In materia di locazione, sono escluse dal perimetro applicativo dell’art. 1576 c.c. (mantenimento della cosa locata in buono stato locativo) le riparazioni straordinarie implicanti un vero e proprio vizio strutturale dell’immobile per le quali gli unici rimedi previsti sono la risoluzione del contratto o la riduzione del canone. Sono, invece, riconducibili alla fattispecie in parola i guasti o i deterioramenti della cosa dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell’utilizzazione del bene, giacché in tal caso diviene operante soltanto l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’art. 1576 c.c.. (Nel caso concreto, tuttavia, le opere definite di ordinaria manutenzione, quali spicconatura intonaco a vivo di muro, demolizione pavimento, rimozione gradini e soglie e smontaggio infissi esterni, in realtà non sono tali, di talché deve escludersi l’operatività della disposizione di cui all’art. 1576 c.c., dovendo, invece, operare il successivo art. 1578 c.c. relativo ai vizi della cosa locata)

 

CHIEDI UNA CONSULENZA

 

Tribunale Roma Sezione 6 Civile Sentenza 16 febbraio 2018 n. 3668

 

Locazione – Mantenimento della cosa in buono stato locativo – Operatività – Non operatività – Manutenzione straordinaria – Rimedi ex art. 1578 c.c.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SESTA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Daniele D’Angelo

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 58743/2015 promossa da:

(…) (C. F. (…)), con il patrocinio dell’Avv. Or.Ca. e dell’Avv. Fr.Sc. ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, Piazza (…), giusta delega in calce all’atto di citazione

ATTORE

contro

ROMA CAPITALE (C. F. (…)), in persona del liquidatore legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell’Avv. Fe.Gr. in virtù di procura generale alle liti depositata in atti e presso la stessa elettivamente domiciliata negli Uffici dell’Avvocatura Comunale in Roma, via (…)

CONVENUTA

E contro

(…) (C. F. (…)), in persona del liquidatore legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell’Avv. Ma.Ro. ed elettivamente domiciliata in Roma, via (…), giusta delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta

TERZO CHIAMATO

OGGETTO: azione di risarcimento danni per responsabilità contrattuale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Conclusioni delle parti ed esposizione dei fatti

Con atto di citazione iscritto a ruolo il 16.09.2015 (…) ha vocato in giudizio Roma Capitale chiedendo il risarcimento del danno subito per Euro 471.883,28 per danno emergente ed Euro 1.954.625,19 a titolo di lucro cessante per l’inagibilità e inutilizzabilità del locale sito in R., via (…) già concesso in locazione.

Si è costituita Roma Capitale con comparsa di costituzione e risposta depositata il 17.11.2015 nella quale ha chiesto il rigetto delle avverse domande, ha spiegato domanda riconvenzionale al fine di ottenere la declaratoria di occupante abusivo dell’attore e il conseguente risarcimento del danno nonché spiegando chiamata di terzo in garanzia nei confronti della (…).

Autorizzata la chiamata di terzo si è costituita la (…) con comparsa di costituzione e risposta depositata il 18.03.2016 nella quale ha chiesto l’estromissione del giudizio e il rigetto della domanda in manleva per inoperatività della polizza.

All’udienza del 14.04.2016 il giudicante, rilevata l’erroneità del rito utilizzato dall’attore, vertendo la controversia in materia locatizia, ha disposto il mutamento del rito concedendo i termini di cui all’art. 426 c.p.c.

