L’amministrazione comunale è tenuta a garantire la circolazione dei veicoli e dei pedoni in condizioni di sicurezza: a tale obbligo l’ente proprietario della strada viene meno non solo quando non provvede alla manutenzione di quest’ultima, ma anche quando il danno sia derivato dal difetto di manutenzione di aree limitrofe alla strada, atteso che è comunque obbligo dell’ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza. Infatti il Comune, il quale consenta alla collettività l’utilizzazione, per pubblico transito, di un’area di proprietà privata, si assume l’obbligo di accertare che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata. Ne consegue che l’inosservanza di tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario della Pa, per il principio del neminem laedere, integra gli estremi della colpa e determina la responsabilità per il danno cagionato all’utente dell’area, non rilevando che l’obbligo della manutenzione incomba sul proprietario dell’area medesima.

Il Comune che consente alla collettività il transito su aree di proprietà privata adiacenti alle strade pubbliche si assume l’obbligo di garantire la sicurezza della circolazione anche su quelle aree e, pertanto, di accertarsi che la loro manutenzione e quella dei relativi manufatti non sia trascurata. Ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione, la natura privata dell’area non è di per sé sufficiente a scartare la responsabilità dell’amministrazione comunale laddove, data la destinazione del sedime al libero passaggio di veicoli e pedoni, si vengano a determinare omissioni o carenze nel controllo e/o nella vigilanza sull’operato del proprietario.

In tema di sicurezza della circolazione stradale il Comune pur non essendo tenuto a provvedere direttamente alla manutenzione dei fondi privati ha, però, l’obbligo di: a) segnalare ai proprietari di essi le situazioni di pericolo suscettibili di recare pregiudizio agli utenti della strada; b) adottare i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti o conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio; c) come extrema ratio, permanendo l’eventuale negligenza dei proprietari dei fondi finitimi nel rimuovere le situazioni di pericolo, chiudere la strada al traffico

 

CHIEDI UNA CONSULENZA

 

Circolazione stradale – Responsabilità e risarcimento – Danno – Cagionato da cose in custodia – Per la difettosa manutenzione di marciapiede aperto al pubblico transito – Responsabilità della Pa – Presupposti. (Cc, articolo 2051)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28021/2015 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio legale associato (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

Comune di Otranto;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 609/15 depositata l’8 settembre 2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2018 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

RILEVATO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre, con quattro mezzi, nei confronti della (OMISSIS) S.r.l. (che resiste con controricorso) e del Comune di Otranto (che non svolge difese nella presente sede) avverso la sentenza in epigrafe con cui la Corte d’appello di Lecce ne ha rigettato l’appello, confermando la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di condanna delle controparti al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza delle lesioni personali patite a causa d’una caduta, avvenuta mentre camminava lungo la via (OMISSIS) sul marciapiede presente ai margini della strada, a causa di una grata metallica ivi presente, che si apriva improvvisamente all’atto del suo passaggio.

La Corte territoriale ha escluso la configurabilita’ sia di una responsabilita’ ex articolo 2051 c.c., trattandosi di marciapiede di proprieta’ privata, benche’ soggetto ad uso pubblico, sia la responsabilita’ per colpa ex articolo 2043 c.c., non risultando che fosse stato segnalato agli uffici comunali il carattere insidioso, per i pedoni, dello sportellino esistente sulla grata metallica collocata sul marciapiede di proprieta’ privata, ne’ potendo desumersi l’insidia da un mero esame visivo dello stato dei luoghi.

Ha ritenuto inoltre adeguatamente provata la natura privata del tratto di marciapiede in questione, in base agli elementi emersi dalla relazione del tecnico comunale, geom. (OMISSIS) (in cui si precisa che le griglie sulle quali l’attrice e’ caduta “sono state autorizzate, unitamente al complesso residenziale, con concessione edilizia n. 34 del 29/6/2000 rilasciata alla soc. (OMISSIS) S.r.l.” e che “sono poste sulla parte di marciapiede ricadente sul suolo della societa’ sopra citata e sul quale e’ stato realizzato l’ampliamento del marciapiede medesimo”) e dalle indicazioni dallo stesso tecnico offerte in sede di esame testimoniale, che tra l’altro avevano evidenziato come la griglia fosse a servizio di sottostante struttura (cabina elettrica interna al complesso edilizio costruito da (OMISSIS) S.r.l.) egualmente non di proprieta’ pubblica ma privata: tali indicazioni erano ritenute attendibili in quanto specifiche e documentate, con riferimento ad elaborati tecnici di cui il teste aveva con se’ copia conforme e dei quali pertanto le parti avrebbero potuto direttamente prendere visione.

