La realizzazione di opere pertinenziali alla propria unità immobiliare da parte del condomino non necessitano del preventivo assenso degli altri condomini anche in ipotesi di interventi incidenti su parti comuni se non si tratti di interventi che determinano un sostanziale mutamento della destinazione di queste o che limitino la fruibilità delle medesime da parte dei comproprietari.
Interventi edilizi – Abusi – Condominio – Realizzazione di opere pertinenziali – Preventivo assenso degli altri condomini – Necessità – Insussistenza
Tribunale Amministrativo Regionale EMILIA ROMAGNA – Parma, Sezione 1
Sentenza 25 agosto 2016, n. 248
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma
Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 18 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Sa. Se., rappresentato e difeso dall’Avv. Si. Va. con domicilio eletto presso il suo studio in Parma, piazzale (…);
contro
Comune di Parma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ma. Ab. con domicilio eletto presso il suo studio in Parma, piazzale (…);
nei confronti di
El. An., rappresentato e difeso dagli Avvocati Fr. So. e An. So. con domicilio eletto presso il secondo, in Parma, stradello di Piazzale (…);
per l’annullamento
della nota prot. gen. 212520 Class. 2011.VI/3/1.1181 del 21 novembre 2013 con la quale il Comune di Parma informava il ricorrente dell’avvenuta definizione del procedimento di riesame della DIA in sanatoria n. 1181/11;
di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale, ed in particolare del “controllo di merito provvedimento a sanatoria per opere soggette a denuncia d’inizio attività” e del relativo parere favorevole redatto in data 5 novembre 2013 dal tecnico istruttore della pratica, nonché, del verbale di accertamento prot. gen. 211175VI/3/1.1181 del 19 novembre 2013 e della nota del 31 ottobre 2013 prot. n. 200298,
nonché:
per la condanna del Comune di Parma alla rimozione degli effetti della DIA n. 1181/2011;
per l’accertamento del difetto dei requisiti di assentibilità della DIA n. 1181/2011;
nonché,
con proposizione di motivi aggiunti notificati il 9 aprile 2014:
della nota n. 212520 del 21 novembre 2013;
del relativo parere favorevole del 5 novembre 2013;
del verbale di accertamento del 19 novembre 2013;
della nota n. 200298 del 31 ottobre 2013;
con proposizione di motivi aggiunti notificati il 5 giugno 2014:
del provvedimento n. 53689 del 24 marzo 2014;
della nota n. 62814 del 7 aprile 2014;
con proposizione di motivi aggiunti notificati il 28 gennaio 2016:
del provvedimento n. 215434 del 26 novembre 2015;
della nota n. 166098 dell’11 settembre 2014;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Parma e di El. An.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2016 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
In data 13 dicembre 2008 il ricorrente, proprietario di 3 unità immobiliari facenti parte del “Condominio Ov. 22” (2 poste al primo piano e una al sottotetto), segnalava al Comune di Parma (di seguito Comune) che il Signor An., odierno controinteressato, anch’esso proprietario di unità immobiliari site nel sottotetto del medesimo stabile condominiale, aveva eseguito all’interno delle stesse interventi di recupero edilizio con cambio di destinazione d’uso in assenza di titolo abilitativo.
Detti lavori, finalizzati a rendere abitabili i citati sottotetti, avrebbero comportato, fra le altre criticità segnalate, la rimozione di travi di sostegno della copertura dell’edificio condominiale pregiudicandone la stabilità.
In sede di sopralluogo effettuato in data 15 aprile 2009 da Agenti della Polizia Municipale veniva accertato il completamento di lavori oggetto della DIA n. 957/06, precedentemente presentata dal controinteressato rilevando, da un lato, l’esistenza di difformità rispetto a quanto assentito; dall’altro, la modifica della struttura portante della copertura dell’edificio mediante sostituzione parziale di un trave di sostegno del tetto.
In sede di successiva relazione datata 21 aprile 2009 gli operanti davano atto che, relativamente ai descritti interventi, non risultava essere stata effettuata la comunicazione di fine lavori né risultava essere stata richiesta l’agibilità nonostante le unità fossero a quel momento abitate.
Detti locali, inoltre, risultavano destinati a uso soffitta e non era stata effettuata la relativa variazione catastale “come da DIA presentata”.
Nell’occasione veniva in particolare rappresentato che “in alcuni punti le travi risultano improvvisamente interrotte (vedi foto 1-2-3) e rinforzate da ferri imbullonati a profilati di ferro. Le travi in legno nel locale soggiorno risultano imbullonate a travi in ferro come dimostra la foto allegata n. 4” e, in ragione di ciò, veniva richiesto un sopralluogo dei Vigili del Fuoco per la verifica della staticità della struttura.
Sulla base delle rilevate criticità il Comune, con nota del 20 luglio 2009, richiedeva al controinteressato una perizia giurata redatta da un tecnico abilitato “concernente l’attuale staticità del tetto e di ogni elemento strutturale allo stesso connesso” rappresentando nel contempo che, relativamente alle difformità rilevate, non poteva trovare accoglimento l’istanza nel frattempo presentata dall’An. di applicazione della sola sanzione pecuniaria.
In data 7 agosto 2009 il controinteressato trasmetteva al Comune la perizia richiesta che il tecnico incaricato redigeva a seguito di “un sopralluogo presso l’edificio in oggetto per rilevare a vista lo stato di conservazione degli elementi strutturali del tetto di copertura”.
Detta perizia dava atto dell’intervenuta asportazione di “una delle due travi in legno di displuvio” poiché ammalorata, e dell’applicazione di “rinforzi” in acciaio imbullonati agli elementi strutturali in legno esistenti che il tecnico riteneva potessero scaricare “correttamente” i “carichi ricevuti dal tetto su murature portanti a due teste”.
Il tecnico, pertanto, concludeva per la staticità del tetto di copertura anche se consigliava “una prova di carico” (pag. 2 della relazione datata 5 agosto 2009 dell’Ing. Ra.).
In data 21 ottobre 2009, a seguito di segnalazioni del ricorrente (17 agosto 2009 e 18 settembre 2009), i Vigili del Fuoco procedevano a un sopralluogo “riscontrando che nel solaio risulta mancante un trave di sostegno in legno” e invitando il Comune “ai fini della pubblica e privata incolumità” a “provvedere ad ulteriori verifiche da parte di tecnici specializzati e abilitati atti a verificare la stabilità della struttura”.
Con ordinanza del 30 marzo 2011 il Comune, sulla base delle risultanze del citato verbale di accertamento del 21 aprile 2009, ingiungeva al controinteressato la rimozione delle opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi ma, con successivo provvedimento del 20 maggio 2011, sospendeva detta ordinanza “per i tempi strettamente necessari e comunque non oltre 60 giorni… in attesa della effettuazione della prova di carico”: prova che veniva effettuata il 7 giugno 2011 ed alla quale seguiva, con provvedimento dell’8 luglio 2011, la revoca della citata sospensione dell’ordinanza di demolizione e ripristino che rideterminava l’efficacia della misura ripristinatoria sospesa.
In data 11 ottobre 2011 il ricorrente presentava istanza di accesso agli atti del procedimento sanzionatorio che il Comune, con nota del 13 ottobre successivo, differiva alla conclusione del procedimento.
