Non è necessaria la richiesta del titolo abilitativo per i mutamenti di destinazione d’uso funzionali che non comportano opere edilizie visibili. Lo ha affermato il Consiglio di Stato.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 28-05-2010, n. 3420

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso r.g.n. 3279/1999, proposto da:

P.L., rappresentata e difesa dagli avv.ti Ermes Coffrini e Massimo Colarizi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via Panama, 12; Carlini Marco e Carlini Ermelinda, n.c.;

contro

Comune di Reggio Emilia, rappresentato e difeso dall’avv. Santo Gnoni, con domicilio eletto presso lo studio del dr. Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. EmiliaRomagna, Parma, n. 00116/1999, resa tra le parti e concernente concessione edilizia e ripristino dello stato dei luoghi.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del comune di Parma;

visti tutti gli atti e le memorie della causa;

relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2010, il Consigliere di Stato Aldo SCOLA ed uditi, per le parti, gli avvocati Colarizi e Pafundi, quest’ultimo per delega di Gnoni;

Svolgimento del processo

A) – I tre originari ricorrenti esponevano che, con concessione edilizia 4 giugno 1965, era stata loro assentita la realizzazione di un complesso immobiliare nel centro storico di Reggio Emilia, con negozi e locali seminterrati (già accatastati originariamente come commerciali), con variante poi destinati ad uso commerciale; il 25 maggio 1995 essi presentavano d.i.a. per il mutamento di destinazione d’uso senza opere di magazzini a locali commerciali, con successiva ordinanza comunale di ripristino del 27 ottobre 1995, prontamente impugnata per violazione degli artt. 8 e 25, legge n. 47/1985, e degli artt. 1, lett. a), 2 e 6, comma 3, legge reg. EmiliaRomagna n. 46/1988, e delle norme urbanistiche, falsi presupposti, illogicità, travisamento e vizio di motivazione, trattandosi di locali da sempre destinati ad uso commerciale o, al massimo, trasformati senza alcuna variante essenziale, dato che le n.t.a., p.r.g., equiparerebbero depositi e magazzini a locali commerciali, al massimo sanzionabili ex art. 10 (e non ex art. 7), legge n. 47/1985, ed art. 16, legge n. 6/1995.

Il comune intimato si costituiva in giudizio e resisteva al ricorso, la cui istanza cautelare veniva accolta, mentre i primi giudici affermavano che l’esistenza della disciplina dei casi di necessaria autorizzazione sindacale preventiva per i mutamenti di destinazione d’uso ne escluderebbe una generalizzata imprescindibilità, salva una previa regolamentazione in apposito strumento urbanistico, in atto contemplante come varianti essenziali il mutamento degli standard ai sensi dell’art. 46, legge n. 47/1985, l’aumento della cubatura progettuale di oltre mc. 300 e l’ampliamento della superficie utile di oltre mq. 100; che non era stata chiesta né ottenuta alcuna autorizzazione igienicosanitaria per un mutamento di destinazione d’uso interessante un’area di oltre mq. 100 e, dunque, integrante una variante essenziale; pertanto, gli stessi respingevano il ricorso.

B) – Detta sentenza veniva poi impugnata dalla parte soccombente per le stesse censure già dedotte in prime cure e, inoltre, per violazione del d.l. n. 88/1995 (i cui effetti sarebbero stati fatti salvi dall’art. 2, punto 61, legge n. 662/1996), del p.r.g. di Reggio Emilia, art. III, 2, 01 (dato che, prima dell’entrata in vigore della legge n. 47/1985, i mutamenti di destinazione d’uso – U15 – senza opere non sarebbero stati disciplinabili urbanisticamente), per cui si sarebbe trattato di un cambio d’uso solo funzionale, di data ben anteriore all’entrata in vigore della legge n. 47/1985, relativo a superficie utile (non di vendita, ma a disposizione dei negozi) secondo la disciplina edilizia comunale, senza varianti essenziali e senza riflessi sugli standard, donde l’insussistente necessità di previo assenso comunale (cfr. C.S., sezione V, dec. n. 4102/2003 e dec. n. 2586/2003.)

Il comune appellato si costituiva in giudizio e resisteva al gravame, mentre gli appellanti ribadivano le proprie tesi difensive in apposita memoria, depositata in vista dell’esame della loro domanda cautelare (poi accolta in sede d’appello) ed in un’ultima memoria finale.

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione, dopo il deposito di una memoria riepilogativa da parte del comune di Reggio Emilia.

Motivi della decisione

I) – L’appello è fondato e va accolto, trattandosi di mutamento d’uso soltanto funzionale, senza visibili opere edilizie, per cui non occorreva nella specie neppure l’autorizzazione a costruire, salva l’ipotesi di contrasti con i vigenti assetti urbanistici di zona, secondo cui risulta superficie utile di vendita quella destinata a tale impiego, comprensiva dell’area occupata da banchi, scaffali, vetrine e mostre, come pure quella di ogni altro locale aperto al pubblico, mentre non integrano superficie di vendita (pur trattandosi di area utile) gli spazi destinati a magazzino, deposito merci, locali di lavorazione, uffici e servizi.

Dunque, i locali destinati a magazzino costituiscono superficie utile a tutti gli effetti, per cui il loro impiego finalizzato all’attività commerciale (con la quale sono strettamente connessi) non risulta contrastare in alcun modo con i vigenti assetti urbanistici di zona, trattandosi di un naturale e solo ulteriore, ma non sostanzialmente diversificato, modo di usare detti spazi: d’altra parte, non si può accrescere la disponibile superficie utile con aree che il p.r.g. già considera come tali, a nulla rilevando, nella specie, le prescrizioni igienicosanitarie o di tutela della sicurezza negli ambienti di lavoro, operanti su di un piano differenziato.

II) – E ciò vale per ogni tipo di standard, concernente insediamenti residenziali, produttivi, alberghieri, direzionali e commerciali (pure all’ingrosso), per cui anche gli spazi accessori seguono la medesima regolamentazione e sono commisurati alla superficie lorda di pavimento, con correlativa irrilevanza di ogni modificata destinazione d’uso, tanto più che, nell’originario titolo concessorio, i discussi ambienti interrati risultavano definiti come locali a disposizione dei negozi, data la loro stretta connessione (pure catastale) con l’attività commerciale propriamente detta: il che esclude ogni possibile applicabilità delle ipotizzate sanzioni.

Conclusivamente, l’appello va accolto, con riforma dell’impugnata sentenza, accoglimento del ricorso di prima istanza ed annullamento degli atti ivi impugnati, fatti salvi quelli ulteriori della p.a., che li adotterà nel pieno rispetto dei principi di diritto qui enunciati, mentre le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio possono interamente compensarsi, per giusti motivi, tra le parti costituitevi, tenuto anche conto delle alterne vicende processuali e della natura della vertenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, accoglie l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti ivi impugnati, a spese ed onorari processuali integralmente compensati tra le parti in causa.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2010, con l’intervento dei signori giudici:

Stefano Baccarini, Presidente

Marco Lipari, Consigliere

Aldo Scola, Consigliere, Estensore

Nicola Russo, Consigliere

Eugenio Mele, Consigliere

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