La norma che consente l’annullamento del matrimonio va interpretata nel senso strettamente letterale, e cioè che la malattia o la deviazione sessuale deve essere d’impedimento allo svolgimento della normale vita coniugale. Quindi, deve essere prevalente l’elemento oggettivo dell’impedimento alla normalità della vita coniugale e non l’elemento soggettivo relativo alle condizioni dell’altro coniuge o alla sua personale concezione di sessualità o del matrimonio. Anche nel caso dell’impotenza generandi del partner, si richiede che la causa che determina l’impotenza non sia altrimenti eliminabile, ad esempio tramite il ricorso alla fecondazione assistita. L’unico caso in cui si considera a priori impossibile la prosecuzione della vita coniugale è il caso del transessualismo o dell’impotenza coeundi.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

Sentenza 22 gennaio – 12 febbraio 2013, n. 3407
Svolgimento del processo

1. B.T. ha convenuto davanti al Tribunale di Ascoli Piceno D.O. chiedendo che fosse pronunciata la nullità del loro matrimonio, contratto in Palmiano il 7 giugno 1997, a seguito del comportamento violento prevaricatore del marito che dopo il matrimonio le aveva imposto rapporti sessuali innaturali e contro la sua volontà.

2. D.O. si è costituito negando la ricostruzione dei fatti prospettata dalla T.

3. Il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza n. 498/2004, ha respinto la domanda di annullamento del matrimonio e nella motivazione ha rilevato che i coniugi, che prima del matrimonio non avevano, per loro scelta, intrattenuto una vita sessuale comune, si erano trovati a scoprire, dopo il matrimonio, di avere desideri, tendenze e sensibilità incompatibili. Il Tribunale ha escluso peraltro, che a sessualità dell’O. potesse definirsi nei termini di una sessualità deviata.

4. Ha proposto appello la T. deducendo la nullità della sentenza perché pronunciata dal Tribunale non in composizione collegiale e senza la presenza obbligatoria del Pubblico Ministero.

Nel merito ha lamentato che il Tribunale abbia valorizzato testimonianze compiacenti o provenienti da soggetti non a conoscenza dei fatti, senza invece tenere conto degli elementi probatori apportati dall’attrice. In particolare, mentre era risultato che il periodo di fidanzamento si era svolto in armonia, dopo il matrimonio erano emerse tendenze sessuali dell’O. e atteggiamenti violenti e prevaricatori che, se conosciuti in precedenza, l’avrebbero indotta sicuramente a rifiutare ogni ipotesi di matrimonio.
5. La corte di appello di Ancona ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado perché emessa dal Tribunale in composizione monocratica e ha deciso la causa merito, ritenendo di poter utilizzare il materiale probatorio acquisito, seppure non in sede collegiale. Ha ritenuto infondata la domanda di annullamento del matrimonio per errore essenziale sulle qualità personali del coniuge. Ha presupposto infatti la Corte territoriale che l’errore, cui si riferisce l’invocata disposizione dell’art. 122, comma 3 n. 1 c.c., deve ricadere sulla esistenza di una anomalia o deviazione sessuale, riguardante l’altro coniuge, tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale e in particolare l’esplicazione di una relazione sessuale fra i coniugi. La Corte ha ritenuto non provata una tale forma di devianza, così come ha ritenuto non provato l’impedimento derivante dalla personalità e dall’orientamento sessuale del marito allo svolgimento di una vita sessuale compartecipata da parte dei due coniugi.

6. Ricorre per cassazione B.T. deducendo violazioni di legge e specificamente degli artt.: a) 113, 115, 116 nonché 161, e 162 c.p.c.; b) 2, 3, 13, 29 della Costituzione; c) 91 c.p.c.

7. La ricorrente sottopone alla Corte i seguenti quesiti di diritto: a) se, una volta dichiarata nulla la sentenza di primo grado perché pronunciata da giudice monocratico anziché collegiale, possa la Corte, non vertendosi in ipotesi di rinvio al primo giudice, utilizzare le prove raccolte dal giudice monocratico, ovvero se debba procedersi, da parte della Corte, ad assumere quelle articolate dalle parti; b) se è viziata logicamente la motivazione che a fronte di prove orali e documentali di un determinato fatto, decisivo ai fini della causa, lo neghi a fronte della sola negatoria di quello da parte del convenuto; c) se la continua pretesa di rapporti anali da parte del coniuge, scoperta dopo le nozze, ed esercitata, sull’opposizione dell’altro coniuge, con la violenza, concretizzi quella devianza sessuale, di cui all’art. 122 comma 2 del codice civile, motivo di annullamento del matrimonio, pur se in presenza di sporadiche copule naturali; d) se, dichiarata nulla la sentenza di primo grado, su eccezione contrastata dalla controparte, la declaratoria comporti, non rinviandosi la causa al primo giudice, il qualificarsi l’appellante parte vittoriosa, con condanna dell’appellato alle spese ex art. 91 c.p.c., ovvero se debbasi ritenere la sentenza di secondo grado come emessa in unico grado così ritenendo annullata, dalla nullità dichiarata, anche la condanna alle spese di primo grado.

8. Resiste con controricorso D.O.

 

Motivi della decisione

9. Per quanto riguarda il primo quesito di diritto si richiama la giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. sezione I n. 9615 del 22 aprile 2010) secondo cui la norma dell’art. 50-bis cod. proc. civ., che stabilisce quando il tribunale debba decidere in composizione collegiale, non attiene alla competenza, ma solo alla ripartizione degli affari all’interno del medesimo tribunale, e il mancato rispetto di tale ripartizione, conseguente alla trattazione da parte del giudice monocratico di una causa che avrebbe dovuto essere trattata dal collegio, determina – secondo quanto prevede l’art. 50-quater cod. proc. civ. – una nullità da far valere ai sensi dell’art. 161, primo comma, cod. proc. civ. con i motivi di gravame. L’accertamento, da parte del giudice d’appello, dell’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non rientra fra le tassative ipotesi di rimessione della causa al primo giudice. Correttamente quindi la Corte di appello ha deciso la causa senza rimettere la causa al primo giudice nonostante la dichiarazione di nullità della sentenza. Né può ritenersi che la Corte di appello avrebbe dovuto rinnovare in sede collegiale l’attività istruttoria svolta in primo grado perché la collegialità e prevista dall’art. 50 bis per la fase decisoria.

10. Il secondo quesito di diritto è palesemente inammissibile perché non ha un significato concreto ai fini della decisione del presente giudizio. Il quesito dà per scontato che i fatti ritenuti rilevanti dalla ricorrente risultino inequivocamente provati, ma ciò evidentemente costituisce una richiesta di riedizione del giudizio di merito secondo la ricostruzione perorata dalla parte ricorrente, una richiesta che appare, come detto, inammissibile.

