Sentenza n. 16742 del 16 luglio 2010 (udienza del 17 giugno 2010)
Corte di cassazione, sezione tributaria – Pres. Adamo, Rel. Bognanni
Imposta di registro – Rettifica del valore di immobile compravenduto – Criteri – Motivazione dell’avviso di rettifica

SINTESI: L’obbligo di motivazione degli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e della funzione che gli stessi hanno in base alle norme loro proprie: giacché, mentre in alcuni la funzione di prelievo fiscale viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, talvolta risolvendosi nella mera imposizione di una determinata disciplina, altri invece costituiscono l’espressione di una funzione di prelievo fiscale, articolata e complessa, per cui assumono una veste formale ed un contenuto specificamente regolato dalla legge. L’obbligo in questione potrà ritenersi quindi adempiuto solo qualora la motivazione, ancorchè formulata in modo sommario e semplificato, sia tale – avuto riguardo al contenuto tipico ed all’oggetto del singolo atto impositivo – da palesare le ragioni del provvedimento, nella evidenziazione dei momenti ricognitivi e di quelli logico-deduttivi. Ne consegue che, in tema di imposta complementare di registro, come nella specie, non deve ritenersi carente dei requisiti minimi di motivazione l’avviso di accertamento di rettifica del valore iniziale di un immobile compravenduto che faccia riferimento ad alcuno dei criteri normativi di valutazione (comparazione con i valori di immobili simili o analoghi rilevati in relazione ad atti anteriori di non oltre tre anni; capitalizzazione, al tasso medio, del reddito netto; valore di mercato; costo storico) desumibili dalla disciplina specifica di cui al DPR 634 del 1972, art. 49, comma 2, e al DPR n. 131 del 1986, art. 52, comma 2, (cfr. anche Cass. n. 27653 del 2005 e n. 21515 del 2005).

Sintesi da: Fiscooggi

Segue il testo integrale della sentenza:

Svolgimento del processo

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Roma la società Leo Felix srl. proponeva opposizione avverso l’avviso di accertamento che l’ufficio del registro le aveva fatto notificare per rettifica del valore di un appartamento acquistato nel 1994, sicchè veniva richiesta un’imposta maggiore di quella versata, oltre agli interessi e sanzione. Esponeva che l’atto impositivo non era adeguatamente motivato, e pertanto ne chiedeva l’annullamento.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva l’infondatezza del ricorso introduttivo, chiedendone perciò il rigetto.

Quella commissione lo rigettava.

Avverso la relativa decisione la contribuente proponeva appello, cui l’agenzia delle entrate resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale rigettava il gravame, osservando che quell’avviso non fosse carente di motivazione, e che le altre doglianze inerenti alla carenza di prova e alla pretesa non congruità del valore del bene costituivano nuove censure.

Contro questa pronuncia la contribuente, ormai in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo.

L’agenzia non ha svolto alcuna difesa.

Motivi della decisione

Col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che l’atto impositivo non era munito della necessaria indicazione delle ragioni della rettifica; nè il ricorso in appello conteneva nuovi motivi, trattandosi di specificazione del tema introdotto nel giudizio circa la subordinata richiesta di riliquidazione del valore, ma semmai di argomentazione tendente a sviluppare quanto già contenuto nella domanda originaria.

Il motivo è inammissibile.

Infatti la ricorrente adduce delle doglianze che avrebbe prospettato al giudice del gravame, senza tuttavia indicare nello specifico la precisa natura di esse e le parti del relativo atto in cui le avrebbe riportate, rendendo in tal modo piuttosto generica la censura che asserisce di avere prospettato.

Si tratta, come è agevole notare, di un carattere preliminare ed assorbente del motivo, che perciò “stricto jure” rende di conseguenza superflua la sua delibazione.

Tuttavia – e ciò viene osservato solamente “ad abundantiam” – esso è palesemente infondato.

La CTR osservava giustamente che l’avviso di accertamento conteneva gli elementi, in virtù dei quali il valore del cespite era stato elevato, tanto che la contribuente era stata posta nella condizione di approntare la difesa. Nè le altre doglianze circa la richiesta di determinazione di un valore più ridotto e la mancanza di prova della pretesa erariale potevano essere delibate, perche nuove.

Gli assunti sono esatti.

L’obbligo di motivazione degli atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e della funzione che gli stessi hanno in base alle norme loro proprie: giacchè, mentre in alcuni la funzione di prelievo fiscale viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, talvolta risolvendosi nella mera imposizione di una determinata disciplina, altri invece costituiscono l’espressione di una funzione di prelievo fiscale, articolata e complessa, per cui assumono una veste formale ed un contenuto specificamente regolato dalla legge. L’obbligo in questione potrà ritenersi quindi adempiuto solo qualora la motivazione, ancorchè formulata in modo sommario e semplificato, sia tale – avuto riguardo al contenuto tipico ed all’oggetto del singolo atto impositivo – da palesare le ragioni del provvedimento, nella evidenziazione dei momenti ricognitivi e di quelli logico-deduttivi. Ne consegue che, in tema di imposta complementare di registro, come nella specie, non deve ritenersi carente dei requisiti minimi di motivazione l’avviso di accertamento di rettifica del valore iniziale di un immobile compravenduto che faccia riferimento ad alcuno dei criteri normativi di valutazione (comparazione con i valori di immobili simili o analoghi rilevati in relazione ad atti anteriori di non oltre tre anni; capitalizzazione, al tasso medio, del reddito netto; valore di mercato; costo storico) desumibili dalla disciplina specifica di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 49, comma 2, (come sostituito dal D.P.R. 6 dicembre 1977, n. 914, art. 3) e D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 2, (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 27653 del 2005, n. 21515 del 2005).

Nè altri temi di discussione non specificamente dedotti in primo grado potevano essere introdotti in appello, pena la loro inammissibilità, per il principio, esattamente enunciato dal giudice di secondo grado, del divieto di domande od eccezioni nuove non espressamente dedotte in quello precedente, come nella specie, per la pretesa carenza di prova della pretesa fiscale, o la subordinata di riduzione.

Ne deriva che il ricorso va dichiarato inammissibile.

Quanto alle spese del giudizio, non si fa luogo ad alcuna statuizione, stante la mancata costituzione dell’intimata.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *