In tema di proprietà e modi di acquisto, atto idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell’usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c., è quello che esprime la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare. Non è sufficiente a tale fine un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio.
Proprietà – Usucapione – Atti idonei ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell’usucapione
Corte d’Appello Palermo, Sezione 2 civile
Sentenza 20 giugno 2017, n. 1178
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Palermo, Seconda Sezione Civile, composta da:
1) Filippo Picone Presidente
2) Daniela Pellingra Consigliere
3) Agata Lombardo Giudice Ausiliario relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA NON DEFINITIVA
nella causa civile iscritta al n. 1928/2012 R.G., promossa in grado di appello
DA
Fe.Mi., nato (…);
Fe.Gi., nato (…);
Gi.Ro., nata (…);
Fe.Mi., nato (…); i primi tre quali eredi di Fe.Sa., tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Ma.Ap.;
appellanti
CONTRO
Pi.Fr., nata (…);
Bi.Co., nata (…) nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore Pi.Ro., nato (…);
Pi.Pi., nato (…);
quali eredi di Pi.Pi.;
rappresentati e difesi dall’Avv. Gi.Li.;
appellati, appellanti incidentali;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 30.8.2012, il Tribunale di Palermo rigettava la domanda proposta, con atto di citazione notificato i giorni 13-15.10.2010, da Fe.Mi., Fe.Gi., Gi.Ro., quali eredi di Fe.Sa., e da Fe.Mi., nei confronti di Pi.Fr., Bi.Co. nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore Pi.Ro. e di Pi.Pi., per l’accertamento, in loro favore, dell’acquisto per usucapione di plurime consistenze immobiliari, ricadenti in un complesso edilizio sito in Palermo, Via (…).
In accoglimento della domanda riconvenzionale svolta dai convenuti, disponeva la restituzione a questi ultimi degli immobili in questione e compensava tra le parti le spese di lite.
Avverso la sentenza del Tribunale hanno interposto appello Fe.Mi., Fe.Gi. e Gi.Ro., quali eredi di Fe.Sa., e Fe.Mi.
Costituendosi, Pi.Fr., Bi.Co., nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore Pi.Ro., e Pi.Pi., hanno chiesto il rigetto dell’impugnazione, svolgendo appello incidentale.
Sulle conclusioni rassegnate dagli appellati, come riportate in epigrafe, la causa è stata posta in decisione all’udienza del 27.1.2017, con l’assegnazione dei termini di cui agli artt. 352 e 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, vanno dichiarati inammissibili, ex art. 345 c.p.c., i documenti allegati dagli appellanti alla comparsa conclusionale, depositata per via telematica il 27.3.2017: trattasi, invero, di documentazione formata anteriormente alla notifica dell’atto di citazione di primo grado, che la parte non ha dimostrato di non aver potuto produrre in quella sede per causa ad essa non imputabile.
Con il primo motivo gli appellanti eccepiscono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nella formulazione successiva alle modifiche apportate dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, per vizio di motivazione. Rilevano che se le omissioni e le incompletezze rinvenibili nell’intestazione della pronuncia impugnata, carente dell’espressione “Repubblica Italiana” e dell’esatta indicazione delle parti e dei loro difensori, possano configurare mere irregolarità formali, così non potrebbe dirsi per la carenza dei requisiti di cui alle citate disposizioni, traducendosi la mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, in un vizio con effetti invalidanti della sentenza stessa.
La doglianza non merita seguito.
Ed invero, la pronunzia impugnata non può ritenersi viziata da nullità, come prospettato da parte appellante, posto che, pur in assenza di una analitica indicazione dello “svolgimento del processo” e dei fatti di causa, e sebbene estremamente succinta, la sentenza de qua non manifesta illogicità, né palesa un’obiettiva deficienza nell’individuazione del criterio logico che ha condotto il primo giudice alla formazione del proprio convincimento (Cass. 25081/2013), avendo questi esposto i fatti decisivi, ossia quelli che hanno avuto una funzione effettivamente determinante e risolutiva della questione sottoposta al suo esame, consentendo, quindi, di comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione (Cass. 12864/15).