Nell’occasione l’Amministrazione informava il ricorrente circa la presentazione della DIA n. 1181/2011 in sanatoria da parte del controinteressato avvenuta in data 17 agosto 2011.
A seguito di un’ulteriore istanza di accesso agli atti del 17 maggio 2013, il Comune, con nota del 13 giugno 2013, rappresentava al ricorrente che l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione del 30 marzo 2011 era in atto (di nuovo) sospesa in attesa della definizione della pratica edilizia relativa alla citata DIA in sanatoria da ultimo presentata.
Nell’ambito del procedimento in essere il Direttore del Settore Ambiente ed Energia – S.O. Sismica-Energetica, con nota del 9 luglio 2013 rappresentava alle competenti articolazioni comunali che “ai sensi della L.R. n. 19/2008, l’intervento di cui alla DIA in sanatoria n. 1181/2011 è stato correttamente inquadrato nel rispetto dell’art. 22, comma 1, in quanto viene asseverato che “le medesime opere rispettano la normativa tecnica per le costruzioni vigente al momento della loro realizzazione” avvenuta in data 01/04/2009; a tal proposito, si fa rilevare che non è stata dichiarata la normativa tecnica per le costruzioni seguita per la realizzazione dell’intervento” e che “ai sensi del D.P.R. n. 380/2001, trattandosi di elemento strutturale non di trascurabile importanza eseguito in data successiva all’entrata in vigore della classificazione sismica del territorio ai sensi della O.P.C.M. 3274/2003, l’intervento è soggetto alla denuncia di cui all’art. 93 da allegare alla presentazione di un opportuno titolo edilizio; tale mancanza si configura, quindi, come violazione delle norme per le costruzioni in zona sismica vigenti al momento della realizzazione”.
Il Tecnico Istruttore incaricato dell’esame della pratica (Arch. Co.) precisava a sua volta che “sulla documentazione presentata in data 17/08/2011 non si riscontrano ad oggi, a parere della sottoscritta, elementi tali da comportare un riesame con esito negativo o un eventuale annullamento del titolo su cui si possa essere formato il silenzio assenso, visto anche il tempo trascorso” evidenziando ulteriormente che “per ogni altra considerazione su quanto emerso successivamente alla presentazione del titolo si rimanda alla comunicazione inviata al Direttore del servizio in data 31/10/2013”.
Nel frattempo (10 luglio 2013) il ricorrente, a seguito di ricorso ex art. 116 c.p.a. acquisiva copia del Controllo di merito provvedimento a sanatoria per opere soggette a denuncia d’inizio attività datato 5 novembre 2013, nel quale si dava atto che relativamente all’intervento in questione non risultava essere stata operata alcuna “modifica di parametri edilizi o urbanistici”.
Con nota del 29 luglio 2013 il ricorrente sollecitava il Comune affinché archiviasse la DIA in sanatoria n. 1181/11 presentata dal controinteressato in ragione di plurimi profili di irregolarità (compendiati in una allegata relazione tecnica) procedendo, altresì, all’adozione delle conseguenti misure ripristinatorie e sanzionatorie.
Nell’occasione il ricorrente rilevava, in particolare, l’esecuzione di interventi di rilevanza strutturale senza il previo consenso dei condomini; il difetto della destinazione abitativa dei locali interessati (implicitamente presupposta con la DIA in questione); la falsa dichiarazione circa l’affermata proprietà degli immobili da parte dell’An. (riferita alle parti strutturali comuni di proprietà non esclusiva); la falsa rappresentazione dei locali interessati all’intervento (indicazione di 2 lucernai inesistenti) e, infine, il difetto dell’autorizzazione sismica.
In esito a detta richiesta, in data 19 agosto 2013, il Dirigente dei Servizi al Cittadino e all’Impresa del Comune di Parma disponeva il riesame della pratica alla luce delle evidenziate criticità.
In data 30 ottobre 2013 il ricorrente, stante l’affermata inerzia del Comune, presentava un’ulteriore istanza di accesso agli atti.
In data 5 novembre 2013 interveniva il “Controllo di merito provvedimento a sanatoria” a firma del Tecnico istruttore.
Il Comune, con nota del 21 novembre 2013, in risposta alla citata istanza del 30 ottobre precedente, informava il ricorrente che “il riesame della DIA sopra indicata è stato completato con un parere del Responsabile del procedimento che non evidenzia elementi di non conformità alle norme”.
All’atto venivano allegati il verbale di sopralluogo con relativa documentazione fotografica e il parere tecnico riferito alla DIA in sanatoria (il ricorrente afferma non essere mai stato effettuato alcun accertamento – punto 16, pag. 6 del ricorso – e che prima del sopralluogo effettuato dai tecnici comunali in data 8 novembre 2013 il controinteressato aveva eseguito ulteriori interventi in assenza di titolo, peraltro rilevati e menzionati nel verbale di accertamento del 19 novembre 2013, consistenti nell’apertura di uno dei due lucernai mancanti, segnalati all’Amministrazione con nota del 24 novembre 2013: circostanza smentita dal citato verbale dell’8 novembre che, invece, rilevava plurimi profili di non conformità).
In sede di sopralluogo, effettuato come anticipato l’8 novembre 2013 (i cui esiti venivano comunicati al Dirigente con nota del 19 novembre 2013), gli operanti rilevavano le seguenti difformità: i finestrini perimetrali risultavano di dimensioni inferiori a quelli indicati nella pianta; il lucernaio complanare posto nella camera da letto risultava essere stato ruotato di 90°; il tetto si presentava a 3 falde nonostante negli elaborati grafici la copertura dell’edificio risultasse a 2 falde; l’ingresso della camera da letto misurava m. 1,40 a fronte di una stima grafica di m. 1,10 e, infine, la superficie aerante e illuminante del soggiorno era di mq. 0.82 mentre ai sensi dell’art. 7, allegato C3 del RUE doveva essere di mq.1,28.
Quanto al già richiamato trave i medesimi operanti rilevavano che era stato tagliato come dichiarato con la DIA in sanatoria e che “la sua funzione portante è stata sostituita da una intelaiatura in ferro (…) la cui idoneità è stata verificata dalla Struttura competente il 09/07/2013 prot. N. 122.886”.
In ragione di ciò il Comune, con provvedimento dirigenziale del 18 dicembre 2013, “richiamata l’ingiunzione per la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi del 30/03/2011” e considerato che la DIA n. 1181 sanava in parte i rilevati abusi archiviava il procedimento sanzionatorio relativamente alle opere di cui ai nn. 1), 3) 4) e 5) dell’ordinanza/ingiunzione di demolizione del 30 marzo 2011 (1. Realizzazione di una parete di cartongesso di mt. 1,83 di altezza nel locale camera; … 3. Mancata realizzazione dei velux sia nel locale camera che nel bagno; 4. Improvvisa interruzione delle travi in alcuni punti dove sono presenti rinforzi con ferri imbullonati e profilati in ferro; 5. Le travi in legno nel locale soggiorno risultano imbullonate a travi in ferro) e avviava un nuovo procedimento sanzionatorio riferito ai residui abusi rilevati contestando, in particolare, che:
– i “finestrini posti sulle pareti perimetrali” misuravano m. 0,50 x 1,00 anziché m. 0,60 x 1,10 come indicato “nella pianta dello stato attuale”;
– il lucernaio complanare della camera da letto risultava ruotato di 90°;
– il lucernaio complanare del soggiorno risultava di dimensioni inferiori a quelle rilevabili graficamente;
– mancata rappresentazione della falda sud del tetto (come anticipato ne venivano rilevate 3 in luogo delle 2 rappresentate);
– l’ingresso della camera da letto era più ampio del previsto con un restringimento del bagno a favore della camera da letto;
– la superficie aeroilluminante del soggiorno risultava insufficiente.
