La locazione a prezzi di mercato di un appartamento ad una prostituta, pur nella consapevolezza dell’”attività” della stessa, non integra di per sé il reato di favoreggiamento della prostituzione, in considerazione del fatto che mettere a disposizione un appartamento non rappresenta una evidente collaborazione nel meretricio. Al contrario, il reato appare configurabile quando, oltre alla disponibilità dei locali ed alla consapevolezza in merito all’attività svolta all’interno degli stessi, si forniscono altri “benefit” che, effettivamente, favoriscono l’esercizio della prostituzione, come nel caso di esecuzione di inserzioni pubblicitarie, fornitura di profilattici, ricezione di clienti, accoglienza delle prostituite.

 

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 penale
Sentenza 16 gennaio 2017, n. 1773

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

contro:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 05/05/2016 del TRIB. LIBERTA’ di MESSINA;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROCCHI GIACOMO;

lette le conclusioni del P.G. Dott. BALDI Fulvio, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Messina rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro preventivo di appartamenti di sua proprieta’ in (OMISSIS) emesso dal G.I.P. del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in relazione ai reati di cui agli articoli 110 e 81 c.p. e L. n. 75 del 1958, articolo 3, comma 1, nn. 2 e 3.

Secondo la difesa, gli appartamenti non potevano essere considerati “casa di prostituzione”, non essendo aperti al pubblico; il locatore non era consapevole dell’esercizio della prostituzione che avveniva all’interno degli appartamenti, da lui regolarmente concessi in locazione, cosicche’ non era configurabile il delitto di favoreggiamento della prostituzione.

Il Tribunale rimarcava che l’attivita’ di prostituzione veniva esercitata da molto tempo e che i condomini e l’amministratore del condominio avevano ripetutamente protestato con l’indagato, il quale si era limitato a sostenere di ignorare l’attivita’ delle conduttrici, pur impegnandosi a risolvere il contratto di locazione. Gli accertamenti avevano dimostrato che gli appartamenti erano sublocati a ragazze straniere che esercitavano la prostituzione: una di esse era stata accolta personalmente da (OMISSIS).

Il Tribunale escludeva che la condotta attribuita all’indagato potesse essere qualificata come esercizio di una casa di prostituzione, mancando ogni forma di organizzazione, nemmeno rudimentale, cosi’ come essa non poteva integrare la fattispecie di tolleranza alla prostituzione, che concerne solo locali aperti al pubblico.

Al contrario, il Tribunale ravvisava il fumus del reato di favoreggiamento della prostituzione: in effetti, la locazione dei due appartamenti non perseguiva alcuna finalita’ abitativa, essendo i contratti intestati a soggetti che non avevano mai risieduto negli immobili, vivendo in altre regioni; il contratto, piuttosto, fungeva da schermo per ammantare di liceita’ un’attivita’ consapevole e sistematica di favoreggiamento della prostituzione.

Sussisteva anche il fumus del reato di sfruttamento della prostituzione, atteso che i due miniappartamenti fruttavano una somma nettamente superiore ai canoni di mercato, benche’ di modestissime dimensioni.

Infine era provata la conoscenza da parte dell’indagato dell’utilizzo all’esercizio della prostituzione dei due immobili; sussisteva il periculum in mora, essendo presumibile la prosecuzione dell’attivita’ illecita.

2. Ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), deducendo violazione dell’articolo 321 c.p.p. in ordine alla sussistenza del fumus del delitto di favoreggiamento della prostituzione nonche’ violazione della L. n. 75 del 1958, articolo 3 e vizio della motivazione.

Il Tribunale aveva violato l’insegnamento di questa Corte secondo cui la locazione di appartamenti a prostitute integra il delitto di favoreggiamento esclusivamente nel caso in cui il locatario fornisce ulteriori attivita’ che esulano dal contratto di locazione.

Con un secondo motivo il ricorrente deduce analoghi vizi con riferimento all’affermazione della sussistenza del fumus del delitto di sfruttamento della prostituzione.