In ogni caso, quand’anche i motivi della decisione non fossero compiutamente esposti, questa Corte dovrebbe comunque esaminare il merito della controversia; infatti, il vizio di nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione non rientra fra quelli, tassativamente indicati, che ai sensi dell’art. 354 c.p.c. comportano la rimessione della causa al primo giudice, dovendo il giudice del gravame, ove ritenga la sussistenza del vizio, porvi rimedio pronunciando nel merito della domanda, senza che a ciò osti il principio del doppio grado di giurisdizione, che è privo di rilevanza costituzionale (Cass. n. 13733/14).
Con il secondo motivo, gli appellanti si dolgono che il Tribunale abbia disatteso la domanda di intervenuta usucapione in loro favore di numerose unità immobiliari, ricadenti in un complesso edilizio sito in Palermo, via (…), erroneamente ritenendo non potersi configurare, nella specie, un possesso ad usucapionem, a motivo delle azioni giudiziarie da essi esperite in precedenza, congiuntamente ai convenuti, nei confronti dell’impresa costruttrice, per la risoluzione dei contratti preliminari conclusi separatamente dagli odierni contendenti nel 1982 e dell’atto di vendita – dissimulante la pennuta di cosa presente con cosa futura – stipulato insieme nel 1983. Secondo il Tribunale, infatti, poiché con la congiunta azione di risoluzione, i Fe. ed i Pi. tendevano a recuperare la proprietà dei rispettivi lotti ceduti in permuta e, per il principio dell’accessione, delle costruzioni ivi edificate, anche se tale azione era stata proposta nei confronti dell’impresa costruttrice, doveva, invero, ritenersi che gli attori riconoscevano la loro mancanza di diritti e pretese sugli appartamenti loro consegnati dal costruttore nel 1986, edificati sul lotto dei convenuti.
Sostengono, di contro, i Fe. che le azioni in questione non avrebbero inciso sul vantato possesso ad usucapionem su dette consistenze immobiliari posto che, anche nella ipotesi in cui la traditio venga eseguita in virtù di un contratto invalido, essendo, comunque, volto a trasferire la proprietà del bene, può presumersi che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi.
Il motivo è privo di pregio.
Ed invero, risulta ex actis, che Fe.Mi., Fe.Sa. e Pi.Pi., dante causa degli appellati, proprietari rispettivamente, i primi due, del lotto di terreno sito in Palermo al fg. (…) p.lle (…) e (…) ed il secondo, di quello limitrofo, catastato al foglio (…), con separate scritture private del 27.12.1982, hanno promesso in vendita a Ba.An., che si obbligò ad acquistare per sé o per persona da nominare, i due fondi in questione, contro il corrispettivo rappresentato da alcune unità del fabbricato che lo stesso Ba. avrebbe costruito sull’area cedutagli.
Successivamente, con atto pubblico di compravendita del 27.12.1983, i promittenti venditori trasferirono la proprietà dei terreni alla immobiliare Cl. S.r.l., indicata dal Ba. quale acquirente dei lotti de quibus, per il prezzo complessivo di Lire 250.000.000 da ripartirsi tra i venditori, quanto a Lire 165.243.900 a Fe.Mi. e Fe.Sa. e quanto a Lire 84.756.100 a Pi.Pi.
Con scritture private coeve all’anzidetto atto pubblico, Ba.An., amministratore unico della società acquirente, dando atto che il prezzo indicato nel contratto di compravendita non era stato in effetti corrisposto e che la garanzia assicurativa, prevista nei preliminari di vendita, non era stata costituita, ha rilasciato a ciascuno dei venditori due assegni bancari dell’importo di Lire 270.000.000 e di Lire 80.000.000 a garanzia della stipula della polizza de qua entro il termine indicato. Ultimata la costruzione del fabbricato, peraltro gravato da formalità pregiudizievoli, non avendo proceduto l’Immobiliare Cl. al trasferimento delle unità immobiliari promesse, Fe.Mi., Fe.Sa. e Pi.Pi., hanno quindi proposto, congiuntamente, nei confronti di Ba.An. e dell’Immobiliare Cl., e per essa, a seguito dei sopravvenutone fallimento, nei confronti della curatela fallimentare, l’azione per la risoluzione di tutte le scritture prima indicate e del contratto di compravendita, salvi i diritti acquistati da terzi con atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della citazione.