Il ricorrente con il ricorso introduttivo del presente giudizio impugnava la citata comunicazione del 21 novembre 2013, il “Controllo di merito provvedimento a sanatoria” del 5 novembre 2013 e il relativo parere tecnico, la nota del 31 ottobre 2013 di risposta all’esposto del 19 agosto precedente, nonché, il verbale di accertamento del 19 novembre 2013 e la nota di risposta del 30 ottobre 2013 (non anche il provvedimento del 18 dicembre 2013) formulando 3 ordini di censure con i quali, sostanzialmente, deduceva l’omissione da parte del Comune dei doverosi interventi repressivi nonostante l’acquisita conoscenza dei seguenti profili critici:
– il controinteressato in sede di presentazione della DIA in sanatoria avrebbe falsamente dichiarato di essere esclusivo proprietario degli immobili oggetto degli interventi edilizi da realizzare ed avrebbe, altresì, falsamente rappresentato lo stato dei luoghi (1° motivo);
– in relazione agli interventi oggetto della DIA n. 1181/2011 non sarebbe stata conseguita l’autorizzazione sismica: profilo che, a norma dell’art. 23, comma 1 bis, del d.P.R. n. 380/2001, non potrebbe essere sanato mediante presentazione di autodichiarazione (2° motivo);
– l’intervento oggetto di DIA non sarebbe riconducibile, come dichiarato dal controinteressato, ad una manutenzione straordinaria ma integrerebbe una ristrutturazione edilizia in assenza di titolo legittimante (3° motivo).
Successivamente alla proposizione del ricorso il Comune con nota del Dirigente del Settore Servizi al Cittadino datata 24 gennaio 2014 chiedeva chiarimenti al Dirigente del Settore Ambiente e Energia circa i contenuti della più volte citata nota del 9 luglio 2013.
Il Dirigente destinatario con nota del 27 gennaio 2014 rappresentava che era “stata correttamente presentata l’asseverazione del professionista abilitato” anche se era “carente dell’indicazione della normativa tecnica per le costruzioni seguita per la realizzazione dell’intervento”.
Ma che nell’ipotesi che “nel frattempo il progettista abbia integrato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria con l’asseverazione [“Asseverazione attestante la normativa per le costruzioni rispettata” dell’Arch. Fi. Bu. del 23 ottobre 2010, ndr] riportante anche la normativa tecnica…. Si ritiene che siano stati evasi tutti gli adempimenti in materia di riduzione del rischio sismico delle strutture strettamente connessi all’efficacia del medesimo titolo edilizio”.
Il Comune (memoria del 6 febbraio) e il controinteressato (memorie del 21 gennaio e 4 febbraio) si costituivano in giudizio eccependo in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso poiché proposto avverso un atto interlocutorio (nota del 21 novembre 2013 impugnata in via principale), due pareri e un verbale di accertamento, ovvero avverso atti privi di spessore provvedimentale.
Nel merito confutavano le avverse doglianze e chiedendo la reiezione del ricorso.
Il Comune, in detta sede, eccepiva ulteriormente, sotto un primo profilo, la tardività del ricorso poiché proposto oltre lo scadere del termine decadenziale decorrente dal momento dell’ultimazione dei lavori o dalla precedente rilevazione delle caratteristiche dell’opera.
Sotto altro profilo eccepiva la sopravvenuta improcedibilità del ricorso in ragione della sopravvenuta adozione del citato provvedimento del 18 dicembre 2013 con il quale procedeva all’archiviazione parziale dell’ingiunzione di demolizione e all’avvio di diverso (e non censurato in ricorso) procedimento sanzionatorio.
Inammissibile sarebbe inoltre la domanda di condanna del Comune ad adottare il provvedimento di demolizione e ripristino invocato dal ricorrente poiché atto non ab origine vincolato.
Il ricorrente precisava le proprie conclusioni con memoria dell’8 febbraio 2014.
Nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014, con ordinanza n. 15/2014 veniva respinta l’istanza di sospensione “Considerato che l’Amministrazione con provvedimento n. 229526 del 18 dicembre 2013 si è pronunciata archiviando parzialmente il procedimento sanzionatorio in relazione ad una parte degli interventi realizzati ed avviando contestualmente, ex art. 7 della L. n. 241/1990, altro procedimento sanzionatorio riferito ad ulteriori interventi posti in essere in assenza di titolo” e “preso atto che il provvedimento da ultimo richiamato non è stato impugnato (ancorché penda il relativo termine decadenziale)”.
Con motivi aggiunti notificati il 7 aprile 2014 il ricorrente impugnava il provvedimento del 18 dicembre 2013 (con il quale l’Amministrazione, come anticipato, procedeva all’archiviazione parziale del procedimento sanzionatorio a carico del controinteressato) nonché la citata nota del 27 gennaio 2014 (e la successiva comunicazione del 29 gennaio 2014 effettuata dal Comune al legale del controinteressato) deducendone l’illegittimità derivata in quanto atti consequenziali a quelli già gravati con il ricorso introduttivo ed illegittimità propria in relazione alla disposta archiviazione parziale degli abusi commessi.
Con provvedimento del 24 marzo 2014 il Comune richiamati i precedenti accertamenti (verbale o del 19 novembre 2013) e preso atto che in esito alla comunicazione del 18 dicembre 2013 il controinteressato non presentava alcuna deduzione difensiva, ingiungeva al medesimo la rimozione delle opere abusivamente realizzate e il ripristino avvertendo che in caso di inottemperanza sarebbe stata irrogata ex art. 16 della L.R. n. 23/2004 la sanzione pecuniaria amministrativa di ammontare pari al doppio dell’aumento di valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione delle opere abusive.
Il ricorrente con motivi aggiunti notificati il 5 giugno 2014 impugnava il provvedimento da ultimo intervenuto (18 dicembre 2013) deducendone l’illegittimità derivata e contestando, sostanzialmente, la previsione della sanzione amministrativa pecuniaria in luogo della misura demolitoria insistendo sul fatto che gli interventi in questione integrerebbero una ristrutturazione e non una manutenzione straordinaria.
Con il medesimo mezzo di gravame deduceva ulteriormente che i locali interessati agli interventi in questa sede contestati non riunirebbero i requisiti di abitabilità (mancanza dei requisiti igienico sanitari; assenza di impianti di riscaldamento e di aria condizionata e difetto del prescritto rapporto aerante ex art. 2 allegato C del RUE. Detti immobili, inoltre, sarebbero privi di allaccio all’acquedotto comunale ma risulterebbero alimentati da un pozzo privato in violazione di quanto prescritto dall’art. 5 dell’allegato C3 del RUE).
In esito al provvedimento impugnato con il mezzo di gravame da ultimo notificato, il controinteressato con nota protocollata in data 11 aprile 2014 optava per la sanzione amministrativa pecuniaria.