In data 13.06.2016 (…) ha depositato memorie integrative chiedendo: “Voglia il Tribunale adito – previa estromissione dal giudizio, in via preliminare e/o pregiudiziale, di (…), anche con sentenza parziale e/o non definitiva – accertata l’inagibilità e/o l’inidoneità all’uso commerciale (ovvero quale locale di ristorazione) delle porzioni immobiliari site in R., Via (…), all’angolo con Via (…), e dei relativi accessori, nonché l’inadempimento per i titoli e le causali di cui alla parte motiva del presente atto della convenuta rispetto al rapporto locatizio in essere: – condannare Roma Capitale al risarcimento del danno ovvero al rimborso delle spese per l’effettuazione dei necessari lavori di manutenzione, ove effettuati direttamente dall’attore, nella misura di Euro 471.883,28, come stimata dalla CTU dell’Arch. Di. o nella diversa misura che dovesse essere ritenuta di giustizia e/o di equità; – in via alternativa e/o subordinata, condannare Roma Capitale all’effettuazione dei necessari lavori di manutenzione, come da CTU dell’Arch. (…), con assegnazione di termine per la loro esecuzione; autorizzare, in ipotesi di mancato rispetto di detto termine, l’attore all’esecuzione dei lavori medesimi con condanna di Roma Capitale al rimborso di tutte le spese occorrenti; – condannare Roma Capitale al risarcimento del danno nei confronti del ricorrente da liquidarsi, alla data dell’atto di citazione introduttivo, nella misura di Euro 1.954.625,19 per lucro cessante, anche eventualmente per perdita di chances; ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia e/o di equità; oltre al danno successivo da liquidarsi sino al termine dell’effettuazione dei lavori. – il tutto con interessi e rivalutazione come per legge; – anche in accoglimento delle spiegate eccezioni di prescrizione, rigettare e/o dichiarare improcedibili e/o inammissibili tutte le eccezioni di controparte, nonché rigettare e/o dichiarare improcedibili e/o inammissibile domande riconvenzionali svolte da Roma capitale nei confronti dell’attore. – Con vittoria di spese e compensi del giudizio, compresa la rifusione della spese per l’espletata CTU in sede di ATP (per Euro 7.229,83)”.

In data 24.06.2016 la (…) ha depositato memoria integrativa nella quale ha rassegnato le seguenti conclusioni: “Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione: 1) IN VIA PRELIMINARE: dichiarare per quanto esposto in narrativa l’inoperatività della garanzia prestata nei confronti della Roma Capitale per la responsabilità civile dell’assicurato, conseguentemente tenendo la concludente Società indenne da ogni esborso nei confronti di chiunque e dichiarandone l’immediata estromissione dal presente giudizio; 2) IN VIA PRELIMINARE: dichiarare, in ogni caso, l’avvenuta prescrizione del diritto alla manleva vantato da Roma Capitale nei confronti de Le Assicurazioni di Roma, conseguentemente disponendone l’estromissione dal presente giudizio; 3) IN VIA PRELIMINARE: accertare e dichiarare la nullità della citazione introduttiva della lite nonché la nullità dell’atto di chiamata in causa, con ogni conseguenza di legge; 4) NEL MERITO: rigettare in toto la domanda dell’attore perché sfornita di prova ed infondata in fatto ed in diritto; 5) NEL MERITO: accogliere, ove ritenuta fondata, la domanda riconvenzionale svolta nei confronti dell’attore da Roma Capitale; 6) IN SUBORDINE: nella denegata ipotesi di pur parziale accoglimento della domanda attorea e contestuale rigetto delle preliminari eccezioni spiegate dalla deducente, ridurre il risarcimento all’importo che risulterà dovuto all’esito dell’esperenda istruttoria e condannare Le Assicurazioni di Roma a tenere indenne Roma Capitale nei limiti del massimale di polizza; 7) IN OGNI CASO: escludere ogni ipotesi manleva in caso di condanna di Roma Capitale all’esecuzione di obblighi di fare. Con vittoria delle spese di lite, oltre accessori di legge”.

Nessuna memoria o documentazione è stata depositata da Roma Capitale.

Espone l’attore di essere assegnatario dell’azienda per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande costituita dal locale “I. G.” sito in R., via (…), angolo via (…) a seguito di asta fallimentare conclusasi con il verbale di assegnazione del 25.01.2007 e stipula dell’atto definitivo di cessione in data 10.06.2010. Infatti l’immobile in questione era stato concesso in locazione a (…) dal Comune di Roma con contratto del 11.12.1965. (…) deduce che, nonostante l’avvenuta regolare assegnazione dell’azienda e cessione del relativo contratto di locazione, Roma Capitale ha frapposto continui impedimenti al regolare godimento dell’immobile non riconoscendo l’odierno attore quale conduttore. Inoltre viene precisato che il locale si trovava in condizioni di grave abbandono e fatiscenza tanto da necessitare di significative e importanti opere di manutenzione ordinaria e straordinaria. A ciò si aggiunga che l’attore evidenzia di essere stato costretto ad instaurare un giudizio per ottenere il riconoscimento del suo diritto al subentro nell’originario contratto di locazione conclusosi, in primo grado, con la sentenza 24244/2012, totalmente favorevole per l’attore. Detta decisione è stata appellata dal Comune di Roma e il relativo giudizio di impugnazione si è concluso con la sentenza 872/2016 di totale rigetto delle ragioni dell’ente pubblico. Stante la reticenza dell’ente pubblico territoriale (…) espone di aver instaurato un giudizio di Accertamento Tecnico Preventivo conclusosi con una C.T.U. depositata in atti in cui vengono quantificati i danni presenti nell’immobile e le riparazioni necessarie. Da qui l’odierna azione risarcitoria volta ad ottenere il pagamento delle somme necessarie a sostenere le spese straordinarie nonché il danno da lucro cessante subito per non aver potuto utilizzare l’immobile ottenuto in locazione.