Rigettata la domanda dal Tribunale, questa Corte di Appello con sentenza del 29.3.2000, per il profilo che qui interessa, ha dichiarato risolti i contratti preliminari stipulati dai Fe. e dal Pi. con le scritture private summenzionate, il contratto di compravendita del 27.12.1983 e le ulteriori scritture private sottoscritte in pari data, condannando il fallimento dell’Immobiliare Cl. s.r.l. a restituire a Mi. e Sa.Fe. ed a Pi.Pi. i terreni oggetto dei ripetuti negozi nonché le costruzioni realizzate su ciascuno dei fondo stessi. Detta pronuncia è stata confermata dalla Suprema Corte con sentenza n. 12547 dell’8.7.2004.
Pendente il giudizio davanti alla Cassazione, Fe.Mi. e Sa. e Pi.Pi., hanno proposto – ancora congiuntamente ed in forza delle statuizioni della citata sentenza della Corte d’Appello (che, com’anzidetto, aveva riconosciuto, a ciascuna parte, il diritto a vedersi restituito il rispettivo lotto conferito nel programma edilizio nonché le costruzioni ivi realizzate) – opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. nella procedura esecutiva immobiliare n. 32/89 sui lotti in questione, promossa dalla Ca.Ce., quale creditore ipotecario dell’Immobiliare Cl. S.r.l.
Risulta, infine (cfr. aliti 13 e 15 fascicolo I grado eredi Pi. e dichiarazione testimoniale Notaio Se.Ma.) che gli odierni contendenti tentarono di addivenire alla bonaria definizione della questione relativa al plusvalore acquisito dai rispettivi terreni a seguito dell’intervenuta accessione degli immobili realizzati.
Ciò posto, nessuna censura può muoversi alla sentenza impugnata nella parte in cui, correttamente, pone l’accento sulla refluenza della lite così incoata nei rapporti interni tra le parti in conflitto posto l’azione di risoluzione contrattuale presupponeva la mancanza di diritti e pretese sugli alloggi costruiti sui lotti altrui spettanti al proprietario esclusivo del lotto edificato, per il principio dell’accessione.
Il contegno giudiziale e stragiudiziale tenuto dagli appellanti, infatti, si pone in termini assolutamente incompatibili con F asserito acquisto per usucapione, in quanto implica il riconoscimento del diritto degli appellati sul fondo di loro proprietà e sulle costruzioni ivi realizzate, com’è dimostrato dagli atti dei citati giudizi e dalla produzione documentale afferente alle fasi delle trattative successive al dictum della Corte di Appello, invero inconciliabili con la volontà di godere il bene “uti dominus”.
Orbene, se è vero che ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell’usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c., non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, (ex multis Cass. Civ. n. 25764/2015), nella specie, ai plurimi riconoscimenti degli appellanti circa la titolarità in capo ai Pi. della proprietà del terreno e delle costruzioni su di esso realizzate, evincibili dalla documentazione in atti (per tutti, v. pag. 2 opposizione di terzo, allegato 7, fascicolo I grado Pi.) non può attribuirsi la valenza di dichiarazione di scienza, ovvero di mere espressioni della consapevolezza della alienità della proprietà, ma quella diversa di pregnante manifestazione di una volontà incompatibile con l’animus possidendi. Ultronee, dunque, le argomentazioni degli appellanti secondo cui, ai fini dell’usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di un atto traslativo della proprietà che sia nullo, poiché, in ogni caso, è pur sempre necessario che il rapporto di fatto che si instaura tra “accipiens” e la “res tradita” sia sorretto dall’”animus rem sibi habendi” che nella specie, come sopra chiarito, non è configurabile.