Con nota dell’11 settembre 2014 l’Amministrazione, al fine di procedere alla quantificazione della sanzione, richiedeva al controinteressato di produrre “una relazione tecnico-descrittiva e elaborati progettuali relativi alle opere realizzate in difformità” (trasmessa con nota del 28 ottobre 2015).
Con provvedimento del 26 novembre 2015 il Comune determinava a carico del controinteressato la sanzione di € 2.665,34 ex art. 16 della L.R. n. 23/2004.
L’Amministrazione, in ragione di detta sopravvenienza (atto adottato sull’implicito presupposto che l’intervento in questione fosse da classificare come manutenzione straordinaria e non come ristrutturazione) con memoria depositata il 2 dicembre 2015 in vista della discussione nel merito del ricorso, eccepiva la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente al ricorso ed ai motivi aggiunti relativamente a tutti gli atti non riferiti a beni condominiali (es. Tetto) e non incidenti sulle proprietà del medesimo.
Il ricorrente ribadiva la propria posizione con memoria depositata in data 10 dicembre 2015 replicando alle avverse tesi con memoria depositata il 22 successivo.
Il Comune ribadiva le proprie difese con memoria depositata l’11 dicembre 2015 e replicava con memoria del 18 successivo.
Il controinteressato si limitava a replicare alle avverse censure con memoria depositata il 22 dicembre 2015.
Con motivi aggiunti notificati il 29 gennaio 2016 il ricorrente impugnava il provvedimento del 26 novembre 2015 e la nota dell’11 settembre 2014 (atti conosciuti il 30 novembre 2015).
Il controinteressato richiamava le conclusioni precedentemente rassegnate con memoria del 22 aprile 2016.
Il Comune con memoria del 4 maggio 2016 eccepiva l’inammissibilità dei motivi aggiunti da ultimo proposti per difetto di interesse stante l’impugnazione di un provvedimento sanzionatorio incidente sull’altrui sfera giuridica.
In vista dell’udienza di discussione venivano depositate memorie in data 5 maggio 2016 (ricorrente), 7 maggio 2016 (controinteressato), 17 maggio 2016 (Comune e controinteressato) e 18 maggio (ricorrente).
All’esito della pubblica udienza dell’8 giugno 2016 la causa veniva decisa.
Il ricorrente, proprietario di unità immobiliari facenti parte di un condominio, censura la condotta dell’Amministrazione che avrebbe omesso l’esercizio dei poteri repressivi alla medesima attribuiti in presenza di una ristrutturazione edilizia, ancorché prospettata nella DIA presentata come intervento di manutenzione straordinaria, realizzata da altro condomino, finalizzata al recupero a fini abitativi dei sottotetti dello stabile ed eseguita intervenendo su parti comuni senza il consenso degli altri proprietari, omettendo l’acquisizione dei necessari titoli sismici e con pregiudizio della stabilità dell’intero fabbricato.
In un primo tempo, con il ricorso introduttivo, censurava la mancata adozione delle misure ripristinatorie del caso evidenziando la illegittimità del riesame disposto dall’Amministrazione a seguito delle proprie ripetute segnalazioni che avrebbero favorito l’accertamento di numerosi profili di non conformità del censurato intervento edilizio.
In un secondo tempo, una volta intervenuto il provvedimento dell’Amministrazione (18 dicembre 2013) con il quale si dava atto della parziale sanatoria degli interventi contestati mediante presentazione di DIA e veniva avviato un diverso procedimento sanzionatorio per gli abusi residui, il ricorrente gravava detta misura con un primo ricorso per motivi aggiunti richiamando le censure già oggetto del ricorso introduttivo e contestando l’effetto sanante della Dia presentata e riconosciuto dal provvedimento da ultimo intervenuto.
Con un secondo ricorso per motivi aggiunti il ricorrente, azionando il proprio interesse a vedere demolite le opere realizzate dal controinteressato, impugnava l’ingiunzione di rispristino (24 marzo 2014) adottata dall’Amministrazione relativamente agli interventi non sanati poiché, in caso di mancata ottemperanza, prevedeva la sola adozione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 16 della L.R. n. 23/2004.
Con un terzo ricorso per motivi aggiunti, infine, il ricorrente impugnava il provvedimento (26 novembre 2015) con il quale l’Amministrazione definiva la complessa vicenda oggetto del presente giudizio applicando a carico del controinteressato la richiamata sanzione pecuniaria.
L’Amministrazione comunale (con argomentazioni analoghe si difende anche il controinteressato), che qualifica l’intervento edilizio oggetto del presente come manutenzione straordinaria e non come ristrutturazione edilizia, ritiene inammissibile l’azione proposta dal ricorrente poiché tendente ad ottenere la condanna all’adozione di provvedimenti sanzionatori (ingiunzione di demolizione e rimozione degli effetti della DIA in sanatoria) per loro natura non espressione di attività vincolata, nonché, per difetto di interesse atteso che i provvedimenti impugnati sarebbero privi di portata lesiva per la proprietà del medesimo (con particolare riferimento al terzo ricorso per motivi aggiunti).
Il Collegio prescinde dalle plurime eccezioni preliminari sollevate dai resistenti poiché le censure di parte ricorrente, replicate (sostanzialmente) con tre ricorsi per motivi aggiunti di analogo contenuto avverso l’intera serie provvedimentale oggetto del presente giudizio, sono infondate nel merito.
Si procederà pertanto con priorità allo scrutinio dei tre motivi di ricorso formulati con il ricorso introduttivo (ricamati nei successivi mezzi di gravame) e al successivo esame delle residue censure proposte per vizi propri degli atti sopravvenuti in corso di giudizio.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione degli art. 27 e 36 del d.P.R. n. 380/2001; degli artt. 19, comma 3 e 21 della L. n. 241/1990; degli artt. 14 e 17 della L.R. n. 23/2004 e degli artt. 75 e 76 del d.P.R. n. 445/2000, nonché, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità e contraddittorietà.
Con un primo ordine di doglianze lamenta che il controinteressato, contrariamente a quanto dichiarato nel quadro B della DIA n. 1181/11, non era proprietario né aveva l’esclusiva disponibilità delle porzioni immobiliari interessate dagli interventi oggetto della sanatoria in quanto parti comuni (pag. 15 del ricorso).
Benché detta circostanza fosse conosciuta perché oggetto di segnalazione del ricorrente, l’Amministrazione non provvedeva ad accertare l’esistenza del consenso degli altri comproprietari (condomini) e a revocare il beneficio ottenuto ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. n. 445/2000.
La DIA presentata, inoltre, conterrebbe affermazioni mendaci circa lo stato dei luoghi, l’ultimazione dei lavori e la rispondenza degli stessi alla normativa vigente (inesistenza al momento della presentazione della DIA dei lucernai e delle opere di isolamento termo-acustico e, in genere, delle opere necessarie a rendere abitabile il sottotetto).
Il tecnico incaricato dal controinteressato avrebbe dichiarato che le opere non ancora ultimate entro i termini dell’originaria DIA n. 957/2006 avrebbero riguardato sostanzialmente alcuni tramezzi interni mentre, si afferma, a quel momento non erano stati realizzati neppure i lucernai e le opere di isolamento termo-acustico.
In presenza di tali false attestazioni l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere ex art. 19, comma 3, della L. n. 241/1990 vietando la prosecuzione delle attività e disponendo la rimozione di quanto già realizzato ai sensi dell’art. 14 della L.R. n. 23/2004, archiviando la pratica edilizia.