Ha infine ritenuto correttamente esclusa dal primo giudice la responsabilita’ di (OMISSIS) S.r.l. per essere stata adeguatamente provata in giudizio – con il relativo atto pubblico di compravendita del 15/2/2001, anche alla luce delle informazioni offerte dal teste (OMISSIS) – l’eccepita alienazione a (OMISSIS) S.p.A. del locale posto al piano interrato a cui servizio e’ collocata la griglia in questione.

La controricorrente ha depositato memoria ex articolo 380-bis c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2051 c.c., Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articoli 2 e 14 (nuovo codice della strada), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello escluso la configurabilita’ della responsabilita’ del custode a carico del Comune, in ragione della ritenuta proprieta’ privata del tratto di marciapiede ove si e’ verificata la caduta, non tenendo nel debito conto il pur riconosciuto uso pubblico dello stesso.

Sostiene che dal combinato disposto degli articoli 2 e 14 C.d.S. si ricava l’esistenza, in capo all’amministrazione comunale, di un potere/dovere di vigilanza sulle strade ad uso pubblico ricadenti nel proprio territorio, quale che sia la proprieta’, al fine di garantire la sicurezza e la fluidita’ della circolazione, con la conseguente configurabilita’ della responsabilita’ ex articolo 2051 c.c..

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c., articoli 2 e 14 C.d.S., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello escluso altresi’ la configurabilita’, in concreto, di una responsabilita’ per colpa ex articolo 2043 c.c., per non esservi stata alcuna precedente segnalazione all’ente della pericolosita’ della grata e non essendo tale insidiosita’ rilevabile con un mero esame visivo dello stato dei luoghi.

Lamenta che i giudici d’appello, limitando in tal modo la responsabilita’ per illecito aquiliano del Comune alla violazione colposa dell’”obbligo di accertarsi che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata dal proprietario”, non ha colto l’esatta portata del citato articolo. Assume infatti che l’obbligo a carico dell’ente pubblico non si esaurisce nel suddetto accertamento, ma comprende la gestione, la pulizia e soprattutto il controllo dell’efficienza dell’area privata soggetta ad uso pubblico, per assicurare “la sicurezza e fluidita’ della circolazione”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 101, 115, 116, 183 e 345 c.p.c. e articolo 87 disp. att. c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d’appello fondato la valutazione di attendibilita’ del teste geom. (OMISSIS) su documenti (gli elaborati tecnici portati con se’ dal teste e cui lo stesso ha fatto riferimento nel corso della sua deposizione) non prodotti in giudizio e per avere, sulla base delle dichiarazioni e della relazione tecnica di quest’ultimo, ritenuto dimostrata la proprieta’ privata del tratto di marciapiede ove insiste la griglia che ha cagionato la caduta, cosi’ superando la presunzione relativa ex lege di proprieta’ pubblica di tutti i marciapiedi attigui alla rete viaria interna all’abitato.

Rileva che, non essendo stati tali elaborati, ne’ la concessione edilizia menzionata dal teste, mai allegati in giudizio da alcuna delle parti, la Corte di merito non avrebbe potuto tenerne alcun conto e meno che mai avrebbe potuto utilizzarli per riscontrare le dichiarazioni e l’attendibilita’ del teste.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia infine violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1350 c.c., n. 1, articolo 2724 c.c., n. 3 e articolo 2725 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto provata la vendita della proprieta’ dell’area in cui si e’ verificato il sinistro, da (OMISSIS) S.r.l. ad (OMISSIS) S.p.A., a mezzo delle dichiarazioni del teste geom. (OMISSIS), non facendo l’atto pubblico di compravendita prodotto da (OMISSIS) S.r.l. alcun accenno alla alienazione dell’area di marciapiede predetta e/o delle grate posizionate sullo stesso.

