Se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; peraltro fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale.

 

Cassazione civile sez. II, 03 dicembre 2010, n. 24647

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 23 ed il 24-11-1994 G. R., premesso che con atto a rogito notaio Bianchi del 27-8-1981 l’esponente ed G.A., all’epoca coniugati, avevano acquistato in comproprietà a 50% per ciascuno l’immobile sito in (OMISSIS), e che con sentenza del Tribunale di Roma n. 6914/1991 confermata in appello e poi passata in giudicato era stata pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i predetti coniugi, assumeva che, deceduto il (OMISSIS) lo S. lasciando eredi i figli Y. ed A. nonchè la sorella E. per la quota disponibile, era interesse dell’attrice chiedere la divisione del bene con il riconoscimento della quota di sua proprietà pari al 50%, ottenere la restituzione degli oggetti e beni mobili lasciati presso l’abitazione al momento della separazione, nonchè la quota di Vi dei frutti civili relativi al godimento in via esclusiva dell’immobile da parte di Y. ed S.E..

G.R. quindi conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Y., E. ed S.A. chiedendo lo scioglimento della comunione dell’immobile e la condanna di S.Y. ed E. alla restituzione dei beni mobili ed a pagamento dei frutti per l’occupazione dell’appartamento.

Nella contumacia di S.A. si costituivano in giudizio Y. ed S.E. rimettendosi al Tribunale in ordine alla domanda di divisione e chiedendo il rigetto delle altre domande.

Il Tribunale adito con sentenza del 4-1-2000, dichiarata aperta la successione di S.A., dichiarava che l’eredità era costituita dalla quota di proprietà pari a 1/2 del suddetto immobile, che tale quota si era devoluta per successione in favore di tutti i soggetti convenuti in ragione di 1/3 ciascuno, disponeva lo scioglimento della comunione del bene mediante la vendita al pubblico incanto al prezzo base di L. 321.000.000 con attribuzione del ricavato in ragione di 1/2 all’attrice e di 1/6 a ciascuno dei convenuti, disponeva come da separata ordinanza per le operazioni di vendita, rigettava la domanda per la restituzione dei beni mobili, e condannava E. ed S.Y. in solido a corrispondere alla G. la somma di L. 9.847.460 per frutti civili relativi al godimento dell’immobile oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.

Proposta impugnazione da parte della G. cui resistevano Y. ed S.E. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 19-1- 2005 ha rigettato il gravame ritenendo corretto il criterio equitativo adottato dal primo giudice per la liquidazione dei frutti civili in favore dell’appellante a seguito del godimento esclusivo dell’immobile per cui è causa da parte delle appellate, mediante riferimento all’equo canone di locazione.

Per la cassazione di tale sentenza la G. ha proposto un ricorso affidato ad un unico motivo cui Y. ed S.E. hanno resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo formulato la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1101 e ss., 1224 e ss. c.c., artt. 116 e ss. c.p.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto condivisibili i criteri adottati dal Tribunale per la determinazione dei frutti civili derivanti dall’occupazione da parte di Y. ed S.E. dell’appartamento di via (OMISSIS).

Sotto un primo profilo la G. rileva che l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non vi sarebbe stata prova dell’opposizione delle controparti ad eventuali richieste di partecipazione della G. al godimento dell’immobile comune (con conseguente legittimità de criterio equitativo adottato per la determinazione dell’indennità spettante alla G. per il godimento esclusivo del bene da parte di Y. ed E. S.), oltre a far leva su una prova negativa che semmai avrebbe dovuto influire negativamente sulla posizione delle controparti, era smentita dalla lettura degli atti processuali avversari da cui emergeva al contrario un sistematica negazione dei diritti di comproprietà dell’esponente sull’appartamento in questione.

La G. quindi afferma che, a seguito dell’occupazione del bene comune da parte di Y. ed S.E., l’esponente aveva diritto al risarcimento del danno per il mancato godimento dell’immobile, danno del resto determinato dalla C.T.U. espletata nel primo grado di giudizio in L. 1.300.000 mensili con riferimento al canone di locazione in base ai prezzi di mercato dell’epoca;

inopinatamente pertanto i giudici di merito si erano discostati da tale criterio procedendo ad una liquidazione equitativa, alla quale invero può farsi riferimento in via residuale solo in presenza di una impossibilità o di una motivata grande difficoltà di procedere alla esatta quantificazione de danno, evenienza insussistente nella specie.