Ciò nonostante il Tecnico incaricato del riesame della pratica (Arch. Co.) si sarebbe espresso a favore della conformità dell’intervento.
Il motivo è infondato.
Preliminarmente si rileva che l’art. 17 della L.R: n. 23/2004 dispone al primo comma che “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ovvero in assenza di SCIA, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 13, comma 3, e 14, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile può richiedere il rilascio del permesso in sanatoria o presentare una denuncia di inizio attività in sanatoria, rispettivamente nel caso di interventi soggetti a permesso di costruire ovvero a denuncia di inizio di attività, se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” e al secondo comma che “fatti salvi gli effetti penali dell’illecito, il permesso e la SCIA in sanatoria possono essere altresì ottenuti, ai soli fini amministrativi, qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”.
Il controinteressato, come ampiamente evidenziato, effettuava interventi all’interno di sottotetti di proprietà e tale qualità non viene contestata dal ricorrente che si limita a lamentare l’esecuzione di opere interessanti anche parti comuni per le quali afferma la necessità del previo consenso degli altri condomini comproprietari.
Ciò premesso, sotto un primo profilo, deve rilevarsi come il ricorrente fosse pienamente legittimato alla richiesta di sanatoria in quanto autore dell’abuso (Cons. Stato, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4176).
Sotto altro profilo, deve evidenziarsi che la realizzazione di opere pertinenziali alla propria unità immobiliare da parte del condomino non necessitano del preventivo assenso degli altri condomini anche in ipotesi di interventi incidenti su parti comuni se non si tratti di interventi che determinano un sostanziale mutamento della destinazione di queste o che limitino la fruibilità delle medesime da parte dei comproprietari.
La giurisprudenza, infatti, ha sul punto precisato che “il singolo condomino, per realizzare un’opera strettamente pertinenziale alla propria unità immobiliare, anche sulle parti comuni dell’edificio, non ha bisogno di richiedere il previo assenso degli altri condòmini; egli infatti, in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 c.c. (divieto al condomino di realizzare opere che danneggino le cose comuni), può in ipotesi ottenere a proprio nome anche una concessione edilizia, sempre che ricorrano le seguenti due condizioni: anzitutto (come già detto) deve trattarsi di opere strettamente pertinenziali all’unità immobiliare, nel senso civilistico della sussistenza di un vincolo di destinazione a servizio o ad ornamento di essa; in secondo luogo, tali opere non devono essere tali da comportare limitazione all’uso comune dei beni condominiali (cfr., da ultimo, TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, n. 221 del 2009). In tali casi, come ulteriormente precisato dal Consiglio di Stato, il condomino può apportare alle cose comuni, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modificazioni che consentano di trarre dalle medesime una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condòmini, ivi compreso l’inserimento di opere o di elementi ad esse estranei e posti al servizio esclusivo della sua porzione, purché non impedisca agli altri condòmini l’uso dei beni comuni e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità (Cons. Stato, sez. V, n. 11 del 2006, ed ivi altra giurisprudenza citata” (TAR Piemonte, Sez. II, 15 novembre 2013, n. 1193).
Nel caso di specie, inoltre, deve ritenersi che gli interventi contestati non siano innovazioni nei sensi di cui all’art. 1120 c.c. ma mere modificazioni rientranti nella fattispecie di cui all’art. 1102 c.c. relativamente alle quali, come puntualizzato anche dalla giurisprudenza civile “a differenza delle innovazioni – configurate dalle nuove opere le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto ne rendono impossibile l’utilizzazione secondo la funzione originaria e che debbono pertanto essere deliberate dall’assemblea (art. 1120 c.c., comma 1) nell’interesse di tutti i partecipi alla comunione – le modifiche alle parti comuni dell’edificio (contemplate dall’art. 1102 c.c., comma 1) possono essere apportate dal singolo condomino nel proprio interesse ed a proprie spese al fine di conseguire un’utilità maggiore” (Cass. Civ. Sez. II, 27 luglio 2006, n. 17099; nei medesimi sensi Cass. n. l0008/1991; Cass. 3368 e 7752/1995; Cass. 1554/1997).
L’apertura, in particolare, di velux sul tetto di copertura dell’edificio condominiale, non incidendo sulla funzione assolta da detto elemento strutturale, è pacificamente ritenuta legittima nella misura in cui non incide sulla funzionalità della parte comune.
La giurisprudenza in situazioni simili (nella fattispecie il proprietario della porzione immobiliare sottostanti al tetto aveva realizzato un’apertura per inserirvi un ascensore) ha avuto modo di affermare come ciò “costituisca un intervento su una parte comune riconducibile a quell’utilizzo della cosa comune ed a quelle modifiche della cosa stessa funzionali a detto utilizzo, che gli artt. 1102 e 1120 c.c. consentono al partecipante alla comunione, non venendo nel caso di specie compressi i diritti dei comproprietari a farne parimenti uso secondo la sua naturale destinazione (v. sul punto, in fattispecie analoga, Cass. Civ., Sez. II, 27 luglio 2006, n. 17099, così massimata: “Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può aprire su di esso abbaini (nella specie dotati di balconi) e finestre – non incompatibili con la sua destinazione naturale – per dare aria e luce alla sua proprietà, purché le opere siano a regola d’arte e non pregiudichino la funzione propria di copertura del tetto, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato la legittimità delle opere, rilevando che non era stata fornita alcuna prova di un impedimento a un diverso utilizzo del tetto da parte dei condomini, né di un particolare persistente uso del tetto stesso incompatibile con le opere eseguite, le quali mantenevano protette le parti sottostanti e non arrecavano pregiudizio al deflusso delle acque meteoriche)” (Cons. Stato, Sez. IV, 4 Maggio 2010, n. 2546).
Non possono inoltre trovare ingresso nel presente giudizio le doglianze di parte ricorrente circa il deprezzamento deli propri immobili siti nel medesimo condominio indicati come “allo stato invendibili” (pag. 13 del ricorso) in ragione dei contestati interventi né il danno derivante dalla mancata considerazione della pretesa mutata destinazione d’uso dei sottotetti ai fini del riparto delle spese condominiali (peraltro, come si vedrà, non intervenuta) che integrano profili estranei alla cognizione dei questo giudice.
Né, per le medesime ragioni è in questa sede deducibile il pregiudizio derivante dalla compromessa stabilità dell’edificio in ragione dei lavori eseguiti che potrà rilevare semmai ai fini di una Denunzia di nuova opera o Denunzia di danno temuto ai sensi, rispettivamente, degli artt, 1171 e 1172 c.c.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione degli artt. 3 e 19 della L. n. 241/1990, 27 e 36 del d.P.R. n. 380/2001 e 11 della L.R. n. 19/2008 nonché, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria.
A tal proposito evidenza come il controinteressato con DIA n. 957/2006 dichiarasse di voler procedere al recupero delle porzioni di sottotetto di proprietà a fini abitativi con esecuzione di opere ma con esclusione di interventi su parti strutturali dell’edificio mentre, in realtà, modificava la struttura portante del tetto con asportazione di travi, come emerge dai verbali redatti dalla Polizia Municipale e dai Vigili del Fuoco a seguito dei già menzionati accessi, tanto da determinare una ingiunzione di demolizione e ripristino “per sottrarsi alla quale il Sig. An. depositava D.I.A. in sanatoria per cui è causa” (pag. 20 del ricorso).
Rileva ancora il ricorrente che sebbene l’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001 prevedesse che il privato potesse autocertificare la sussistenza dei requisiti e presupposti di legge in sostituzione di “atti o pareri di organi o enti appositi”, il comma 1 bis della medesima norma, nel testo allora vigente, escludeva tale possibilità in zone sismiche (“Nei casi in cui la normativa vigente prevede l’acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché’ di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, dagli strumenti urbanistici approvati o adottati e dai regolamenti edilizi, da produrre a corredo della documentazione di cui al comma 1, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti”).
Il controinteressato, in violazione della vigente normativa, avrebbe presentato una DIA senza richiedere la prescritta autorizzazione sismica ex art. 11, comma 2, lett. B) della L. n. 19/2008 (“Nei Comuni della regione, esclusi quelli classificati a bassa sismicità, l’avvio e la realizzazione dei lavori indicati dall’articolo 9, comma 1, è subordinato al rilascio di una autorizzazione sismica. 2. Sono sempre soggetti a preventiva autorizzazione sismica, anche se ricadenti in Comuni a bassa sismicità:… b) i progetti presentati a seguito di accertamento di violazione delle norme antisismiche”).
In difetto dei prescritti atti autorizzativi, fra i quali l’autorizzazione sismica (non sostituibile come affermato) ai sensi dei commi 3 e 4 del medesimo art. 23, la DIA perderebbe pertanto effetto (“3. Nel caso dei vincoli e delle materie oggetto dell’esclusione di cui al comma 1-bis, qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti. 4. Nel caso dei vincoli e delle materie oggetto dell’esclusione di cui al comma 1-bis, qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all’amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dall’esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti”).
Il Comune non avrebbe rilevato tale difetto nonostante fosse noto per averlo evidenziato il Settore Ambiente ed Energia con nota del 9 luglio 2013 indirizzata al già citato Arch. Co. nella quale si affermava che sebbene l’intervento di cui alla DIA n. 1181/2011 fosse rispettoso della normativa tecnica vigente al momento della realizzazione, da un lato “non è stata dichiarata la normativa tecnica per le costruzioni in zona sismica vigenti al momento della realizzazione dell’intervento”, dall’altro, “ai sensi del D.P.R. n. 380/2001, trattandosi di elemento strutturale non di trascurabile importanza [la trave, ndr] eseguito in data successiva all’entrata in vigore della classificazione sismica del territorio ai sensi della O.P.C.M. 3274/2003, l’intervento è soggetto alla denuncia di cui all’art. 93 da allegare alla presentazione di un opportuno titolo edilizio”.
I tecnici comunali avrebbero travisato i contenuti della nota da ultimo richiamata e a seguito del sopralluogo dell’8 novembre 2013, avrebbero rilevato che “il trave esistente nell’angolo nord est è stato tagliato… la sua funzione portante è stata sostituita da una intelaiatura in ferro… la cui idoneità è stata verificata dalla struttura competente il 09/07/2013 prot. 122.886” senza considerare che la predetta nota rilevava in punto di rispetto della normativa sismica e “non certo l’idoneità della struttura abusivamente realizzata” (pag, 22 del ricorso).
Idoneità, peraltro, non verificata dall’Amministrazione che avrebbe ritenuto sufficienti le asseverazioni del controinteressato senza avvedersi che i tecnici comunali avevano rilevato una struttura metallica in luogo del trave rimosso mentre la prova di carico effettuata dai tecnici dell’An. veniva effettuata sulla trave centrale in legno della copertura.
Il motivo è infondato
L’art. 22 della L.R. n. 19/2008 stabilisce che “la richiesta o la presentazione del titolo in sanatoria, di cui all’articolo 17 della legge regionale 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. , convertito con modifiche dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326) è subordinata alternativamente all’asseverazione del professionista abilitato che le opere realizzate non comportano modifiche alle parti strutturali dell’edificio o agli effetti dell’azione sismica sulle stesse ovvero all’asseverazione del professionista che le medesime opere rispettano la normativa tecnica per le costruzioni vigente al momento della loro realizzazione”.
La mancata specificazione delle norme tecniche seguite al momento dell’esecuzione dell’intervento (rilevata con la citata nota del 9 luglio 2013) è stata superata dall’integrazione depositata il 10 ottobre 2013 con cui il controinteressato produceva la “Asseverazione da allegare alla presentazione del titolo edilizio in sanatoria” ex art. 22, comma 1, della L.n. 19/2008 con la quale si dava atto che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, si trattava di “opere che non comportano modifiche alle parti strutturali dell’edificio o agli effetti dell’azione sismica sulle stesse” e che dette opere rispettavano “la normativa tecnica per le costruzioni vigente al momento della realizzazione e, in particolare, delle norma allegate a: D.M. 09.11.1998”.
Sula base di tale asseverazione il Direttore del Settore Ambiente ed Energia (il medesimo che aveva rilevato le criticità cui si riferiva il ricorrente) in sede di chiarimenti alla più volte citata nota del 9 luglio 2013, con nota del 27 gennaio 2014, confermava che era “stata correttamente presentata l’asseverazione del professionista abilitato prevista dall’art. 22, comma 1, della l.r. 30 agosto 2008,n. 19” evidenziando che la carenza rilevata riguardava la sola indicazione della normativa seguita e che, pertanto, qualora nel frattempo “il progettista abbia integrato [ed ha integrato come già rilevato, ndr] il titolo abilitativo edilizio in sanatoria con l’asseverazione riportante anche la normativa tecnica per le costruzioni utilizzata nel progettazione e, pertanto, nell’esecuzione delle opere riguardanti parti strutturali, si ritiene che siano stati evasi tutti gli adempimenti in materia di riduzione del rischio sismico delle strutture strettamente connesse all’efficacia del medesimo titolo edilizio”.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione degli artt. 14 della L.R. n. 23/2004; degli artt. 3 e 19 della L. n. 241/1990, nonché, il difetto di motivazione e istruttoria ed eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.
Il ricorrente rileva che la DIA n. 1181/11 veniva presentata per sanare irregolarità riferite a due unità immobiliari diverse a suo tempo oggetto di due distinte DIA n. 957/06 per il recupero a fini abitativi del sottotetto e n. 958/06 per il cambio di destinazione del piano secondo da ufficio ad abitazione.
Relativamente al sottotetto (come si rileva dagli esiti del sopralluogo effettuato il 15 aprile 2009 e rapportati dagli operanti con nota del 21 aprile successivo, già illustrati) le difformità rilevate e sanzionate con ordinanza di demolizione del 30 marzo 2011consistevano: 1) nella realizzazione di una parete in cartongesso nel locale camera; 2) nelle diverse dimensioni del bagno; 3) nella mancata realizzazione dei velux nella camera e nel bagno; 4) nella interruzione improvvisa di un trave in legno e 5) nell’imbullonamento delle travi in legno a travi in ferro.
In detta occasione il Comune osservava che “gli interventi ut supra descritti devono considerarsi complessivamente come ristrutturazione edilizia eseguita in difformità dal titolo abilitativo edilizio” mentre la DIA censurata era invece stata presentata per opere di manutenzione straordinaria.
