In merito all’arbitraria installazione delle apparecchiature per il condizionamento dell’aria ad alle vistose tubature apposte lungo i muri esterni congiungenti gli anzidetti apparecchi, in spregio alle norme di cui all’art. 889 c.c., si rileva che le norme sulle distanze trovano applicazione anche tra i condomini di un edificio condominiale, a condizione che la disciplina particolare delle cose comuni non sia con esse contrastante. In tal caso la prevalenza della norma speciale in materia di condominio comporta l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Ne consegue che nel caso di specie l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 889 co 2° c.c., che impone il passaggio dei tubi ad una distanza di un metro dal confine, può essere limitata dalla necessità dell’appellata di dotare il proprio immobile di un impianto di condizionamento indispensabile per la vivibilità degli ambienti domestici, la cui collocazione alternativa prospettata dall’appellante non appare realizzabile.

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Installazione delle apparecchiature per il condizionamento dell’aria sull’edificio condominiale – Norme sulle distanze – Violazione – Prevalenza della norma speciale dettata in materia condominiale – Effetti e conseguenze

 

Corte d’Appello Palermo, Sezione 2 civile
Sentenza 15 febbraio 2017, n. 269

 

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Palermo, Seconda Sezione Civile, composta da:

1) Filippo Picone Presidente

2) Daniela Pellingra Consigliere

3) Maruzza Pino Giud. Aus. rel. ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 1382/2012 R.G., promossa in grado di appello

DA

(…), nato a (…) rappresentato e difeso dall’Avv. Bi.Br.;

– appellante –

CONTRO

(…), c.f.: (…) e difesa dall’Avv. L.Sc.;

– appellata –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 703 c.p.c., depositato l’01.12.2008, Pe.Fr., nella qualità di proprietario di un immobile al piano seminterrato dell’edificio sito in Palermo, via (…), esponeva che Do.El., proprietaria della villetta antistante, aveva installato, frontalmente alle finestre del proprio immobile, su apposite basi di cemento e mattoni all’uopo create, tre apparecchiature per il condizionamento dell’area causanti immissioni di rumori ed esalazioni di aria calda oltre la normale tollerabilità, nonché vistose

tubature lungo i muri esterni congiungenti i menzionati apparecchi con i balconi del piano rialzato; il tutto in dispregio delle distanze legali, del decoro architettonico dell’edificio, e senza la preventiva autorizzazione degli altri condomini con violazione della destinazione d’uso della villetta per come stabilita nel regolamento condominiale; a tal fine, asserendo di aver subito turbative e molestie nel possesso del diritto di proprietà del proprio immobile, nonché della servitù di veduta, incoava azione di manutenzione ex art. 1170 c.c., chiedendo l’inibizione delle molestie e turbative subite mediante l’immediata rimozione delle suddette opere, oltre al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese legali.

Nei contrasto delle parti, il giudice, con ordinanza dei 20 – 21.7.2009, confermata anche in sede di reclamo, ordinava alla resistente di schermare le unità esterne dei condizionatori, mediante la collocazione di piante e fiori ornamentali.

Introitato il giudizio di merito con ricorso depositato il 14.11,2009, ed a seguito della costituzione di parte resistente, dopo il deposito delle sole memorie ex art. 183, co. VI c.p.c., ritenuta superflua ogni ulteriore attività istruttoria, la causa era decisa con sentenza del Tribunale di Palermo, dei giorni 30.12.2011 – 14/5/2012, che, in accoglimento parziale della domanda di parte attrice, ordinava la definitiva schermata delle suddette unità esterne dei condizionatori d’aria con piante ornamentali o similari, oltre alla condanna del ricorrente alle spese di giudizio.

Pe.Fr. ha proposto appello, con citazione notificata l’11.7.2012.

L’appellata si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.

All’udienza del 16.09.2016, la causa è stata posta in decisione, con assegnazione dei termini di cui agli artt. 352 e 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appellante lamenta, col primo motivo di gravame, il mancato riconoscimento da parte dei Tribunale della lesione del suo diritto di veduta, del decoro architettonico, che delle distanze legali. A tal Fine sostiene che i condizionatori, collocati su basi di cemento all’uopo create, sarebbero visibili da tutte e tre le aperture di cui è dotato il proprio immobile, indipendentemente dalla loro distanza dal muro perimetrale e dalla loro posizione rispetto alla proiezione diretta delle aperture, quando, contrariamente, il punto “g” del regolamento condominiale prevede, a carico dei proprietari delle villette, il divieto di apportarvi modifiche ed innovazioni, con l’obbligo di riservare gli spazi liberi a giardino. Assume, altresì, che la soluzione adottata dal Giudice di primo grado non farebbe altro che aggravare la situazione attuale con l’apporto di colpi che diminuirebbero ulteriormente luce ed aria, creando una ingiusta disparità di trattamento con i proprietari degli altri immobili a piano seminterrato che non avrebbero alcuna compromissione della loro situazione possessoria. Aggiunge ancora che la disciplina di cui all’art. 907 c.c. non può subire deroghe in conseguenza del contemperamento delle opposte esigenze delle parti nei rapporti condominiali e, trattandosi, nel caso di specie, di manufatti dotati di una certa consistenza e stabilità, occorrerebbe adottare la soluzione alternativa di collocare i condizionatori in alto, nei balconi del piano rialzato o sotto la passerella di accesso dell’edificio.

Il motivo è infondato e va rigettato.

li regolamento condominiale che prevede al richiamato punto “g” di “piantare soltanto piante ornamentali e fiori” e il divieto di costruire gabbie, tettoie e divisori in realtà nello specifico vieta la realizzazione di opere dotate di stabilità, quali quelle specificatamente indicate, contrariamente ai condizionatori la cui presenza nelle unità abitative è ormai divenuta necessaria se non addirittura indispensabile. Dalla produzione fotografica in atti – vedi foto dall’1 al 24, che dalla relazione d’Ufficio, emerge chiaramente che trattasi di apparecchiature amovibili, di dimensioni ridotte rispetto all’ampiezza dell’area circostante, e “spostate rispetto alla veduta ortogonale dalle stesse aperture” la cui distanza mediamente è stata indicata dal consulente in un metro e settanta; tali caratteristiche delle contestate unità non possono ledere il diritto di veduta vantato dall’appellante proprio per l’ubicazione laterale dei condizionatori in corrispondenza del muro che si interpone tra le tre aperture e che ne potrebbe semmai limitare la veduta obliqua in maniera del tutto trascurabile. La schermatura delle tre unità con l’ausilio di ulteriore vegetazione, del resto, non potrebbe comportare la paventata ulteriore limitazione di luce e aria che non sarebbe neanche conforme al regolamento condominiale, il quale, sicuramente, non autorizzerebbe una indiscriminata piantagione tale da ostruire all’odierno appellante l’esercizio del diritto di veduta sulla villetta antistante. La precarietà poi dei tre elementi, non allocati stabilmente sul muretto di appoggio, non ne consente la soggezione alla disciplina di cui all’art. 907 cod. civ. in materia di distanze legali, le quali in ogni caso non risultano lese dal momento che la collocazione solo laterale delle apparecchiature, rispetto alla veduta diretta esercitata dal Pe. sulla villetta della Do., rende l’accertata distanza di oltre un metro e mezzo del tutto legittima, senza considerare che il regime condominiale può limitare l’applicazione delle norme codicistiche in materia di distanze nella conciliazione degli opposti interessi delle parti. Pertanto, la soluzione adottata dal giudice di primo grado è sicuramente più idonea rispetto a quelle suggerite dall’appellante, tra l’altro, non realizzabili, per la mancanza nel piano rialzato di zone aperte di appoggio dove allocare le unità, nonché per la difficoltà di collegare la passerella di accesso dell’edificio all’immobile dell’appellata Do.

Con secondo motivo di appello si lamenta il mancato riconoscimento delle molestie e turbative al possesso, in materia di distanze legali, arrecate dall’arbitraria installazione di tubature sulla facciata dell’appellante, in dispregio delle disposizioni di cui all’art. 889 c.c., regime applicabile anche nel condominio e derogabile solo In presenza di valide ragioni; oltre al nocumento arrecato all’estetica dalle tubature correnti lungo la facciata dell’edificio in corrispondenza dei muri esterni dell’immobile del Pe. che, in violazione delle distanze legali, e senza la preventiva autorizzazione dei condomini, costituirebbero anche una servitù di passaggio. Anche tale doglianza è da disattendere.