Con il motivo sub C, gli appellanti assumono l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inattendibili i testimoni indicati ed, in ogni caso, insufficienti e generiche le dichiarazioni rese da costoro. Lamentano, altresì, di essere stati pregiudicati dalla riduzione della lista dei testimoni.
II motivo è infondato.
Ed invero, non merita censura la valutazione della prova testimoniale operata dal primo giudice, il quale, uniformandosi ai principi dettati dalla Suprema Corte, ha valutato con prudenza, in termini di attendibilità, le deposizioni dei testi, parenti degli attori, in riferimento al loro possibile interesse a favorire la posizione dei congiunti, e considerato, altresì, inconducenti al fine di decidere, le emergenze della prova stessa. Né le dichiarazioni di Uc.Pi. e Po.An. né quella dell’”indifferente” teste Bi., infatti, possono sortire lo sperato effetto e ciò solo considerando che l’invocata usucapione riguarderebbe ben 13 unità immobiliari, siti in più piani e “scale” del complesso edilizio, ragione, questa, che avrebbe richiesto, ai fini della configurabilità dei presupposti di cui all’art. 1158 c.c., la narrazione di fatti precisi e circostanziati e di puntuali riferimenti spazio temporali e non già, come verificatosi, un’esposizione generica e sommaria.
Giova, poi, osservare che l’esito del giudizio non può dirsi pregiudicato dall’esercizio del potere discrezionale di ridurre la lista testimoniale, considerato che il primo giudice ha si limitato l’audizione a tre testi per parte, ma ha concesso alle stesse parti la facoltà di scegliere il soggetto da escutere.
Alla luce del compendio delle risultanze istruttorie acquisite in primo grado non appare necessario disporre la chiesta integrazione.
In conclusione l’appello va respinto.
E’ quindi da esaminare l’appello incidentale svolto dagli appellati.
Lamentano i Pi. che il Tribunale, accolta la domanda riconvenzionale di restituzione degli immobili costruiti sul terreno di loro proprietà, ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna degli attori al risarcimento del danno da illegittima occupazione degli immobili stessi di cui era stata richiesta la determinazione a mezzo di CTU.
La doglianza è fondata.
Com’è noto secondo consolidato principio della Suprema Corte (ex multis Cass. Civ. n. 4252/17; Cass. Civ. nn. 20823/15 e 16670/16), nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile, sicché costituisce una presunzione iuris tantum e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale il valore locativo del bene usurpato.
Nella specie, dunque, accertata la responsabilità degli appellanti in ordine all’an debeatur, ha errato il Tribunale a non procedere alla liquidazione del danno in
questione a far data dalla domanda riconvenzionale e secondo i criteri sopra indicati.
L’appello incidentale, pertanto, va accolto.
Sul punto, poiché la definizione del giudizio non può prescindere dalla determinazione della prestazione risarcitoria la causa va rimessa in istruttoria, come da separata ordinanza, dinanzi al Collegio per l’espletamento della consulenza tecnica di ufficio, al fine della quantificazione dell’indennità di occupazione sine titulo. La regolamentazione delle spese di lite è differita alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
La Corte, non definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, rigetta l’appello principale proposto da Fe.Mi., Fe.Gi., Gi.Ro., nella qualità di eredi di Fe.Sa. e da Fe.Mi., con atto notificato il 26.10.2012, nei confronti di Pi.Fr., Bi.Co., nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore Pi.Ro., Pi.Lu., quali eredi di Pi.Pi., avverso la sentenza n. 3599 del Tribunale di Palermo, del 30.8.2012.
Accoglie l’appello incidentale e per l’effetto dichiara gli appellanti tenuti al pagamento dell’indennità per l’occupazione sine titulo degli immobili di proprietà degli appellati.
Rimette la causa sul ruolo per la quantificazione dell’anzidetta indennità, come da separata ordinanza..
Così deciso in Palermo il 19 maggio 2017.
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2017.