5. Rilievo prioritario, sul piano logico giuridico, assume il terzo motivo di ricorso rispetto al primo e al secondo, il cui esame va pertanto ad essi anteposto.

Lo stesso deve ritenersi inammissibile e comunque infondato.

La censura non coglie infatti l’effettiva ratio decidendi esposta nella sentenza impugnata, appuntandosi su passaggio argomentativo che assume, nell’economia della motivazione, rilievo meramente rafforzativo di un convincimento che trova comunque aliunde autonomo e adeguato supporto logico.

La Corte di merito ha invero posto a fondamento della propria decisione sul punto anzitutto gli elementi emergenti dalla relazione del tecnico comunale, ritualmente acquisita al giudizio quale allegato alla memoria di costituzione del Comune di Otranto, e segnatamente il fatto, ivi attestato, che le griglie sulle quali l’attrice e’ caduta “sono state autorizzate, unitamente al complesso residenziale, con concessione edilizia n. (OMISSIS) rilasciata alla soc. (OMISSIS) S.r.l.” e che “sono poste sulla parte di marciapiede ricadente sul suolo della societa’ sopra citata e sul quale e’ stato realizzato l’ampliamento del marciapiede medesimo”.

Il successivo richiamo agli elementi pure forniti dallo stesso tecnico comunale attraverso la sua deposizione testimoniale vale solo a corroborare detto convincimento, trattandosi di informazioni sugli sviluppi successivi della pratica urbanistica riferita al progetto edilizio (sviluppi che confermano il dato gia’ emergente dalla relazione tecnica circa la proprieta’ privata dell’area) nonche’ di chiarimenti sull’affermazione ivi contenuta secondo cui le griglie in questione sono poste “sulla parte di marciapiede ricadente sul suolo della societa’ sopra citata e sul quale e’ stato realizzato l’ampliamento del marciapiede medesimo”.

Di tali indicazioni la Corte di merito esprime come detto un giudizio di piena attendibilita’ ritenendo, da un lato, che la responsabilita’ per danno erariale cui lo stesso tecnico comunale sarebbe esposto, secondo l’amministrazione appellata, in caso di accertamento della proprieta’ pubblica dell’area, non e’ idonea a sollevare dubbi al riguardo in quanto “meramente ipotetica ed eventuale” e, dall’altro, che le indicazioni fornite dal teste sono “specifiche e documentate”, “facendo riferimento agli elaborati tecnici di cui (il teste, n.d.r.) aveva con se’ copia conforme, cosi’ che le parti avrebbero potuto direttamente prenderne visione”.

La critica mossa dal ricorrente si appunta esclusivamente su tale ultimo rilievo il quale pero’: a) anzitutto non ha valore fondante del convincimento espresso (i documenti richiamati non sono utilizzati in sentenza quale fonte di prova diretta della proprieta’ privata dell’area) ma vale solo a giustificare il giudizio di attendibilita’ del teste, e cio’ peraltro in via solo indiretta riposando tale giudizio essenzialmente sul rilievo della precisione e specificita’ delle indicazioni dallo stesso fornite, ancorche’ consentite proprio dal riferimento da parte del teste ai documenti seco portati (sul cui legittimo utilizzo ai sensi dell’articolo 253 c.p.c., comma 3, e articolo 231 c.p.c. non risulta sollevata alcuna eccezione): cio’ che comunque esclude la configurabilita’ del dedotto error in procedendo; b) pure in tale limitata prospettiva, esso si riferisce comunque esclusivamente alle indicazioni fornite verbalmente nel corso della deposizione testimoniale, non anche alla relazione tecnica che costituisce documento ritualmente acquisito, per il quale il giudizio di attendibilita’ rimane fondato sul piu’ generale e insindacabile rilievo della infondatezza dei dubbi prospettati dall’amministrazione convenuta; c) a tutto concedere, anche espungendo il riferimento a detti documenti, il giudizio di attendibilita’ del teste rimarrebbe comunque giustificato – alla stregua di una valutazione di fatto insindacabile in questa sede – dal rilievo della insufficienza delle ragioni di sospetto prospettate dalla controparte.

