E’ legittimo il permesso per l’innalzamento del tetto del condominio, rilasciato al proprietario dell’ultimo piano senza il consenso degli altri condomini, se ciò non arreca pericolo alla statica, non toglie aria e luce, e non pregiudica l’aspetto architettonico. La sentenza ha precisato che l’art. 1127 del Codice civile stabilisce che “Il proprietario dell’ultimo piano può elevare nuovi piani o nuove fabbriche (…)” e quindi tale attività non necessita di alcun consenso da parte degli altri condomini, che non subiscono alcun danno per questa nuova costruzione. (Vittorio Italia).
Tribunale Amministrativo Regionale Genova, Sezione 1 – Sentenza 9 luglio 2015, n. 651
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA
SEZIONE PRIMA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1047 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
An.Bi. e Ma.Ro., rappresentati e difesi dall’avv. Da.Gr., presso il quale sono elettivamente domiciliati nel suo studio in Genova, via (…);
contro
Comune di Lerici, non costituito in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale (…);
nei confronti di
DE. s.a.s., rappresentata e difesa dall’avv. An.D’A., con domicilio eletto presso l’avv. An.Ba. nel suo studio in Genova, via (…);
per l’annullamento
del permesso di costruire 487/11 del 30/8/2013 e della relativa autorizzazione paesaggistica n. 478/11 del 19/7/2013,
nonché di ogni atto preparatorio, conseguente o connesso, in particolare del parere favorevole reso dal responsabile del procedimento con nota n. 13698 del 27/6/2013.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della DE. s.a.s.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2015 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti sono comproprietari di un alloggio compreso nello stabile ubicato in Lerici, località (…), costruito in area assoggettata a vincolo paesaggistico in forza di concessione edilizia rilasciata nel 1975.
L’edificio in questione si articola su due piani ed è composto da tre unità abitative: il piano sottostrada comprende l’alloggio dei ricorrenti e un altro appartamento di proprietà della Società De.; l’intero primo piano fuori terra è occupato da un alloggio della stessa Società che è proprietaria anche del locale sottotetto.
Previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, il Comune di Lerici, con atto del 30 agosto 2013, ha approvato il progetto presentato dalla Società De. per il recupero ai fini abitativi del sottotetto esistente.
L’intervento, assentito ai sensi della legge regionale Liguria 6 agosto 2001, n. 24, comporta un incremento di altezza dell’edificio pari a cm 60.
Il progetto comprende altri interventi minori: il recupero ai fini abitativi di un portico posto al piano sottostrada dello stabile, l’apertura di nuove bucature sul prospetto dello stesso e alcune opere di sistemazione dell’area che lo circonda.
Con il ricorso giurisdizionale in trattazione, gli esponenti chiedono l’annullamento del permesso di costruire suddetto e della presupposta autorizzazione paesaggistica, siccome viziati per i seguenti motivi:
I) in mancanza del consenso degli altri condomini (cioè degli stessi ricorrenti), la Società De. non era legittimata a ottenere il permesso di costruire per la modifica di una parte comune dell’edificio;
II) l’intervento in progetto costituisce innovazione vietata dall’art. 1120 cod. civ. ed esorbita dai limiti di utilizzo della cosa comune consentiti dall’art. 1102 cod. civ.;
III) l’autorizzazione paesaggistica è priva di motivazione;
IV) l’intervento provocherebbe l’alterazione dell’equilibrio tra l’insediamento attualmente esistente e il contesto naturale nel quale esso si colloca, con un incremento del carico urbanistico non sostenibile ed in contrasto con il regime di conservazione previsto dal vigente piano territoriale di coordinamento paesistico;
V) la citata l.r. n. 24/2001 ammette solo interventi di ristrutturazione, mentre il progetto approvato dal Comune di Lerici, comportando la modifica della sagoma e delle caratteristiche architettoniche essenziali dell’edificio, configura una nuova costruzione;
VI) il vigente piano urbanistico comunale di Lerici non ammette interventi di nuova costruzione nella zona in cui sorge l’edificio in questione.
I ricorrenti formulano anche un’istanza volta al risarcimento dei danni rappresentati dalla diminuzione di valore dell’immobile di proprietà.
Si costituivano formalmente in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, intimato in ragione del parere favorevole reso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria, e la Società controinteressata.
Con motivi aggiunti di ricorso, gli esponenti hanno denunciato ulteriori vizi di legittimità:
VII) l’intervento assentito comporta la violazione della distanza minima prevista dall’art. 905 cod. civ. per l’apertura di nuove vedute e balconi;
VIII) in conseguenza di ciò, la Società controinteressata doveva ritenersi sfornita dei requisiti occorrenti per conseguire il permesso di costruire impugnato.
Con memoria depositata il 2 dicembre 2013, la Società controinteressata ha eccepito l’inammissibilità del gravame – in quanto, nell’atto di acquisto del proprio alloggio, gli odierni ricorrenti avevano rinunciato a pretendere il rispetto delle distanze legali da parte delle opere che sarebbero state eseguite in futuro dalla parte venditrice – e la sua infondatezza nel merito.
Con ordinanza n. 242 del 10 luglio 2014, rilevata la mancanza del consenso degli altri comproprietari alla realizzazione di un intervento comportante la modifica di una parte comune dell’edificio, è stata accolta l’istanza cautelare incidentalmente proposta dai ricorrenti.