Il Tribunale non aveva motivato l’affermazione secondo cui i due appartamenti di fatto integravano uno solo, non aveva tenuto conto che essi erano forniti ammobiliati, ne’ che il contratto di locazione, della durata di 18 mesi, comprendeva anche i mesi estivi e, quindi, era parametrato alla natura di localita’ turistica di Milazzo; non aveva confrontato il prezzo della locazione con i valori di mercato; inoltre l’unica prostituta che aveva dichiarato di aver pagato il canone di locazione a (OMISSIS) aveva indicato un canone di Euro 350,00 mensili.

In definitiva, non vi era alcuna sproporzione tra i valori di mercato e il canone praticato per l’appartamento in questione.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile.

1. Si deve previamente ricordare che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame in materia di sequestro e’ ammesso solo per violazione di legge, ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 1.

Pertanto, con il ricorso non possono essere denunciati in questa sede vizi della motivazione.

Ebbene, il secondo motivo di ricorso – concernente la sussistenza del fumus del delitto di sfruttamento della prostituzione – e’ basato unicamente sulla denuncia di un vizio motivazionale: il ricorrente, infatti, sostiene che “tale impianto motivazionale diretto ad affermare la sproporzionalita’ del canone di locazione rispetto a quello di mercato, e’ lacunoso e si pone in stridente contrasto con gli stessi elementi istruttori ed atti di indagine espletati ed emergenti dall’ordinanza di sequestro del G.I.P. e dalla stessa ordinanza del Tribunale del Riesame”; come si vede, il ricorrente denuncia la manifesta illogicita’ o la contraddittorieta’ della motivazione alla luce delle emergenze probatorie.

2. Anche nel primo motivo di ricorso – concernente il fumus del delitto di favoreggiamento della prostituzione – viene espressamente dedotto un analogo vizio motivazionale (motivo, pertanto, inammissibile); tuttavia il ricorrente denuncia anche una violazione di legge, sostenendo che il Tribunale avrebbe adottato un’interpretazione della norma incriminatrice errata, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, ritenendo sufficiente per l’integrazione del reato la locazione di immobili a prostitute con la consapevolezza che esse lo utilizzeranno per l’esercizio della prostituzione.

In effetti, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che la cessione in locazione, a prezzo di mercato, di un appartamento ad una prostituta, anche se il locatore sia consapevole che la locataria vi esercitera’ la prostituzione in via del tutto autonoma e per proprio conto, non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione, atteso che la stipulazione del contratto non rappresenta un effettivo ausilio per il meretricio (Sez. 3, n. 28754 del 20/03/2013 – dep. 04/07/2013, Paltracca, Rv. 25559301); ricorre il reato se, oltre al godimento dell’immobile, vengono fornite prestazioni accessorie che esulino dalla stipulazione del contratto ed in concreto agevolino il meretricio (come nel caso di esecuzione di inserzioni pubblicitarie, fornitura di profilattici, ricezione di clienti o altro) (Sez. 3, n. 33160 del 19/02/2013 – dep. 31/07/2013, Bertini, Rv. 25589301).

Ma, a ben vedere, il Tribunale recepisce espressamente questa giurisprudenza e, quindi, accoglie la corretta interpretazione normativa del reato di favoreggiamento della prostituzione.

Piuttosto – con motivazione non sindacabile in questa sede – l’ordinanza evidenzia alcune circostanze di fatto che permettono di differenziare il caso concreto: il fatto che nessuno – tanto meno la conduttrice formale – abitasse stabilmente negli appartamenti, in cui dimoravano esclusivamente prostitute “di passaggio”, destinate ad operare in loco per pochi giorni per poi essere sostituite da altre; la consapevolezza da parte dell’indagato della destinazione degli appartamenti ad uso esclusivo e stabile dell’esercizio della prostituzione; infine, la prestazione di un “servizio aggiuntivo”, costituito dall’accoglienza di una delle prostitute, cui (OMISSIS) aveva consegnato le chiavi dell’appartamento e dalla quale aveva ricevuto direttamente un “canone di locazione” del tutto differente da quello concordato con la formale conduttrice.

3. Alla declaratoria di inammissibilita’ dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 2.000 (duemila) in favore delle Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

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