Si è costituita Roma Capitale eccependo, in primo luogo, che nessun contratto di locazione sarebbe intercorrente tra le parti perché l’Amministrazione Comunale, stante il perdurante inadempimento di (…), originario conduttore, avrebbe intimato lo sfratto per morosità e ottenuto la sentenza 5005/2003 in cui era disposta la risoluzione del contratto di locazione e il conduttore veniva condannato alla restituzione dell’immobile. Inoltre Roma Capitale sostiene che, in caso di cessione di azienda, il trasferimento nel contratto di locazione non sarebbe automatico e che sarebbe, invece, necessaria una pattuizione specifica tra cedente e cessionario dell’azienda che in questo caso sarebbe assente. Infine Roma Capitale eccepisce l’inesistenza del contratto di locazione originariamente stipulato e che, comunque nello stesso, all’art. 5, il locatore sarebbe esonerato dal sostenimento dei costi necessari alle riparazioni straordinarie. Infine viene contestato il diritto al risarcimento del danno da perdita di chance e viene spiegata domanda riconvenzionale volta ad ottenere la declaratoria di occupante senza titolo nei confronti di (…) nonché la sua condanna al risarcimento del danno per detta occupazione illecita. Infine viene chiamata la società (…) per ottenere la manleva in caso di condanna al risarcimento dei danni.

Si è costituita la (…) eccependo l’inoperatività della polizza stipulata unicamente a garanzia della responsabilità civile extracontrattuale, nonché per difetto dei presupposti contrattuali. Infatti verrebbero lamentati solo danni immateriali, si tratterebbe di opere realizzate a vantaggio della proprietà dell’ente assicurato e per espressa esclusione del rischio nelle pattuizioni contrattuali. Viene inoltre eccepita la prescrizione biennale.

2. In rito

In relazione all’eccezione preliminare di estromissione avanzata dalla terza chiamata deve rilevarsi quanto segue. L’estromissione è istituto previsto dal codice di rito unicamente riguardo le ipotesi previste dagli articoli 108 e seguenti c.p.c. con la conseguenza che l’eccezione di inoperatività dell’assicurazione stipulata non può portare ad una decisione di rito. Dovrà, invece, essere emessa una pronuncia di merito sulla fondatezza o meno della manleva richiesta da Roma Capitale.

Pertanto la relativa eccezione deve essere rigettata.

3. Nel merito

In primo luogo deve rilevarsi come, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune convenuto, l’attore abbia dimostrato in giudizio il titolo fondante la pretesa creditoria fatta valere. In particolare (…) ha allegato (cfr. allegato 3 all’atto di citazione e allegato 3 della stessa comparsa di risposta di Roma Capitale) il contratto di locazione sottoscritto il 03.12.1965 e registrato il 11.12.1965 avente ad oggetto l’immobile sito in R., via A. 53 di proprietà del Comune di Roma. Inoltre viene prodotto atto di cessione di azienda a mezzo atto notaio L.G. avente rep. (…) e racc. (…) del (…) (cfr. allegato 1 all’atto di citazione) tra la Curatela del Fallimento di M.N., originario conduttore, e (…) nonché comunicazione di avvenuta cessione di azienda inviata all’ente pubblico territoriale dal curatore (cfr. allegato 4 all’atto di citazione). Come noto, in materia di responsabilità contrattuale, il paciscente che agisce per l’esatto adempimento ha solo l’onere di provare il fondamento del suo diritto mentre può semplicemente allegare l’altrui condotta inadempitiva. In questo caso sarà onere della controparte dimostrare in giudizio l’esattezza e completezza dell’adempimento posto in essere. A tal riguardo la giurisprudenza della Suprema Corte è unanime nell’affermare che “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n.826 del 20.01.2015). Nel caso di specie l’attore ha allegato l’inadempimento del locatore all’obbligo di manutenzione di cui agli articoli 1575 e 1576 c.c. Sarebbe stato, dunque, onere della convenuta dimostrare l’avvenuto adempimento degli obblighi di riparazione e corretta manutenzione dell’immobile su di essa incombenti per disposizione di legge. Invece Roma Capitale non contesta la condizione di fatto dell’immobile, cioè il suo stato di fatiscenza e degrado, così che le relative deduzione dell’attore, peraltro cristallizzate in apposito A.T.P., devono ritenersi espunte dal thema probandi in virtù del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c.

