L’apertura non avente i caratteri di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e
guardare sul fondo vicino, è considerata come luce, anche se non conforme alle prescrizioni di cui
all’art. 901 cod. civ. ed è soggetta al relativo regime. Nell’ipotesi di luce irregolare, il vicino, ha il
diritto, previsto dal secondo comma del citato art. 902 cod. civ., di esigere che tale apertura sia resa
conforme alle prescrizioni di cui all’art. 901 cod. civ., ovvero di chiuderla acquistando la comunione
del muro ed appoggiandovi la propria fabbrica, o costruendo in aderenza. In particolare, la
regolarizzazione dell’apertura irregolare comporta la necessità di dotarla dei tre requisiti strutturali
previsti dall’art. 901 cod. civ. e cioè: l’inferriata, la grata in metallo e l’altezza. L’inferriata serve a
garantire la sicurezza del vicino (si ritiene infatti sicura un’inferriata di dimensioni tali da impedire il
passaggio di una persona); la grata serve ad impedire l’immissione nel fondo del vicino di cose
gettate dalla finestra; l’altezza minima, sia interna che esterna, serve ad impedire l’esercizio della
veduta sul fondo vicino. Tutti gli elementi sono essenziali e nessun elemento componente
dell’apertura, come davanzale o grata metallica, deve fuoriuscire dal profilo esterno del muro, nel
quale la luce è realizzata

 