6. Venendo quindi all’esame del primo motivo se ne deve parimenti rilevare l’infondatezza.

E’ jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui la responsabilita’ per i danni cagionati da cose in custodia, ex articolo 2051 c.c., e’ di natura oggettiva, incentrata sulla relazione causale che lega la cosa all’evento lesivo, senza che, ai fini della verificazione di tale evento, trovi rilievo alcuno la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza da parte di quest’ultimo sicche’ incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, solo il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosita’ o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima (tra le molte: Cass. 12/07/2006, n. 15779; Cass. 19/02/2008, n. 4279; Cass. 25/07/2008, n.20427; Cass. 12/11/2009, n. 23939; Cass. 10/04/2010, n. 8005; Cass. 11/03/2011, n. 5910; Cass. 19/05/2011, n. 11016; Cass. 08/02/2012, n. 1769; Cass. 17/06/2013, n. 15096; Cass. 25/02/2014, n. 4446; Cass. 27/11/2014, n. 25214; Cass. 18/09/2015, n. 18317; Cass. 20/10/2015, n. 21212; Cass. Sez. U 10/05/2016, n. 9449; Cass. 27/03/2017, n. 7805; Cass. 16/05/2017, n. 12027; Cass. 29/09/2017, n. 22839).

E’ stato in tal senso precisato che il rapporto di “custodia” rilevante ex articolo 2051 c.c. non mutua i propri contenuti dalla materia dei contratti (ad es. il contratto di deposito) e che, dunque, non si identifica con la previsione di specifici obblighi di controllo e vigilanza e prescinde da una condotta (o prestazione) del custode con essi coerente ma postula piuttosto (e soltanto) una potesta’ di fatto sulla cosa determinativa del danno, ossia un effettivo potere fisico, che implichi il governo e l’uso della cosa stessa.

E’ custode ex articolo 2051 c.c., dunque, chi “di fatto ne controlla le modalita’ d’uso e di conservazione” (Cass. n. 4279 del 2008, Cass. n. 11016 del 2011, Cass. n. 1769 del 2012, cit.), per cui la “speciale responsabilita’ ex articolo 2051 c.c. va ricercata nella circostanza che il custode “ha il potere di governo sulla cosa”” (Cass. Sez. U n. 9449 del 2016, cit.). Il rapporto di “custodia “postula l’effettivo potere sulla cosa” e, quindi, non solo la sua disponibilita’ giuridica ma, insieme ad essa, la disponibilita’ materiale (Cass. n. 15096 del 2013, cit.), alla stregua di un binomio che opera unitariamente come fattore selettivo della figura del “custode”, rilevante ai sensi dell’articolo 2051 c.c., ossia di colui che – come detto – ha “il potere di governo” della cosa, “da intendersi come potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto” con essa (Cass. n. 15779 del 2006, cit.).

E’ dunque in tale prospettiva che e’ da intendere l’affermazione, sovente ribadita dai precedenti sopra richiamati, per cui custode non e’ da considerarsi “necessariamente il proprietario o chi si trova con essa (la cosa) in relazione diretta” (tra le altre, Cass. n. 4279 del 2008, cit.). Il rapporto di custodia che puo’ presumersi nella titolarita’ dominicale della cosa puo’, infatti, venire meno in ragione della escludente relazione materiale da parte di altro soggetto che, con la cosa medesima, abbia del pari un rapporto giuridicamente qualificato.

E’ il caso dei danni cagionati a terzi dall’immobile locato, per cui viene individuato nel conduttore il custode responsabile ex articolo 2051 c.c. del pregiudizio derivato dalle parti dell’immobile acquisite nella sua disponibilita’ giuridica con il contratto di locazione, mentre (salvo ipotesi di concorso di responsabilita’: cfr. Cass. 09/06/2016, n. 11815) il proprietario/locatore rimane custode e responsabile ex articolo 2051 c.c. del danno cagionato dalle strutture murarie dell’immobile medesimo e dagli impianti in esse conglobati (tra le altre, Cass. 03/08/2005, n. 16231; Cass. 09/06/2010, n. 13881; Cass. 27/07/2011, n. 16422).

Per converso la pure ricorrente affermazione secondo cui non e’ sufficiente la mera relazione diretta e materiale con la cosa ai fini dell’insorgenza del rapporto di custodia (quale criterio di imputazione) ai fini della responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c., e’ certamente vera se intesa nel senso che il “potere di governo” della cosa e’ qualcosa di piu’ ma non anche nel senso che se ne puo’ prescindere. Alla stregua degli indici sintomatici sopra evidenziati (Cass. n. 15779 del 2006, cit.), non e’ dato infatti riconoscere un rapporto di custodia ex articolo 2051 c.c. in capo a chi della cosa abbia la mera detenzione per ospitalita’ o di servizio, operando, in quest’ultimo caso, nell’ambito di piu’ ampi poteri organizzativi e direzionali spettanti ad altri (cosi’ gia’ Cass. 21/11/1978, n. 5418), ovvero in capo a chi della cosa sia mero utilizzatore (sporadico o temporaneo), ove la concessa facolta’ di utilizzazione della cosa non venga ad elidere, “per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi”, il “potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa” stessa che il concedente abbia conservato (Cass. n. 15096 del 2013, cit.).

Va dunque ribadito che, ai fini del rapporto di custodia rilevante ai sensi dell’articolo 2051 c.c. – quale elemento essenziale della fattispecie, oggettiva, di responsabilita’ extracontrattuale ivi disciplinata – e’ necessario, ma non sufficiente, che sussista un’astratta competenza giuridica sulla res, giacche’ a siffatta relazione giuridica, che e’ titolo di attribuzione di un potere di governo su di essa, deve corrispondere una disponibilita’ materiale o di fatto della cosa medesima, tale da rendere attuale e diretto l’anzidetto potere.

Ed e’ proprio siffatta complessiva situazione (che, in quanto tale, radica di per se’ il carattere oggettivo del titolo di responsabilita’, senza che abbia rilievo alcuno il comportamento, diligente o meno, del custode) che giustifica il criterio di imputazione della responsabilita’ stessa, in quanto essa implica, ex ante, il dovere, giuridico, di impedire che la cosa stessa non arrechi danni a terzi (cosi’ Cass. n. 22839 del 2017, cit.).

Cosi’ definito il rapporto di custodia rilevante ai sensi dell’articolo 2051 c.c. e’ evidente, dunque, che non basta a riconoscerlo in capo all’ente comunale rispetto alle strade private aperte al pubblico transito, il fatto che anche queste siano soggette, a norma delle suindicate norme del codice della strada, ai poteri/doveri di vigilanza finalizzati a garantire che la circolazione dei veicoli e dei pedoni avvenga, anche su di esse, in condizioni di sicurezza.

Tali poteri non escludono infatti che il “potere di governo” sulla “cosa” sia giuridicamente e materialmente esercitato in via immediata e diretta dal privato proprietario della strada, mentre l’attivita’ a tal fine svolta dal Comune e’ di carattere regolativo, ancorche’ puntuale, e poi di controllo sull’operato del privato, siccome volta a mantenere intatta la sicurezza e l’efficienza della strada rispetto al pubblico transito al quale essa e’ assoggettata, sia pure di fatto.

In quanto tale essa pero’ non basta a configurare, in riferimento alla strada medesima, un “rapporto di custodia” ai sensi e per gli effetti della responsabilita’ civile di cui all’articolo 2051 c.c., non assumendo il Comune per tali strade quella peculiare posizione connotata dal binomio della disponibilita’ giuridica e materiale della res, che ne consente il governo nei termini anzidetti.

La posizione dell’ente pubblico, come innanzi caratterizzata, e’ tale, semmai, da poter attivare una responsabilita’ aquiliana ai sensi dell’articolo 2043 c.c., la’ dove si vengano a determinare omissioni o carenze nel controllo e/o vigilanza sull’operato del proprietario o colpevoli errori nell’assunzione delle decisioni in materia di manutenzione, gestione della strada medesima (cfr. ancora Cass. n. 22839 del 2017, cit.; v. anche Cass. 22/10/2014, n. 22330).