Infatti, la Suprema Corte, in realtà anche prima della novella dell’art. 115 c.p.c., ha chiarito che “L’onere di contestazione tempestiva non è desumibile solo dagli artt. 166 e 416, cod. proc. civ., ma deriva da tutto il sistema processuale come risulta: dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost. Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto, potendo trattarsi di un fatto la cui esistenza incide sull’andamento del processo e non sulla pretesa in esso azionata” (Corte di Cassazione, Sez. L., sen. n. 12636 del 2005). Invero, “Ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., la non contestazione costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale (nella specie: mancata divisione del compendio ereditario prima della proposizione della domanda di condanna degli eredi da parte di chi ritenga di vantare un credito nei confronti del defunto) e deve, perciò, ritenere la circostanza in questione sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo in concreto spiegato espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” (Corte di Cassazione, Sez. VI, Ord. n. 14594 del 2012).

Accertata la condizione di fatto dell’immobile come cristallizzata nell’A.T.P. relativa al procedimento cautelare avente R.G. 22184/2014 innanzi al Tribunale di Roma (cfr. allegato 17 all’atto di citazione), devono essere affrontate le questioni relative alla responsabilità del locatore. Nell’accertamento tecnico preventivo, alle pagine 2 e 3, nel capitolo “causali degli inconvenienti lamentati” al punto a) si legge: “sono state rilevate, diffuse infiltrazioni d’acqua meteorica, dovute ad inadeguata, oltre che vetusta, impermeabilizzazione delle coperture” mentre al punto b) si legge: “anche le facciate esterne, ove non coperte da alberi ed arbusti incolti, si presentano in condizione di manutenzione, assai ammalorata e vetusta, sia per le copiose precipitazioni, ormai frequenti, che per il cattivo stato dei cornicioni e del sistema di smaltimento delle acque meteoriche, per lo più, ormai inesistente (foto n. 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71); lo stesso dicasi dei parapetti, delle ringhiere e delle pensiline, completamente fuori norma, inadeguate e poco sicure”; infine, nella pagina 3 si legge “Quindi, sommariamente, ad oggi, posso affermare che, le cause degli inconvenienti lamentati, provengono per lo più, dalle infiltrazioni d’acqua meteorica delle coperture, seguite da un generale stato manutentivo carente e da un altrettanto carenza, di tutta l’impiantistica, riferita ad una destinazione commerciale, a ristorante”. Appare di palmare evidenza, quindi, che la condizione di fatiscenza dei luoghi sia stata cagionata da una serie di gravi ed evidenti difetti strutturali peggiorati nel tempo e, in alcuni casi, sopravvenuti. Pertanto la responsabilità del locatore deve essere inquadrata in quella di cui al combinato disposto degli articoli 1581 e 1578 c.c. e non a quella di cui all’art. 1576 c.c. Infatti la giurisprudenza della Suprema Corte, sul punto, chiarisce che “Costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell’art. 1578 cod. civ. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’art. 1575 cod. civ., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull’idoneità all’uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l’esperibilità dell’azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione.

Pertanto va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell’utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’art. 1576 cod. civ., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 24459 del 21.11.2011). Nel caso di specie appare di palmare evidenza che gli inconvenienti lamentati non siano stati determinati dalla normale usura o da accadimenti che hanno determinato disagi limitati e transeunti nell’utilizzazione del bene ma da veri e propri difetti strutturali tali da assumere la consistenza di vizi dell’immobile. In tale ipotesi, allora, viene esclusa la possibilità, per il conduttore, di ottenere una condanna all’esatto adempimento del locatore poiché il codice prevede esclusivamente il rimedio della risoluzione sopravvenuta per colpa del locatore o della riduzione del canone concordato. Invero la Suprema Corte opina che “Costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell’art. 1578 cod. civ. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ex art. 1575 cod. civ., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sulla idoneità all’uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo, ma non la esperibilità dell’azione di esatto adempimento – quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone la integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 5682 del 18.04.2001). Pertanto, almeno con riferimento ai difetti strutturali relativi alla manutenzione straordinaria dell’immobile, la domanda di parte attrice deve essere rigettata in quanto infondata poiché l’ordinamento giuridico non contempla il rimedio dell’esatto adempimento né sotto forma di condanna ad un facere specifico né sotto forma di condanna al pagamento dell’equivalente. Parimenti non può trovare accoglimento l’eccezione di Roma Capitale secondo cui all’art. 5 del contratto è previsto l’impegno, da parte del conduttore, alle opere di consolidamento del manufatto e di ripresa degli intonaci esterni pericolanti. Infatti detta eccezione è collegata direttamente alla domanda relativa all’azione di esatto adempimento in materia di riparazione straordinarie. Il rigetto di detta domanda assorbe anche la correlativa eccezione.