Suprema Corte di Cassazione – sentenza del 10 gennaio 2013, n. 512
Svolgimento del processo
V.C. , con atto di citazione del 25 novembre 1997, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, F.A. per sentirla condannare all’eliminazione di tutte le opere lesive del suo diritto di proprietà e al ripristino dello stato dei luoghi. Chiariva l’attore che la F. confinante con il proprio fondo, aveva edificato sul terreno di sua proprietà alcuni corpi di fabbrica e aveva costruito un muro dallo spessore di 50 cm per metà del suo terreno e per l’altra metà sul terreno di esso C. Detto muro di altezza variabile non solo divideva le due proprietà ma fungeva anche da parapetto al solaio di copertura dei nuovi fabbricati creando vedute illegittime. Lamentava, altresì, che nell’edificio principale si aprivano altre vedute poste a distanza dal confine inferiore a quella prescritta. Si costituiva A.F. opponendosi alla domanda e rilevando che l’attore non aveva partecipato alle spese della costruzione del muro di confine, aveva realizzato alcune opere illegittime ed aveva ancorato al muro di confine tubazioni di alcuni servizi e arbitrariamente chiuso le luce da lei poste sul muro di confine, pertanto, chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna del C. al pagamento del 50% delle spese da lei sostenute per la costruzione del muro di confine, alle eliminazioni delle tubazioni e al ripristino dello stati dei luoghi. Il Tribunale di Napoli, dopo aver espletato CTU, con sentenza del 20 giugno 2003, condannava la convenuta a chiudere le luci aperte sul muro di confine, condannava l’attore a rimuovere le tubazioni idriche ed elettriche collocate sul muro comune. Rigettava tutte le altre domande proposte dalle parti e compensava le spese giudiziali. Avverso questa sentenza proponeva appello C. deducendone l’erroneità per due motivi. Si costituiva F.A. resistendo all’appello e chiedendone il rigetto, nella sola eventualità di accoglimento dell’appello proponeva domanda riconvenzionale per la condanna del C. al pagamento del 50% delle spese sostenute per la costruzione del muro divisorio. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 2914 del 2005, accoglieva l’appello principale e in riforma della sentenza del Tribunale condannava A.F. ad installare nel tratto B-C del terrazzo A della costruzione D, sino all’attuale altezza della cancellata metallica, una grata fissa in metallo dotata di maglie non maggiore di tre centimetri quadrati. Dichiarava inammissibile l’appello incidentale, compensava le spese. A sostegno di questa decisione, la Corte napoletana osservava che in corrispondenza della copertura calpestabile della fabbrica D, il muro posto al confine tra le due proprietà costituiva il parapetto dell’anzidetto terrazzo con un’altezza di un metro dal piano di calpestio del terrazzo, al di sopra del parapetto vi era una cancellata in ferro di m. 1,50. Ora l’apertura posta dall’appellata verso il fondo del vicino non integrava gli estremi di una veduta, epperò, essendo, pur sempre, un’apertura verso il fondo del vicino era necessario che fosse resa conforme alle prescrizioni di cui all’art. 901 come prevede il successivo art. 902 cod. civ. Considerato che l’appellante non si era lamentato per la condanna a rimuovere le tubazioni di alimentazione idrica ed elettrica poste sul muro divisorio ma che non fosse stata condannata anche la F. alla rimozione di tubazione ivi collocate dalla stessa sul muro divisorio, il relativo motivo d’appello è inammissibile. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.V. per un motivo. F.A. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso C.V. lamenta la violazione e/o falsa applicazione della norma di legge di cui all’art. 901 cc. in correlazione con gli artt. 905 e 902 cc. con riferimento alla qualificazione della veduta illegittima. Avrebbe errato, la Corte napoletana, secondo il ricorrente, nell’aver affermato che la veduta presente a ridosso del confine C. F. non sarebbe soggetta alla distanza di m. 1,5 dal fondo del vicino come prescrive la norma dell’art. 905 cod. civ. poiché dalla terrazza in questione si può soltanto guardare sul fondo del vicino senza possibilità di affaccio a causa della presenza delle sbarre verticali di una cancellata in ferro sovrastante il parapetto ed incorporata ad essa, considerato che l’obbligo di rispettare le distanze per l’apertura di vedute sul fondo del vicino non viene meno se la presenza di muri divisori o altre barriere impediscono in concreto l’affaccio sul medesimo. La Corte napoletana avendo disposto la condanna della F. alla chiusura del lato del terrazzo prospiciente il fondo C. (quello quindi sul confine) mediante la collocazione sulla cancellata metallica di una grata fissa dotata di maniglie non maggiori di tre centimetri ed avere stabilito che non occorreva innalzare ulteriormente l’altezza complessiva della chiusura verso il fondo C. , attualmente di metri 2,50, dal piano di calpestio del terrazzo, non ha tenuto conto che il n. 2 dell’art. 901 stabilisce che le luci che si aprono sul fondo del vicino devono avere il lato inferiore ad un’altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo al quale si vuol dare luce e area e non minore di due metri se sono ai piani superiori. La Corte napoletana, secondo il ricorrente, avrebbe commesso un ulteriore errore laddove limita il suo provvedimento esclusivamente al tratto B-C omettendo completamente la pronuncia rispetto al tratta C-D, considerato che, come ha rilevato il tecnico, l’apertura sul fondo C. priva dei requisiti imposti dall’art. 901 cc. non era solo quella relativa al tratta C-D del terrazzo A, della costruzione D bensì anche quella relativa a tutto il tratto B-D dei terrazzi A e B entrambi costituenti il solaio calpestabile del corpo di fabbrica D. 1. –
Il motivo è in parte fondato, in parte inammissibile. Secondo la Giurisprudenza consolidata, l’apertura non avente i caratteri di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare sul fondo vicino, è considerata come luce, anche se non conforme alle prescrizioni di cui all’art. 901 cod. civ., ed è soggetta al relativo regime. Nell’ipotesi di luce irregolare, il vicino ha il diritto, previsto dal secondo comma dell’art. 902 cod. civ., di esigere che tale apertura sia resa conforme alle prescrizioni di cui all’art. 901 cod. civ., ovvero di chiuderla acquistando la comunione del muro ed appoggiarvi la propria fabbrica, o costruendo in aderenza. In particolare, la regolarizzazione dell’apertura irregolare comporta la necessità di dotarla dei tre requisiti strutturali previsti dall’art. 901 cod. civ. e cioè: l’inferriata, la grata in metallo e l’altezza. L’inferriata serve a garantire la sicurezza del vicino (si ritiene infatti sicura un’inferriata di dimensioni tali da impedire il passaggio di una persona); la grata serve ad impedire l’immissione nel fondo del vicino di cose gettate dalla finestra; l’altezza minima, sia interna che esterna, serve ad impedire l’esercizio della veduta sul fondo vicino. Con l’ulteriore precisazione che tutti gli elementi sono essenziali e che nessun elemento componente dell’apertura, come davanzale o grata metallica, deve fuoriuscire dal profilo esterno del muro, nel quale la luce è realizzata. 1.1.a). – Ora nel caso in esame la Corte napoletana pur avendo riconosciuto che il muro posto a confine tra le proprietà C. e F. costituiva il parapetto del terrazzo della fabbrica D realizzata dalla F. , ed essendo sovrastato da una cancellata in ferro alta m. 1,50, realizzava una luce irregolare, e però, nel disporre la regolarizzazione di tale apertura non teneva conto della normativa di cui al n. 2 dell’art. 901 cod. civ., e cioè ometteva di disporre la sopraelevazione del muro ad un’altezza non inferiore a metri 2,50 da suolo calpestabile del terrazzo della F. , considerato che il terrazzo di cui si dice è collocato ad un piano superiore rispetto al piano terreno. Il calcolo aritmetico tra la misura del basso parapetto in muratura e la misura della cancellata che lo sovrastava, prospettato dalla Corte di Appello di Napoli, non è in grado di modificare lo stato di irregolarità della luce di cui si dice perché la cancellata in ferro sovrastante il parapetto alto un metro identifica in tutta la sua grandezza lo spazio dell’apertura che andava regolarizzata. Insomma, lo spazio identificato dalla cancellata esistente andava considerato quale apertura sul fondo del vicino il cui lato inferiore esterno ed interno non doveva essere posto ad una altezza inferiore di m. 2,50 dal suolo di calpestio ovvero dal suolo del terrazzo della F. 1.b). – Inammissibile è il profilo del motivo con il quale il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia rispetto al tratta C-D, considerato che l’apertura sul fondo C. priva dei requisiti imposti dall’art. 901 cc. non era solo quella relativa al tratto C-D del terrazzo A, della costruzione D bensì anche quella relativa a tutto il tratto C-D del terrazzo A, della costruzione D bensì anche quella relativa a tutto il tratto B-D dei terrazzi A e B entrambi costituenti il solaio calpestabile del corpo di fabbrica D. Intanto tale censura non identifica una violazione o falsa applicazione della normativa di cui agli artt. 901 – 905 cod. civ., ma un’omissione di motivazione o una lesione dell’art. 112 c.p.c., non corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Tuttavia, vi è ragione di ritenere che la censura introduca una questione nuova non proponibile in cassazione, considerato che nella descrizione dei luoghi cui si riferisce la controversia è stato detto che il fondo della F. presentava un corpo di fabbrica seminterrato (denominato D) posto a confine con il fondo C. e più precisamente in appoggio al muro comune di confine e che il solaio di copertura di quest’ultimo corpo di fabbrica D si presentava piano ed adibito a terrazzo praticabile.
In definitiva, il ricorso va accolto per quanto di ragione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Napoli anche per il regolamento delle spese relative al presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo per quanto di ragione, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di, Napoli anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

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