11. Il terzo quesito affronta la tematica, controversa in questo giudizio, della non riconoscibilità, ai, fini della fondata proposizione di un’azione di annullamento del matrimonio, del futuro comportamento sessuale e affettivo dell’altro coniuge, comportamento connotato da tale tasso di anormalità e prevaricazione da costituire, per la sua imprevedibilità, una causa di annullamento per errore sulle qualità essenziali della persona del futuro coniuge. La Corte ritiene che i giudici di appello attraverso la loro motivazione, lungi dal ridimensionare le deduzioni dell’odierna ricorrente in ordine alla violenza e inaccettabilità delle modalità di relazione adottate dal marito, abbiano circoscritto in termini molto rigorosi la sfera di applicazione dell’art. 122 del codice civile. In particolare emerge dalla lettura della motivazione, in stretta aderenza al testo della norma, una restrizione della rilevanza dell’errore ai soli casi in cui si manifesti nell’altro coniuge una anomalia o deviazione sessuale tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale. In altri termini l’anomalia o deviazione deve costituire un impedimento oggettivo e non superabile allo svolgimento della vita coniugale. Tale lettura della norma appare coerente all’intento del legislatore che, se pure ha voluto allargare le ipotesi di rilevanza dell’errore, dando rilievo al consenso dei futuri coniugi e rendendo pertanto rilevante – nei casi indicati dal numero 1) del comma 3 dell’art. 122 c.c. – l’errore soggettivamente determinante su qualità della persona, ha, nello stesso tempo, richiesto che l’errore verta su un quadro di qualità o requisiti dell’altro coniuge non solo indicati nella norma, ma tali anche da impedire oggettivamente la loro eliminazione. Si spiega in questa prospettiva perché la giurisprudenza di merito sia stata particolarmente rigorosa nel riconoscimento dell’ipotesi di nullità per errori concernenti anomalie o deviazioni sessuali. Anche l’ipotesi della impotentia generandi, per esempio, è stata sottoposta, in giurisprudenza e dottrina, a revisione critica in relazione alla possibilità di ricorrere a terapie o a tecniche di procreazione medicalmente assistita; significativamente sono state invece riconosciute come oggettivamente rilevanti le ipotesi in cui l’errore aveva avuto ad oggetto la condizione di impotentia coeundi permanente del coniuge o il suo transessualismo. Nella specie la Corte di appello ha rilevato una inadeguata preparazione al matrimonio da parte dei coniugi, intesa come adeguata conoscenza della personalità del futuro coniuge, anche in relazione alla fondamentale prospettiva di una condivisione della propria vita sessuale. Ne è derivata dopo il matrimonio una situazione di disagio e di sofferenza che è stata imputata dalla T. al comportamento prevaricatore e violento dell’O. e che in breve tempo ha, determinato l’impossibilità dello svolgimento di una normale vita di relazione sessuale fra i coniugi, pervenendo a deteriorare completamente la loro vita coniugale. La Corte non ha però riscontrato la esistenza nell’O. di una anomalia o deviazione sessuale in quanto ha ritenuto che alla base di questo impedimento vi fosse, sostanzialmente, non una sua particolare fisionomia sessuale, ma la sua incapacità psicologica di concepire i rapporti sessuali con la moglie in termini di condivisione de1 piacere erotico e della affettività. Tale ricostruzione del merito della controversia non appare, per quanto si è detto, in contrasto con un dato normativo particolarmente rigoroso. Né appare viziato da una contraddittorietà logica tale da inficiare la ratio della norma invocata dalla ricorrente che, per ciò che concerne la tutela del consenso nella scelta del coniuge, al fine della realizzazione del diritto a condividere con lui la propria vita sessuale, si limita a prendere in esame e a dare rilevanza alle ipotesi in cui la qualità non conosciuta dell’altro coniuge venga a frapporsi come un impedimento oggettivo e ineludibile. L’impossibilità di pervenire a quell’accordo e rispetto reciproco che costituisce il presupposto di una vita sessuale condivisa non è invero circoscrivibile a tali ipotesi ma, nella logica del nostro codice civile, non può avere al di fuori di esse, alcuna rilevanza sotto il profilo della formazione del consenso. Al contrario si tratta di ipotesi che possono avere piena rilevanza nella constatazione della insostenibilità del vincolo coniugale e nel giustificare non solo la richiesta del suo scioglimento, ma anche della addebitabilità della separazione. Così come possono avere, ovviamente, rilievo nell’accertamento della responsabilità penale e civile del coniuge che si è reso responsabile di un comportamento lesivo della dignità, della integrità fisica e della libertà di autodeterminazione del proprio partner.

12. Infine il quarto quesito di diritto sottopone una infondata questione relativa alla sorte delle spese processuali dei due gradi del giudizio di merito, che la Corte di appello, dopo aver dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, ha regolato nel rispetto dell’articolo 91 c.p.c. compensandole per metà, in considerazione dell’esito complessivo della lite, della peculiarità della fattispecie e delle evidenziate difficoltà in ordine alla dimostrazione dei fatti costitutivi della domanda, e ponendo a carico della T. l’ulteriore quota in relazione al rigetto della sua domanda.

13. Il ricorso va quindi respinto. Si ritiene di compensare interamente le spese del giudizio di cassazione in considerazione della peculiarità dalla controversia e della delicatezza della materia trattata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente le spese del giudizio di cassazione. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003.

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