L’attore, però, esperisce azione di esatto adempimento anche con riguardo alle opere di manutenzione ordinaria identificate nell’A.T.P. A tal proposito deve rilevarsi come l’art. 1576 c.c. statuisca che “il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore”. Come già chiarito la giurisprudenza di legittimità afferma che sono escluse dal perimetro applicativo dell’art. 1576 c.c. quelle riparazioni straordinarie implicanti un vero e proprio vizio strutturale dell’immobile per le quali gli unici rimedi previsti sono la risoluzione del contratto o la riduzione del canone. Invece, sono riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 1576 c.c. “i guasti o i deterioramenti della cosa dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell’utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante soltanto l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’art.1576 cod. civ. (confr. Cass. civ. 9 maggio 2008, n. 11514; Cass. civ. 15 maggio 2007, n. 11198)” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 24459 del 21.11.2011, parte motiva). Dunque deve trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 1576 c.c. con riferimento alle riparazioni necessarie dovute alla normale usura.

Sul punto non sembrano cogliere nel segno le eccezioni sollevate da Roma Capitale nella propria comparsa di costituzione e risposta.

Con riferimento all’eccezione secondo cui (…) non avrebbe titolo alla detenzione dell’immobile deve rilevarsi quanto segue. A prescindere da quanto dedotto e non dimostrato da Roma Capitale – secondo cui il contratto sarebbe stato risolto dalla sentenza n. 5005/2003 non prodotta in giudizio – il medesimo contenzioso è stato oggetto della controversia risolta dalla sentenza 24224/2012 nel cui dispositivo si legge “accoglie la domanda del ricorrente nei confronti del Comune di Roma – Roma Capitale per quanto di ragione e dichiara l’avvenuto subentro in qualità di conduttore del sig. (…), quale proprietario dell’azienda sita in R. via (…) angolo via (…) nel rapporto locatizio del 3.12.1965 avente ad oggetto i locali siti all’indirizzo predetto già in essere tra il Comune di Roma e il sig. (…)”. Detta sentenza è stata confermata in sede di impugnazione dalla sentenza 872/2016 emessa il 03.03.2016 dalla Corte di Appello di Roma (cfr. allegato 34 alle memorie integrative dell’attore). Pertanto l’eccezione della difesa comunale deve essere rigettata.

In ordine all’eccezione secondo cui la cessione di azienda non avrebbe determinato la cessione del contratto di locazione deve rilevarsi quanto segue.

Roma Capitale sostiene che nel contratto di cessione di azienda non vi sarebbe alcun riferimento al contratto di locazione che, pertanto, non può considerarsi ceduto. A tal proposito deve evidenziarsi non solo che il contratto di cessione di azienda all’art. 1 (cfr. allegato 1 all’atto di citazione) espressamente menzione in contratto di locazione ma che il curatore cedente ha regolarmente effettuato la comunicazione di cui all’art. 36 della L. n. 392 del 1978 al locatore (cfr. allegato 4 all’atto di citazione). Peraltro detta eccezione, relativa al rapporto cedente – cessionario, non potrebbe essere sollevata dal locatore estraneo alle vicende del contratto di cessione di azienda.

Parimenti infondata l’eccezione secondo cui l’attore non avrebbe dimostrato il titolo giuridico della propria pretesa. E’ la stessa Roma Capitale a produrre (cfr. allegato 3 alla comparsa di costituzione e risposta) il contratto in essere tra le parti.

Come visto, invece, l’eccezione relativa all’art. 5 del contratto di locazione, in quanto afferente a lavori di straordinaria manutenzione, non può essere presa in considerazione riguardo ai lavori di ordinaria manutenzione.

Deve, però, rilevarsi come anche le opere definite di “ordinaria manutenzione” nell’A.T.P. attengano comunque a difetti strutturali dell’edificio per i quali, come visto, trova applicazione la disciplina di cui all’art. 1578 c.c. Infatti la distinzione tra opere di manutenzione ordinaria e straordinaria operata dal C.T.U. appare quella di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001 non utilizzabile in campo locatizio.

