I rumori provocati dagli avventori dei locali non possono essere addebitati ai gestori, ai sensi dell’art. 659 cod. pen. a titolo di responsabilità oggettiva, occorre la prova di una colpa e deve, pertanto, essere possibile per l’imputato provarne l’assenza.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 dicembre 2012 – 12 febbraio 2013, n. 6825
Presidente Giordano – Relatore Rocchi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 3/10/2011, il Tribunale di Bassano del Grappa, dichiarava P.P. e B.G. colpevoli del reato di cui all’art. 659 cod. pen. e li condannava alla pena di euro 200,00 di ammenda ciascuno.
I due imputati sono legali rappresentanti di società che gestiscono due esercizi pubblici (una birreria e un pub) a Rosà, siti a brevissima distanza l’uno dall’altro, con conseguente facile transito della clientela; in tale qualità, agli stessi era addebitato di aver omesso di adottare i provvedimenti diretti ad impedire il disturbo alle occupazioni e il riposo dei residenti nelle zone limitrofe dei locali da parte degli avventori che, per consumare bevande, sostavano fuori dai rispettivi esercizi e nelle strade pubbliche antistanti ed adiacenti, provocando schiamazzi e cagionando danneggiamenti, oltre che problemi di circolazione stradale.
Il Giudice dava atto delle due denunce da parte degli abitanti del quartiere, che lamentavano i ripetuti disturbi alla quiete pubblica, nonché dei diversi provvedimenti sindacali che, alla luce dei rapporti della Polizia Municipale, disponevano la chiusura anticipata dei due locali; osservava che la situazione descritta aveva trovato piena conferma nelle testimonianze rese dal Maresciallo M. dei Carabinieri di Rosà e dell’agente di Polizia Municipale M., che avevano riferito una persistente situazione di oggettivo disturbo della pubblica quiete determinata dallo stazionamento dei numerosi avventori dei due locali sulla strada principale; le fotografie prodotte documentavano tale situazione.
Secondo il Giudice, sussisteva anche l’elemento psicologico del reato, risultando evidente che le reiterate lamentazioni dei residenti non avevano avuto effetto: cosicché l’esercizio dei due locali senza l’adozione di alcun provvedimento idoneo a scongiurare schiamazzi e disturbo alla quiete pubblica era chiaramente riconducibile alla negligenza dei responsabili.
2. Ricorre per cassazione il difensore di G.B., deducendo distinti motivi.
In un primo motivo si denuncia la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui si afferma che le testimonianze e la documentazione impongono la condanna dell’imputato.
La sentenza aveva richiamato la testimonianza del maresciallo M. e di M.R. e le fotografie scattate, in occasione degli assembramenti: peraltro l’imputano B. aveva precisato che tali assembramenti avvenivano solo nei dieci minuti di deflusso dei clienti verso le 23 – 23’30, quando gli avventori si recavano a ritirare i mezzi di trasporto poco distanti; aveva, inoltre, riferito che tale deflusso avveniva sotto il controllo di agenti di sicurezza che invitavano i clienti ad andare via subito. Anche la informativa della Polizia Locale di Rosà faceva riferimento esclusivamente a questo momento e le testimonianze degli agenti di polizia giudiziaria erano tutt’altro che univoche ad indicare il contrario.
Ma, se il fenomeno si verificava solo per dieci minuti nei giorni di venerdì, sabato e domenica, non sussisteva il disturbo alla quiete pubblica.
In un secondo motivo si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui si afferma la sussistenza dell’elemento psicologico: i testi Z. e Z. avevano riferito che il B. aveva adottato tutte le precauzioni vote ad impedire situazioni di disagio: aveva previsto la presenza nel locale di diversi agenti di sicurezza e di un parcheggiatore nello spazio antistante il locale; lo stesso Maresciallo M. lo aveva sempre definito collaborativo.