La ricorrente sostiene inoltre che il pregiudizio subito dal proprietario per il mancato godimento del bene deve essere ristorato attraverso il riconoscimento di una somma di denaro ritenuta equivalente ai frutti civili, da commisurarsi con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della divisione, da identificarsi nel corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, non certo determinati in base al valore locativo fissato secondo i parametri dell’equo canone.

Infine la G. deduce l’illegittimità della decisione impugnata anche nella parte in cui, nel procedere alla liquidazione equitativa dei danno, ha negato il riconoscimento della rivalutazione monetaria sul credito maturato.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha affermato che l’uso diretto da parte di un comproprietario di un immobile costituisce attuazione del diritto dominicale, e che inoltre nella fattispecie non vi era prova che gli appellati si fossero opposti ad eventuali richieste di partecipazione della G. al godimento del bene attraverso, ad esempio, l’uso turnario; correttamente quindi il giudice di primo grado aveva provveduto, quanto alla liquidazione della indennità spettante alla G. per il godimento esclusivo dell’immobile per cui è causa da parte delle convenute, ad una determinazione in via equitativa facendo riferimento all’equo canone di locazione; infine ha rilevato che tale liquidazione equitativa della suddetta indennità non comportava la rivalutazione monetaria della somma a tale titolo determinata.

Orbene il convincimento espresso dal giudice di appello è corretto e dunque immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente.

Occorre muovere dalla premessa in fatto che secondo la sentenza impugnata la G., cui incombeva il relativo onere, non ha provato una opposizione da parte di Y. ed S.E. al godimento dell’immobile oggetto di comproprietà da parte dell’attuale ricorrente; al riguardo le deduzioni svolte da quest’ultima in senso contrario sono infondate, posto che l’assunto secondo cui le controparti avrebbero nella presente causa negato qualsiasi forma di riconoscimento dei diritti di comproprietà della G. è smentito dalla pacifica circostanza che le convenute costituendosi in giudizio si sono rimesse al Tribunale in ordine alla decisione sulla domanda di divisione, così almeno implicitamente non contestando il diritto di comproprietà dell’attrice sull’immobile.

Pertanto il godimento del bene da parte di S.Y. ed E. era del tutto legittimo, considerato che se la natura di un immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; peraltro, fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere l’idoneità a produrre qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. 4-12-1991 n. 130369; sempre dalla sopra enunciata premessa in fatto consegue poi l’irrilevanza nella specie del richiamo della ricorrente alla pronuncia di questa stessa Corte 2-8- 1990 n. 7716, posto che il riconoscimento ivi affermato del diritto di alcuni condividenti di un immobile da essi non utilizzato ai frutti civili con riferimento ai prezzi di mercato al tempo della divisione nei confronti di altro condividente è stato determinato dal fatto – non ricorrente nella fattispecie – che costui aveva goduto l’intero bene da solo senza alcun titolo giustificativo).

Dalla considerazioni esposte discende che il godimento esclusivo dell’immobile per cui è causa da parte delle attuali controricorrenti era inidoneo in radice ad essere fonte di danni per la G., che aveva invece diritto al corrispettivo “pro quota” del mancato godimento del bene, ovvero ai frutti civili; correttamente pertanto la Corte territoriale ha proceduto ad una valutazione equitativa di essi facendo riferimento all’equo canone di locazione, criterio quest’ultimo corretto sotto il richiamato profilo equitativo, trattandosi di un significativo parametro di liquidazione con riferimento alla legislazione vincolistica vigente in tale materia all’epoca dei fatti di causa; è infine appena il caso di rilevare che il mancato riconoscimento di un danno in favore della G. ha conseguentemente comportato che la somma equitativamente determinata per il mancato godimento dell’immobile non era suscettibile di rivalutazione monetaria.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 1300,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2010

 

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