Invero, l’elenco di opere da realizzare come ordinaria manutenzione si riferiscono, a titolo semplificativo, a: “spicconatura intonaco a vivo di muro”, “demolizione pavimento”, “rimozione gradini e soglie”, smontaggio infissi esterni”. Insomma, anche con riferimento a tale tipologie di interventi deve evidenziarsi come non si tratti di “i guasti o i deterioramenti della cosa dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino disagi limitati e transeunti nell’utilizzazione del bene, posto che in questo caso diviene operante soltanto l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’art.1576 cod. civ. (confr. Cass. civ. 9 maggio 2008, n. 11514; Cass. civ. 15 maggio 2007, n. 11198)” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 24459 del 21.11.2011, parte motiva). Pertanto, anche in questo caso, deve trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 1578 c.c. e non quella di cui all’art. 1576 c.c. Ciò determina, allora, il rigetto delle domande di parte attrice in quanto tese unicamente ad ottenere la realizzazione delle opere e non la risoluzione del contratto o la riduzione del canone.

Deve, però, rilevarsi come appaia fondata la domanda relativa al mancato adempimento dell’obbligo di mantenimento della cosa in buono stato locativo da parte del locatore. Peraltro il secondo comma dell’art. 1578 c.c. prevede espressamente che il locatore debba risarcire al conduttore i danni derivanti dai vizi della cosa.

Infatti l’attore chiede in via principale il risarcimento del danno pari all’importo quantificato dal C.T.U. in sede di accertamento tecnico preventivo per la realizzazione delle opere. Dette opere, però, non sono state realizzate né l’attore deduce la loro realizzazione o di aver sostenuto i relativi costi. Il risarcimento per equivalente, quindi, non può essere riconosciuto poiché nessuna perdita effettiva è stata subita da (…) che non ha speso alcun importo.

(…), inoltre, avanza domanda di risarcimento del danno da lucro cessante – e non da perdita di chance come erroneamente sostenuto da Roma Capitale – per i mancati guadagni subiti dalla propria azienda a causa delle condizioni dell’immobile. A tal proposito deve rilevarsi come, anche in tema di responsabilità contrattuale, la Suprema Corte chiarisca che “In tema di responsabilità contrattuale spetta al danneggiato fornire la prova dell’esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore; l’art. 1218 cod. civ., che pone una presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, infatti, non modifica l’onere della prova che incombe sulla parte che abbia agito per l’accertamento di tale inadempimento, allorché si tratti di accertare l’esistenza del danno” (Corte di Cassazione, Sez. I, sen. n. 21140 del 10.10.2007). Tale onere non può essere demandato ad una consulenza tecnica d’ufficio che, altrimenti, assumerebbe natura esplorativa vietata dall’ordinamento ma deve essere assolto dalla parte danneggiata che invoca la tutela risarcitoria. Invero la Suprema Corte opina che “La consulenza tecnica d’ufficio, il cui scopo è quello di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze tecniche, non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o di prove ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 11359 del 31.07.2002; conforme Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 11317 del 21.07.2003).

A sostegno della propria pretesa, però, (…) allega una serie di lettere (cfr. allegati da 29 a 32) sostenendo che le stesse sarebbero proposte contrattuali di potenziali clienti. A tal proposito deve rilevarsi come il contenuto delle missive inviate dalla (…) s.r.l. e dalla S.I.E. si riferisce genericamente alla possibilità di invio di clientela ma non viene prodotta alcuna lettera di recesso delle predette società né viene indicato o quantificato quale sarebbe stato il danno subito. D’altra parte a nulla rileva la C.T.P. di parte che costituisce mera allegazione secondo l’insegnamento della Suprema Corte per la quale “La consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello” (Corte di Cassazione, Sez. II, Ord. n. 20347 del 24.08.2017).

