. avverso la decisione di prime cure, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dal contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento, emesso ai fini IRPEF per l’anno 2000, con il quale l’amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione la plusvalenza realizzata dalla cessione di un terreno, avvenuta in data 12.5.00, che il contribuente aveva pochi mesi prima (in data 29.12.99)donato ai propri figli, ritenendo applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, che prevede l’imputabilità al contribuente dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando egli ne risulti l’effettivo possessore per interposta persona.
2. Avverso la sentenza n. 92/63/07 ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate articolando quattro motivi, con i quali deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, nonchè l’omessa, insufficiente e illogica motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio. Il contribuente ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, l’amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo è fondato.
1.1. L’impugnata sentenza si palesa fondata, invero, sul mero fatto dell’effettiva percezione, da parte dei donatari, del corrispettivo della vendita perfezionata a seguito della stipula del preliminare da parte del donante. Ebbene, va osservato al riguardo che, in materia di operazioni elusive e imposte sui redditi, codesta Corte ha affermato la possibilità di dichiarare inopponibili all’amministrazione finanziaria – in applicazione di un principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost., ma anche dai principi comunitari – i benefici fiscali derivanti dalla combinazione di operazioni a ciò volte (Cass. n. 25537/2011; Cass. Ordinanza n. 21371 del 04/10/2006).
La fattispecie de qua, in effetti, risulta sussumibile nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, così come interpretato da codesta Corte, secondo la quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta. Ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione personale fittìzia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali (Cass. n. 12788 del 10/06/2011).
1.2. Da quanto suesposto consegue, pertanto, la non corretta applicazione della norma di cui all’art. 37, comma 3 del decreto cit., da parte del giudice di seconde cure, atteso che il carattere reale, e non simulato, dell’operazione di vendita e l’effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non sono sufficienti ad escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita.
2. Con il secondo, terzo e quarto motivo – che, attesa la loro intima connessione, si prestano ad una trattazione congiunta – l’Agenzia delle Entrate lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Tali motivi sono fondati e vanno accolti.
2.1. La motivazione della pronuncia impugnata si presenta infatti viziata in quanto non rende conto, attraverso un adeguata e logica esposizione dell’iter logico osservato, dell’asserita insufficienza della prova presuntiva fornite dall’amministrazione a sostegno della pretesa creditoria azionata. In particolare nella la motivazione della sentenza di appello non si da in alcun modo conto delle ragioni per le quali gli elementi indiziari e presuntivi offerti dall’amministrazione in giudizio – e consistenti, in particolare, nella vicinanza temporale tra i due atti (donazione e compravendita), nella mancata restituzione della caparra al promittente venditore- donante, nello stretto rapporto di parentela tra donante e donatari – non debbano considerarsi sufficienti, per la loro univocità e concludenza, a supportare la pretesa fiscale avanzata dall’amministrazione nei confronti del contribuente.
2.2. D’altro canto, è indubitabile che la prova della natura elusiva delle operazioni poste in essere dal contribuente ben possa scaturire da presunzioni, delle quali l’amministrazione – nel caso di specie – ha dato esaurientemente conto nel corso del giudizio; semmai spetta allo stesso contribuente fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico che giustifichino l’operazione stessa (Cass. n. 8772/2008; Cass. n. 20816/2005).
3. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso va accolto, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.