Il Dirigente, in particolare, rilevava “la realizzazione di una parere di cartongesso di mt. 1,83 di altezza nel locale camera”; “differenti dimensioni del bagno”; la “improvvisa interruzione delle travi in alcuni punti, dove sono presenti rinforzi con ferri imbullonati a profilati di ferro” e che “le travi in legno del locale soggiorno risultano imbullonate a travi di ferro” e per tale ragione ingiungeva la demolizione delle descritte opere abusive.
Nonostante la natura degli abusi rilevati, rientranti fra le previsioni dell’art. 14 L.R. n. 23/2004 che ne imporrebbe la demolizione, l’Amministrazione accettava la Dia presentata dall’An. per opere di manutenzione straordinaria.
Il Comune non si avvedeva nemmeno che la DIA n. 1181/2011 “dava per acquisito il cambio di destinazione d’uso (ad abitazione) dell’unità a piano sottotetto; malgrado al momento della scadenza dell’originaria pratica edilizia n. 957/06 e della presentazione della sanatoria n. 1181/11 non fossero state eseguite tutte le opere che già originariamente sarebbero state necessarie pe ottenere il recupero del sottotetto abitazione (ad esempio la realizzazione dei lucernari e delle altre opere necessarie per il rispetto dei requisiti acustici e aeroilluminanti, per la rispondenza degli impianti alle norme vigenti” (pag. 25 del ricorso).
Tali profili sono dal ricorrente sviluppati anche con il primo ricorso per motivi aggiunti (secondo motivo che per tale ragione può essere scrutinato unitamente al terzo motivo del ricorso introduttivo) con il quale si afferma che l’archiviazione parziale del 18 dicembre 2013 si fonderebbe sull’errato presupposto che con la DIA 1181/11 fossero state sanate le criticità di cui ai punti 1, 3, 4 e 5 dell’ordine di demolizione del 30 marzo 2011.
Ciò non sarebbe vero poiché i velux, come emerge dal verbale del 19 novembre 2013 presenti avrebbero orientamento e dimensioni diverse (punti 1 e 3).
Con la DIA non sarebbero stati sanati nemmeno gli abusi di cui ai punti 4) e 5) poiché la prova di carico richiesta sarebbe stata effettuata unicamente sul trave interrotto e non sull’intero tetto e non sarebbero stati verificati gli appoggi e ancoraggi del tetto ai muri perimetrali.
La dichiarazione del 23 ottobre 2013 con la quale An. affermava di aver realizzato opere a struttura metallica conformi al D.M. 9 gennaio 1996 sarebbe inconferente poiché, dopo la classificazione di Parma in zona sismica 3 risalente al 2005, la normativa applicabile sarebbe il D.M. 16 gennaio 1996.
Circa lo specifico profilo il Comitato Tecnico Scientifico della Regione Emilia Romagna avrebbe inoltre stabilito che in presenza di interventi alle parti strutturali di un edificio in assenza di titolo abilitativo si avrebbe violazione delle norme antisismiche con necessità da parte dell’interessato di predisporre la pratica edilizia in sanatoria con istanza di autorizzazione sismica ex art. 22, comma 2, della L.R. n. 19/2008.
L’Amministrazione avrebbe invece proceduto in data 18 dicembre 2013 all’archiviazione del procedimento sanzionatorio pur in assenza delle prescritte autorizzazioni sismiche.
Con il medesimo mezzo di gravame, riprendendo argomentazioni già spese in sede di ricorso introduttivo, si afferma la contraddittorietà della qualificazione dell’intervento operata dall’Amministrazione che lo avrebbe in un primo tempo considerato una ristrutturazione edilizia (30 marzo 2011) e successivamente una manutenzione straordinaria (18 dicembre 2013).
In particolare il ricorrente afferma che l’Amministrazione non avrebbe rilevato l’artificiosa frammentazione dell’abuso edilizio esaminando la pluralità di istanze di sanatoria ai fini di una corretta e complessiva qualificazione dell’intervento
Evidente quindi la contraddittorietà del provvedimento del 18 dicembre 2013 con il precedente ordine di demolizione del 30 marzo 2011 che aveva qualificato l’intervento come ristrutturazione edilizia.
Il motivo (3° del ricorso introduttivo e 2° del primo ricorso per motivi aggiunti) è infondato.
Le criticità rilevate dal ricorrente sono state considerate dal Comune ed hanno costituito il fondamento di una specifica misura sanzionatoria del 26 novembre 2015 (P.G. n. 215434) con la quale, richiamati i contenuti del provvedimento ingiuntivo del 24 marzo 2014, la richiesta di applicazione di sanzione pecuniaria avanzata dal controinteressato, la relazione tecnica relativa ai contestati abusi e le successive produzioni, veniva applicata la misura sanzionatoria (provvedimento oggetto di impugnazione con il terzo ricorso per motivi aggiunti, che come si argomenterà è anch’esso infondato).
Quanto alla sostituzione parziale del trave, come ampiamente illustrato, l’Amministrazione acquisiva una perizia tecnica giurata, la relazione tecnica relativa alla prova di carico e la asseverazione tecnica del 23 ottobre 2013 attestante il rispetto della normativa tecnica pertinente.
Per tali ragioni non trova fondamento il dedotto difetto di istruttoria.
L’infondatezza anche del terzo motivo del ricorso introduttivo (scrutinato unitamente al secondo del primo ricorso per motivo aggiunti) al pari dei primi due motivi del medesimo mezzo di gravame, determina l’infondatezza del primo motivo dei primi motivi aggiunti con il quale è dedotta l’illegittimità dei provvedimenti sopravvenuti in via derivata.
Il ricorrente con motivi aggiunti notificati il 5 giugno 2014 impugnava il provvedimento del 24 marzo 2014 con il quale l’Amministrazione, rilevate le non conformità indicate in premessa (dimensioni dei finestrini posti sulle pareti perimetrali; il difforme orientamento del lucernario complanare posto nella camera da letto; le diverse dimensioni del lucernario complanare posto in corrispondenza del soggiorno; la mancata rappresentazione della falda sud del tetto rilevate nel numero di 3 invece di 2); la difformità fra l’ampiezza dell’ingresso nel camera da letto rispetto a quella desumibile dall’elaborato grafico; l’insufficienza della superficie aeroilluminante) già accertate in sede di verbale del 19 gennaio 2013 e preso atto della mancata presentazione di una specifica pratica in sanatoria, ingiungeva all’An. la rimozione delle opere abusive e il ripristino avvertendo che in caso di inottemperanza avrebbe applicato la sanzione pecuniaria calcolata ex art. 21, comma 2, della L.R. n. 23.
Con il primo motivo, il ricorrente ne deduce l’illegittimità derivata contestando la previsione della sanzione amministrativa pecuniaria in luogo della misura demolitoria insistendo sul fatto che si sarebbe in presenza di una ristrutturazione e non di una manutenzione straordinaria, nonché, il difetto dei requisiti di abitabilità (mancanza requisiti igienico sanitari per essere adibita ad abitazione poiché non ha impianti di riscaldamento né aria condizionata) mentre, con il secondo motivo deduce l’illegittimità del provvedimento per vizi propri per violazione degli artt. 23 e 15 della L.R. n. 23/2004 e dell’art. 33 del d.P.R. n., 380/2001 ed eccesso di potere per plurimi profili per omessa adozione, in relazione agli abusi rilevati, del provvedimento di demolizione ex art. 15 della citata fonte regionale in luogo della sanzione di cui all’art. 16 applicabile solo “fuori dai casi di cui agli articoli 13, 14, 15…”
Rileva ancora il ricorrente che la precedente DIA (2006) veniva presentata per trasformazione del sottotetto in abitazione mentre la sanatoria successivamente presentata (n. 1181/2011) presupporrebbe il già intervenuto cambio di destinazione pur non essendo mai stati realizzati gli interventi per rendere abitabile il sottotetto.