Diverso, invece, è il caso del contratto preliminare di affitto di ramo di azienda sottoscritto da (…) e dalla (…) s.r.l. in data 08.01.2015 e avente ad oggetto proprio l’azienda esercitata nei locali di via (…) oggetto del presente contenzioso. A tal proposito l’attore produce il relativo contratto preliminare (cfr. allegato 20 all’atto di citazione) il quale prevede la conclusione di un definitivo che ha per oggetto l’affitto dell’azienda verso il corrispettivo di Euro 360.000,00 oltre Iva per i primi tre anni, di Euro 480.000,00 oltre Iva per il secondo triennio di locazione e di Euro 600.000,00 per il periodo di tempo successivo per la durata del contratto di anni sei più sei. Il termine per la stipula del definitivo viene fissato dall’art. 8 del preliminare in sette giorni dalla fine dei lavori pattuiti nell’art. 6 del medesimo accordo. Però, proprio a causa della condotta ostativa di Roma Capitale, in data 18.02.2015, la (…) S.r.l. ha receduto dal contratto preliminare (cfr. allegato 21 all’atto di citazione). Tale recesso ha chiaramente cagionato un danno da lucro cessante, cioè da perdita del guadagno che (…) avrebbe certamente realizzato con la sottoscrizione del contratto di affitto di azienda. Ai fini della quantificazione di detto danno deve evidenziarsi come il preliminare prevede la sottoscrizione di un contratto di affitto di azienda della durata di sei anni rinnovabile in altri sei. La certezza del danno, però, può riferirsi unicamente ai primi sei anni non essendovi alcuna certezza giuridica o fattuale che l’accordo sarebbe stato rinnovato.

Ai fini della quantificazione deve evidenziarsi come l’art. 8 del contratto preliminare prevede che il definitivo avrebbe dovuto essere sottoscritto entro il termine massimo di sette giorni dalla fine dei lavori preventivati. L’art. 6 dispone che i lavori pattuiti sarebbero dovuti iniziare entro trenta giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività e si sarebbero dovuti concludere entro centoventi giorni. Pertanto, considerando che l’attore ha dimostrato di aver presentato apposita segnalazione certificata di inizio attività il 19.02.2015 (cfr. allegato 22 all’atto di citazione) i lavori sarebbero stati intrapresi al massimo entro il 21.03.2015 (19.02.2015 + 30) e si sarebbero conclusi al massimo il 19.07.2015 con sottoscrizione del definitivo al massimo entro il 26.07.2015.

In attuazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. il danno da lucro cessante può essere conosciuto fino alla data di notifica dell’atto di citazione avvenuto il 14.09.2015. Infatti nell’atto di citazione e nella memoria integrativa ai sensi dell’art. 426 c.p.c. l’attore conclude chiedendo: “condannare Roma Capitale al risarcimento del danno nei confronti del ricorrente da liquidarsi, alla data dell’atto di citazione introduttivo, nella misura di Euro 1.954.625,19 per lucro cessante, anche eventualmente per perdita di chances; ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia e/o di equità; oltre al danno successivo da liquidarsi sino al termine dell’effettuazione dei lavori”.

Considerando che non è stata accolta la domanda relativa alla condanna all’esecuzione dei lavori la domanda risarcitoria deve intendersi limitata fino alla data di introduzione del giudizio. Pertanto, considerando che (…) avrebbe percepito, dalla conclusione del contratto definitivo di affitto di azienda la somma di Euro 30.000,00 mensili dovrà essere liquidata, a carico di Roma Capitale, una somma pari ad Euro 5.806,45 per la mensilità di luglio 2015 (30.000,00/31) X 6, oltre interessi nella misura legale dal 06.07.2015 fino alla data di effettivo pagamento. Inoltre Roma Capitale deve essere condannata al pagamento di Euro 30.000,00, oltre interessi nella misura legale dal 01.08.2015 fino alla data di effettivo pagamento, per la mensilità di agosto 2015. Infine Roma Capitale deve essere condannata al pagamento di Euro 14.000,00 (30.000,00/30) X 14 oltre interessi nella misura legale dal 01.09.2015 fino alla data di effettivo pagamento, per la mensilità di settembre 2015.

Pertanto deve ritenersi dimostrato unicamente il danno da lucro cessante afferente al contratto di affitto di azienda di cui al preliminare del 08.01.2015 pari ad Euro 360.000,00 annui per i primi tre anni e ad Euro 400.000,00 annui per il successivo triennio.

Infine non può trovare accoglimento la richiesta di rimborso delle spese sostenute da (…) per la A.T.P. Infatti non viene allegato alcun pagamento al C.T.U. ma unicamente il provvedimento di liquidazione del giudice e la notula dell’Architetto (…) (cfr. allegato 36 e 37 alla memoria integrativa).

Nessuna prova, però, è stata fornita dell’effettivo pagamento al C.T.U. rilevante per provare la consistenza di quanto effettivamente pagato e la decorrenza degli interessi. Quindi, stante il difetto di prova sull’effettivo pagamento, la domanda di rimborso delle spese del C.T.U. Architetto (…) deve essere rigettata.

In ordine alle domande riconvenzionali di Roma Capitale, stante la sussistenza di un contratto di locazione vigente ed efficace tra le parti per le ragioni già esposte, deve concludersi per il rigetto delle stesse.