In un terzo motivo si denuncia l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale: il soggetto che esercita attività professionale può essere sanzionato ai sensi dell’art. 659, comma 1, cod. pen. solo in presenza di un accertamento oggettivo che la sua condotta attiva od omissiva sia concretamente idonea a disturbare il riposo e le occupazioni di una pluralità indeterminata di persone; prova che, nel caso di specie, non era stata fornita, tenuto conto che il B. aveva posto in essere le misure già ricordate.
Non era emersa dall’istruttoria dibattimentale alcuna prova che i rumori e gli schiamazzi provenissero specificamente dallo Special Pub gestito dal B.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il secondo motivo di ricorso è fondato e comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata (atteso che il reato contestato non è prescritto, in conseguenza di una sospensione, del dibattimento di quasi tre mesi).
Come esattamente indicato dal ricorrente, la sentenza impugnata non menziona e non prende in alcuna considerazione l’escussione dei testimoni indicati dalla difesa (Z. e Z.) ma nemmeno le considerazioni svolte dal Maresciallo dei carabinieri M. sulla collaborazione prestata dai due imputati al fine di risolvere la questione degli schiamazzi provocati dagli avventori dei locali pubblici.
Questa Corte ha affermato che gli elementi di prova raccolti dal difensore implicano un obbligo di loro valutazione da parte del Giudice e, nel caso vengano ritenuti non attendibili o di minore valenza rispetto alle altre risultanze processuali, un obbligo di motivazione su tale valutazione. (Sez. 2, n. 28662 del 27/05/2008 – dep. 10/07/2008, Manola, Rv. 240654).
Il vizio della sentenza che non soddisfi questo obbligo motivazionale è quello descritto dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., sotto il profilo della contraddittorietà con altri atti del processo specificamente indicati.
Ciò non significa che anche minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione possono dar luogo all’annullamento della sentenza: non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008 – dep. 06/05/2008, Ferdico, Rv. 239789).
I dati probatori tralasciati devono, quindi, essere decisivi per la valutazione del giudice per provocare il vizio motivazionale: e il giudice di legittimità, anche se non può compiere scelte tra diverse ipotesi ricostruttive, ha il potere di esaminare la motivazione della sentenza gravata per decidere se essa sia completa e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, o debba invece considerarsi lacunosa frammentaria per non aver vagliato tutti gli elementi decisivi a disposizione e che, se esaminati, avrebbero potuto avere concreta incidenza sul giudizio finale. (Sez. 4, n. 5693 del 31/03/1999 – dep. 07/05/1999, Laghi, rv. 213798).
Alla luce di questi principi e scendendo all’esame della motivazione, si deve rilevare che il capo di imputazione addebitava al B. di avere omesso di adottare provvedimenti diretti ad impedire il disturbo delle persone da parte degli avventori del suo locale; il Giudice riteneva fondato tale addebito, fornendo, però, una motivazione in parte apparente e, in parte, non corrispondente al complessivo materiale probatorio acquisito in dibattimento: notava, infatti, che “sussiste l’elemento psicologico del reato, essendo evidente che le reiterate lamentazioni dei residenti non aveva avuto effetto reale”, argomentazione che fa discendere dal dato di fatto degli schiamazzi la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ed è, quindi, apparente; ed aggiungeva che “l’esercizio dell’attività di gestione dei locali senza l’adozione di alcun provvedimento idoneo a scongiurare schiamazzi e disturbo alla pubblica quiete è chiaramente riconducibile alla negligenza dei responsabili”, passaggio nel quale, appunto, si tralascia del tutto il contenuto dell’istruttoria dibattimentale svolta su impulso della difesa degli imputati.
Che si tratti di vizio motivazionale attinente un elemento decisivo per il processo appare evidente: i rumori provocati dagli avventori dei locali non possono essere addebitati ai gestori, ai sensi dell’art. 659 cod. pen. a titolo di responsabilità oggettiva, operazione che sembra trasparire dalla sentenza impugnata; occorre la prova di una colpa e deve, pertanto, essere possibile per l’imputato provare l’assenza di colpa.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bassano del Grappa.