Per giurisprudenza costante, le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomìni di un edificio condominiale, purché compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; in tal caso, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima; l’applicabilità, pertanto, nella fattispecie in esame, delle disposizioni di cui all’art. 889 co 2 c.c., che impone il passaggio dei tubi ad una distanza di un metro dal confine, può essere limitata dalla necessità dell’appellata di dotare il proprio immobile di un impianto di condizionamento indispensabile per la vivibilità degli ambienti domestici, la cui collocazione alternativa prospettata dai l’appellante non appare realizzabile. Né è plausibile affermare che il passaggio dei tubi, tra l’altro ben fissati ai muri e di scarsa visibilità, possa alterare l’estetica dell’edificio o deturparne il decoro architettonico, considerato il modesto diametro ed il breve tratto interessato rispetto all’estensione dell’intero prospetto dell’edificio condominiale (in senso conforme v. sentenza n. 8857/2015); né si pone un problema di servitù di passaggio in materia di rapporti condominiali la cui costituzione potrebbe avvenire solo a favore di terzi estranei al condominio.

Col terzo motivo di gravame l’appellante si duole del mancato riconoscimento della tutela possessoria in ordine ai rumori e propagazioni d’aria provenienti dai condizionatori che supererebbero la soglia della normale tollerabilità; in particolare il consulente, che avrebbe limitato l’accertamento sulla rumorosità degli elementi contestati, al periodo diurno, senza tener conto della vicinanza dei condizionatori alla camera da letto, né della destinazione dell’immobile a civile abitazione, avrebbe, altresì, del tatto omesso l’accertamento sull’intollerabilità delle propagazioni di aria calda, la cui circolazione, impedita dalla presenza delle piante e del muro di cinta, darebbe luogo alla formazione di un flusso caldo umido superiore alla soglia di normale tollerabilità. Anche tale doglianza è da disattendere.

Dalla consulenza d’Ufficio è emerso che le apparecchiature contestate, oltre ad essere di ottima qualità, di ridotte dimensioni e di modesta potenza, producono emissioni estremamente silenziose; questo dato oggettivo, accompagnato dalla circostanza, emersa in loco, che non sia l’unico rumore percepibile nella zona, – il CTU ha riferito del continuo abbaiare di cani nelle immediate vicinanze dell’immobile del Pe. -, conduce a ritenere la presenza nell’abitato di altri rumori concorrenti, quali il transito veicolare, schiamazzi, versi animali etc. .., che rendono quello generato dai condizionatori, confuso con i rumori circostanti, del tutto trascurabile; parimenti, dalla mancanza di alcun rilievo in ordine alla emissioni di aria e calore, da parte del CTU, cui era stato demandato solo di accertare la natura di quelle prodotte dalle unità contestate, è dato desumere la loro insignificanza se non la totale assenza, dato questo confortato sia dalla posizione delle unità il cui gettito è diretto verso il giardino che dalle caratteristiche tecniche delle apparecchiature di buona qualità; del tutto priva di riscontro probatorio, infine, è la contestata circolazione anomala di aria calda che si assume impedita dalla presenza della vegetazione o finanche dal muro di cinta. Dal rigetto dei motivi di appello sin qui esaminati, nonché dall’assenza di alcun apporto probatorio, discende l’infondatezza dell’ulteriore doglianza relativa al mancato riconoscimento del risarcimento del danno strettamente connesso all’accoglimento delle suddette doglianze e finanche per la trasformazione delle aiuole in acquitrino, causata dall’acqua di condensa dei condizionatori, quantificato complessivamente in Euro 10.000,00. Infondata è, infine, sul presupposto della soccombenza prevalente, nonché sulla liquidazione limitata solo alla fase di merito, anche l’ultima doglianza relativa alla condanna alle spese, fondata sul parziale accoglimento della domanda attorea che, secondo l’appellante, avrebbe dovuto comportare, ai sensi dell’art. 92 co. 2 c.p.c., la compensazione delle spese anche per la mancanza di attività istruttoria che per la già disposta liquidazione delle fasi cautelari e di reclamo.

L’appello pertanto va rigettato; sussistono giusti motivi tanche in relazione alla delicatezza degli accertamenti eseguiti dal CTU per compensare le spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunziando, nel contraddittorio delle parti, rigetta l’appello proposto da nei confronti di (…) – con atto di citazione notificato l’11.7.2012, avverso la sentenza del Tribunale di Palermo, dei giorni 30.12.2011 – 14.5.2012, n. 2035.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di appello.

Così deciso in Palermo il 27 dicembre 2016.

Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2017.

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