Con riguardo alla chiamata in manleva formulata da Roma Capitale nei confronti della (…) deve evidenziarsi come quest’ultima sollevi, in via preliminare di merito, l’eccezione di prescrizione biennale di cui all’art. 2952 c.c. Effettivamente l’art. 2952 c.c., al terzo comma, prevede che “nell’assicurazione della responsabilità civile il termine decorre dal giorno in cui il terzo ha chiesto il risarcimento all’assicurato o ha proposto contro di questo diritto all’azione”. La giurisprudenza di legittimità interpreta detta norma nel senso che qualsiasi richiesta, anche di risarcimento in forma specifica ma che sia idonea a evidenziare il danno del terzo nei confronti dell’assicurato, determina il decorso del termine prescrizionale. Infatti la Suprema Corte afferma che “Premesso che la prescrizione del diritto dell’assicurato all’indennità decorre dalla data in cui il diritto medesimo può essere esercitato, sicché – con specifico riferimento all’assicurazione della responsabilità civile – il termine iniziale della decorrenza della prescrizione va individuato nella data in cui il danneggiato, per la prima volta, ha proposto – in via giudiziale o stragiudiziale – la sua richiesta, deve ritenersi idonea ai fini della decorrenza della prescrizione la richiesta di risarcimento anche in forma specifica e non solo per equivalente monetario” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 6296 del 13.03.2013).

Nel caso di specie è presente una denuncia delle condizioni dell’immobile e di richiesta di intervento e di risarcimento inviata tramite pec da (…) a Roma Capitale il 26.11.2013 e pervenuta nella medesima data (cfr. allegato 10 all’atto di citazione). La (…) assume di non aver mai avuto notizia di tale richiesta né di aver ricevuto alcuna comunicazione in merito alla presente fattispecie. Roma Capitale nulla prova sul punto.

Effettivamente, conformemente a quanto sostenuto dalla società assicuratrice, l’unica comunicazione effettuata da Roma Capitale, assicurato, alla (…) assicuratrice, risulta essere la chiamata in manleva effettuata il 10.12.2015 e passata per la notifica il 03.12.2015 oltre il termine biennale decorrente dalla richiesta del terzo del 26.11.2013.

Pertanto, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata, deve essere rigettata la domanda di manleva di Roma Capitale nei confronti della (…).

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in relazione al solo importo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante.

4. Sulle spese

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in conformità al D.M. n. 55 del 2014 in relazione ai procedimenti per convalida locatizia di valore tra Euro 26.000,00 ed Euro 52.000,00 ed eliminando la fase istruttoria che nel caso di specie non si è tenuta.

Pertanto Roma Capitale deve essere condannata alla rifusione delle spese di lite in favore di (…) che si liquidano in Euro 5.534,00 per compensi ed Euro 830,10 per spese generali, oltre IVA, CPA e tutti gli ulteriori oneri di legge.

Inoltre Roma Capitale deve essere condannata alla rifusione delle spese di lite in favore di (…) che si liquidano in Euro 5.534,00 per compensi ed Euro 830,10 per spese generali, oltre IVA, CPA e tutti gli ulteriori oneri di legge.

P.Q.M.

Il Giudice definitivamente pronunciando sulla causa specificata in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

condanna Roma Capitale al pagamento, in favore di (…), dell’importo di Euro 5.806,45 per la mensilità di luglio 2015 oltre interessi nella misura legale dal 06.07.2015 fino alla data di effettivo pagamento; di ulteriori Euro 30.000,00, oltre interessi nella misura legale dal 01.08.2015 fino alla data di effettivo pagamento, per la mensilità di agosto 2015 e di ulteriori Euro 14.000,00 oltre interessi nella misura legale dal 01.09.2015 fino alla data di effettivo pagamento, per la mensilità di settembre 2015 a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante;

rigetta le restanti domande di parte attrice;

rigetta le domande riconvenzionali di Roma Capitale;

rigetta la domanda di manleva spiegata da Roma Capitale nei confronti della (…);

condanna Roma Capitale al pagamento delle spese di lite in favore di (…) che si liquidano in Euro 5.534,00 per compensi ed Euro 830,10 per spese generali, oltre IVA, CPA e tutti gli ulteriori oneri di legge;

condanna Roma Capitale al pagamento delle spese di lite in favore della (…) che si liquidano in Euro 5.534,00 per compensi ed Euro 830,10 per spese generali, oltre IVA, CPA e tutti gli ulteriori oneri di legge.

Così deciso in Roma il 16 febbraio 2018.

Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2018.