7. Proprio in tale ultima corretta prospettiva si muove il secondo motivo di ricorso, il quale merita accoglimento.

Come s’e’ appena detto e come questa Corte ha gia’ piu’ volte affermato, l’amministrazione comunale e’ tenuta a garantire la circolazione dei veicoli e dei pedoni in condizioni di sicurezza: ed a tale obbligo l’ente proprietario della strada viene meno non solo quando non provvede alla manutenzione di quest’ultima, ma anche quando il danno sia derivato dal difetto di manutenzione di aree limitrofe alla strada, atteso che e’ comunque obbligo dell’ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza (Cass. 11/11/2011, n. 23362, Rv. 620314; Cass. 07/02/2017, n. 3216). Infatti il Comune il quale consenta alla collettivita’ l’utilizzazione, per pubblico transito, di un’area di proprieta’ privata, si assume l’obbligo di accertare che la manutenzione dell’area e dei relativi manufatti non sia trascurata. Ne consegue che l’inosservanza di tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario della P.A., per il principio del neminem laedere, integra gli estremi della colpa e determina la responsabilita’ per il danno cagionato all’utente dell’area, non rilevando che l’obbligo della manutenzione incomba sul proprietario dell’area medesima (Cass. 04/01/2010, n. 7, Rv. 610958; Cass. n. 3216 del 2017, Rv. 642752).

Nel caso di specie la Corte d’appello richiama espressamente il suesposto principio ma esclude che, in concreto, possa ascriversi al Comune alcuna colpa per omessa sorveglianza, in mancanza di alcuna segnalazione agli uffici comunali del carattere insidioso, per i pedoni, dello sportellino esistente sulla grata metallica collocata sul marciapiede di proprieta’ privata e considerato che il carattere pericoloso del citato sportellino non poteva desumersi da un “mero esame visivo dello stato dei luoghi”.

La ricorrente lamenta sul punto l’adozione di un erroneo parametro di diligenza, rilevando che quella richiesta all’ente nell’adempimento dell’obbligo di vigilanza e controllo su di esso gravante non e’ la semplice diligenza del buon padre di famiglia, bensi’ quella del soggetto professionale in grado di effettuare il “controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze”, richiesto dall’articolo 14 C.d.S..

La doglianza e’ fondata.

La colpa civile, di cui all’articolo 2043 c.c., consiste nella deviazione da una regola di condotta. “Regola di condotta” e’ non soltanto la norma giuridica, ma anche qualsiasi doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante.

Stabilire se questi abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza e’ accertamento che va compiuto alla stregua dell’articolo 1176 c.c., comparando la condotta concretamente tenuta dal preteso responsabile, con quella che un soggetto delle medesime qualita’ e condizioni avrebbe tenuto, nelle stesse circostanze di tempo e luogo.

Orbene, l’ente proprietario della strada aperta al pubblico transito e’ obbligato, come detto, a garantire la sicurezza della circolazione (articolo 14 C.d.S.) e ad adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade (Decreto Legislativo 26 febbraio 1994, n. 143, articolo 2).

Da queste previsioni – se, come pure s’e’ ripetuto, non discende certo, l’obbligo del Comune di provvedere esso stesso direttamente alla manutenzione dei fondi privati – discende, pero’, l’obbligo di: a) segnalare ai proprietari di essi le situazioni di pericolo suscettibili di recare pregiudizio agli utenti della strada; b) adottare i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti o conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio; c) come extrema ratio, permanendo l’eventuale negligenza dei proprietari dei fondi finitimi nel rimuovere le situazioni di pericolo, chiudere la strada al traffico (v. Cass. n. 22330 del 2014 cit.; v. anche Cass. 11/11/2011, n. 23562, Rv. 620514).