Tale presupposizione, che farebbe risalire ad un precedente atto il cambio di destinazione d’uso, renderebbe artificiosamente possibile la qualificazione degli interventi oggetto della DIA n. 1181 come manutenzione straordinaria e non come ristrutturazione (qualificazione obbligata in presenza di un cambio di destinazione d’uso).
Il motivo è infondato.
L’immobile in questione (sottotetto di proprietà del controinteressato) non ha beneficiato di alcun cambio di destinazione, come attestato dalla certificazione depositata dall’Amministrazione (d’altra parte, la non utilizzazione a fini abitativi veniva accertata dall’Amministrazione con verbale del 19 novembre 2013 e quindi il relativo profilo non è in discussione) e, pertanto, il mantenimento della destinazione d’uso non abitativa preclude una qualificazione dell’intervento in termini di ristrutturazione in conformità con quanto stabilito dall’allegato punto sub b) dell’allegato alla L.R. n. 31/2002 che definisce interventi di manutenzione straordinaria “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso” mentre ai sensi della successiva lettera f) sono interventi di ristrutturazione edilizia “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.
E’, pertanto, evidente che l’intervento oggetto del presente giudizio, non comportando mutamento di destinazione d’uso, rientra nella fattispecie di cui alla lettera b) del citato allegato.
Quanto al dedotto difetto di legittimazione del controinteressato alla presentazione della DIA (profilo già dedotto con il ricorso introduttivo e già ritenuto infondato) si rileva ulteriormente che ai sensi dell’art. 17 della L.R. n. 23/2004 (che riprende i contenuti dell’art. 36 della L. n. 47/1985) “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ovvero in assenza di SCIA, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 13, comma 3, e 14, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile può richiedere il rilascio del permesso in sanatoria o presentare una denuncia di inizio attività in sanatoria, rispettivamente nel caso di interventi soggetti a permesso di costruire ovvero a denuncia di inizio di attività, se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
Ne deriva che il controinteressato, in quanto incontestato autore dell’abuso, era pienamente legittimato, a prescindere dal titolo proprietario, a richiedere la sanatoria.
Con il terzo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti il ricorrente deduce la violazione degli artt. E 5 Allegato C3 del RUE e dell’art. 2 della L.R. n. 23/2004.
Il ricorrente (anche in questo caso riprendendo argomentazioni già spese) lamenta che i locali del sottotetto oggetto del presente giudizio sarebbero privi dei prescritti requisiti igienico sanitari per essere adibiti ad abitazione, mancherebbero gli impianti di riscaldamento, difetterebbe il prescritto rapporto aeroilluminante ex art. 2 allegato C del RUE., mancherebbe uno dei tre lucernai dichiarati e gli immobili non sarebbero allacciati all’acquedotto comunale ma alimentati da un pozzo privato mentre l’art. 5 dell’allegato C3 del RUE, come già evidenziato, prevede l’allacciamento alla rete comunale di tutti i fabbricati salvo che la zona sia priva di acquedotto.
Il motivo è infondato poiché, come già evidenziato, il sottotetto del controinteressato non è abitabile e non necessità pertanto degli illustrati requisiti di abitabilità.
La censura, inoltre, non può essere sostenuta allegando una pregressa classificazione dell’unità come A2 (contraddetta come anticipato da successive produzioni dell’Amministrazione) poiché è pacifico che “l’accatastamento costituisce adempimento di tipo fiscale – tributario che fa stato ad altri fini, non atteggiandosi a strumento idoneo ad evidenziare una situazione di conformità edilizia” (Cons. Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 666).
Con i terzi motivi aggiunti il ricorrente censura il provvedimento del 26 novembre 2015 con il quale l’Amministrazione ha irrogato la sanzione pecuniaria al controinteressato.
Anche tale ultimo mezzo di gravame (in disparte ogni considerazione circa la eccepita inammissibilità) è infondato.
Il ricorrente (che con il primo motivo deduce l’illegittimità in via derivata non sottraendosi a un giudizio di infondatezza per le ragioni già esposte) deduce con il secondo motivo (ancora una volta riprendendo argomentazioni già spese) l’illegittimità del provvedimento impugnato poiché l’originario titolo abilitativo, la DIA n. 957/2006, era relativo ad un recupero a fini abitativi del sottotetto mentre la DIA n. 11/81/2011 darebbe per già acquisito il cambio di destinazione d’uso come attesterebbe la classificazione catastale dell’immobile come A2 (già smentita).
Il Comune non avrebbe ritenuto di procedere ad una misura ripristinatoria allegando la presentazione da parte del controinteressato di una dichiarazione di rinunzia all’uso abitativo del sottotetto: dichiarazione ritenuta insufficiente a tali fini poiché la rinuncia all’abitabilità necessiterebbe della dimostrazione “che gli ambienti non abbiano caratteristiche di abitabilità e non contengano impianti che configurino quegli ambienti come locali principali dell’abitazione” (pag. 8 del terzo ricorso per motivi aggiunti) quindi il controinteressato, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto presentare un nuovo titolo edilizio in grado di chiarire l’uso effettivo di ogni locale.
La rinuncia espressa sarebbe inoltre “allo stato” e non escluderebbe quindi future iniziative volte alla sua modifica.
Il motivo è infondato.
L’immobile in questione, come risulta dalla visura dell’8 aprile 2016 depositata in atti dall’Amministrazione, è classificato C2 (quindi non è unità abitativa) né, contrariamente a quanto dichiarato in ricorso (ma il profilo sarebbe in ogni caso irrilevante ai fini della presente decisione), risulta essere abitato.
In data 21 aprile 2016, infatti, la Polizia Municipale ha rappresentato al competente Dirigente comunale di aver “provveduto ad eseguire vari sopralluoghi in giorni e orari diversi senza mai verificare nessuno all’interno dei locali”.
Deve pertanto conclusivamente riconoscersi che il caso di specie non è riconducibile alle fattispecie di cui agli artt. 13 (Interventi di nuova costruzione eseguiti in assenza del titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali), 14 (Interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali) e 14 bis (Variazioni essenziali) della L.R. n. 23/2004 (le sole in relazione alle quali sono adottabili le misure di cui all’art. 15 a norma del quale “gli interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia eseguiti in parziale difformità dal titolo abilitativo sono rimossi o demoliti a cura e spese del responsabile dell’abuso”) ma nelle previsioni di cui all’art. 16 in base al quale “fuori dai casi di cui agli articoli 13, 14 e 15, gli interventi edilizi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività comportano la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi, determinata ai sensi dell’articolo 21, commi 2 e 2 bis, e comunque non inferiore a 1.000 euro…”.
Per quanto precede il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere respinti.
In ragione della specificità delle questioni oggetto del giudizio, sussistono giuste ragioni per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Conti – Presidente
Anna Maria Verlengia – Consigliere
Marco Poppi – Consigliere, Estensore