L’adempimento di un siffatto obbligo, considerata anche la finalita’ cui esso e’ preposto (assicurare la sicurezza della circolazione di veicoli e pedoni), richiede un comportamento piu’ attivo e attento di quello postulato dai giudici a quibus (secondo cui, in buona sostanza, un intervento del Comune nei sensi predetti avrebbe potuto considerarsi esigibile solo ove l’insidia fosse stata segnalata da alcuno agli uffici comunali o fosse percepibile ad un “mero esame visivo” dei luoghi) e con esso l’adozione di una diligenza rapportata ai mezzi e alle possibilita’ di monitoraggio dell’amministrazione comunale, apparendo di contro evidente che la decisione di merito adotta a parametro la stessa diligenza pretendibile dall’utente della strada (con il conseguente paradosso, peraltro, che il presupposto da essa richiesto per il sorgere della responsabilita’ dell’ente, ossia la visibilita’ dell’insidia, la escluderebbe al contempo per l’assorbente addebito di negligenza ascrivibile al danneggiato).

8. E’ infine inammissibile, e comunque infondato, il quarto motivo. La Corte d’appello ha tratto il convincimento secondo cui il tratto di marciapiede in questione sia compreso nell’immobile e nell’area sovrastante alienati da (OMISSIS) S.r.l. ad (OMISSIS) S.p.A. dall’esame dell’atto pubblico di compravendita e dei relativi allegati (stralcio topografico comprensivo anche di uno stralcio catastale, particolare del fabbricato in scala 1:500 e pianta in scala 1:100); ha al riguardo rilevato che “da tali elaborati grafici si desume chiaramente che l’immobile venduto, sito al piano interrato, sporge per circa metri 1,50 dalla sagoma del fabbricato sovrastante, occupando l’intera area sovrastante tratteggiata come marciapiede lungo la via (OMISSIS)”.

A tali dati ha affiancato gli elementi di valutazione desumibili dalle dichiarazioni del teste (OMISSIS) il quale ha dichiarato che, secondo quanto dallo stesso visionato direttamente sui luoghi, “la griglia sulla quale (l’attrice, n.d.r.) e’ caduta da’ accesso alla sottostante cabina elettrica a servizio del condominio”.

Si desume da cio’ che il convincimento conseguentemente espresso circa la titolarita’ dell’area in capo a (OMISSIS) S.p.A. trova in realta’ fondamento su distinti elementi di prova, richiamati in quanto convergenti, ma tuttavia autonomi e non interdipendenti, donde l’inammissibilita’ della censura in quanto riferita ad uno solo di essi (la prova testimoniale), la cui eliminazione dal percorso argomentativo non priverebbe comunque la decisione sul punto di adeguato supporto motivazionale.

La censura e’ comunque da considerarsi anche infondata, non potendo considerarsi pertinentemente richiamati i limiti legali in tema di prova dei contratti traslativi della proprieta’ di immobili.

Questi infatti, per pacifico indirizzo, valgono solo nell’ipotesi in cui il negozio sia invocato come fonte di diritti e obbligazioni fra le parti contraenti o dai loro eredi o aventi causa; non operano, invece, nel caso in cui il negozio sia dedotto dal o nei confronti del terzo come semplice fatto storico influente sulla decisione della causa (v. ex multis Cass. 23/12/2010, n. 26003; Cass. 26/09/2005, n. 18779; Cass. 10/04/2003, n. 5673).

Occorre peraltro rammentare che la prova testimoniale e’ comunque ammessa ogniqualvolta si tratti di chiarire la volonta’ dei contraenti con la portata oggettiva delle diverse clausole contrattuali (Cass. 19/08/1996, n. 7635; Cass. 09/02/1987, n. 1337), che e’ proprio il rilievo che, alla stregua di quanto sopra evidenziato, la Corte ha inteso attribuire sul punto alle dichiarazioni del teste.

9. In accoglimento dunque del (solo) secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita’ nei rapporti tra la ricorrente e il Comune di Otranto.

Il rigetto del quarto motivo determina invece la definizione della distinta e autonoma controversia tra la ricorrente medesima e la (OMISSIS) S.r.l., dovendosi per essa dunque provvedere al regolamento delle spese sostenute per il presente giudizio, come da dispositivo.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente (OMISSIS) S.r.l., liquidate in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.