Il provvedimento cautelare è stato confermato in appello, con ordinanza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 4389 del 1° ottobre 2014, in ragione dei “profili relativi alla natura e consistenza del progettato intervento edilizio e ai connessi riflessi condominiali”.
Nel prosieguo del giudizio, le parti costituite hanno depositato memorie difensive; la parte ricorrente ha anche depositato una memoria di replica.
Non si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Lerici.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 11 giugno 2015 e ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) E’ contestata la legittimità del permesso di costruire avente ad oggetto il recupero ai fini abitativi di un sottotetto, mediante demolizione della copertura e sua ricostruzione con maggiore altezza al colmo di cm 60, assentito ai sensi della legge regionale Liguria 6 agosto 2001, n. 24, recante norme sul recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti.
Sono previste anche alcune opere di sistemazione dell’area circostante, la chiusura del portico esistente al piano sottostrada e l’apertura di nuove bucature sul prospetto dell’edificio.
I ricorrenti sostengono che l’intervento edilizio in progetto comporterà un’irreversibile trasformazione dello stabile nel quale è collocata la loro abitazione, “con conseguente irreparabile peggioramento delle condizioni di vivibilità di quest’ultimo e diminuzione del suo pregio e valore” nonché “gravissime ricadute ambientali” in un’area assoggettata a vincolo paesaggistico.
2) La difesa della Società controinteressata, proprietaria del sottotetto e delle altre due unità abitative che compongono lo stabile in questione, eccepisce preliminarmente che il ricorso sarebbe inammissibile in quanto, con l’atto di acquisto del loro appartamento, gli odierni ricorrenti avevano espressamente rinunciato “all’osservanza delle distanze legali dai rispettivi confini nel caso di varianti prospettiche che dovessero essere apportate agli immobili”.
Avendo accettato preventivamente che i prospetti dell’edificio potessero essere modificati senza il loro consenso, i ricorrenti medesimi non avrebbero quindi titolo per contestare un intervento che determina proprio l’attuazione di varianti prospettiche.
L’eccezione non ha pregio, poiché i ricorrenti non hanno dedotto solamente censure inerenti alla violazione delle distanze legali, ma soprattutto rilievi intesi a denunciare la sostanziale illegittimità di un titolo abilitativo edilizio che comporta l’incremento di altezza dell’edificio e il suo ampliamento volumetrico.
Con la menzionata clausola contrattuale, pertanto, gli odierni ricorrenti non avevano rinunciato al diritto di opporsi a qualsiasi intervento edilizio che sarebbe stato intrapreso nello stabile in cui è compreso l’alloggio di proprietà, ma solo a prestare preventivamente il proprio consenso all’esecuzione di opere che non rispettassero le distanze legali.
3) Nel merito, i ricorrenti sostengono, con il primo motivo di gravame, che la Società controinteressata non avrebbe avuto titolo a chiedere il rilascio dell’impugnato permesso di costruire (e della presupposta autorizzazione paesaggistica) in quanto l’intervento in progetto, che comporta la demolizione della copertura esistente, incide su una parte comune dell’edificio.
Occorre rilevare preliminarmente che, in assenza di contrarie indicazioni risultanti dal titolo di acquisto, il tetto dell’edificio in questione costituisce effettivamente proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari che lo compongono.
Ciò premesso, la censura in esame, seppur valorizzata in sede cautelare, si rivela, ad un più attento esame, destituita di giuridico fondamento.
Infatti, posto che l’intervento in contestazione si concreta essenzialmente nella sopraelevazione dello stabile, la legittimazione della Società controinteressata deriva in via diretta dall’art. 1127, primo comma, cod. civ.: “Il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare”.
La facoltà di sopraelevare, pertanto, spetta ex lege al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio (o al proprietario esclusivo del lastrico solare) e il suo esercizio, che non necessita di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, può essere precluso soltanto in forza di un’espressa pattuizione che, in sostanza, costituisca una servitus altius non tollendi a favore degli stessi (T.A.R. Sardegna, sez. II, 14 marzo 2013, n. 224).
Nel caso in esame, sussistono i presupposti per l’applicazione della disposizione citata in quanto, come risulta dall’atto di acquisto del 25 novembre 2011, la Società controinteressata è proprietaria esclusiva dell’ultimo piano dell’edificio e dell’intero piano sottotetto che vi è annesso.
Né risulta che le parti fossero addivenute ad eventuali pattuizioni comportanti l’esclusione della facoltà di sopraelevazione del fabbricato.
Va soggiunto che il citato art. 1127 contempla limiti oggettivi alla facoltà di sopraelevazione nei casi in cui:
a) le condizioni statiche dell’edificio non la consentano;
b) altri condomini vi si oppongano perché pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.
I ricorrenti non hanno dedotto che l’intervento in contestazione possa risultare pregiudizievole per la statica dell’edificio né che esso comporti alcuna diminuzione dell’aria o della luce al piano in cui è ubicata la loro unità abitativa.
Non è stata dimostrata, inoltre, la sussistenza di pregiudizi per l’aspetto architettonico del fabbricato, nozione che identifica la “caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio” (Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2013, n. 10048), come potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso di diversità dei materiali utilizzati per la sopraelevazione.
A quest’ultimo riguardo, va evidenziato che la relazione tecnica del progettista conferma il mantenimento dell’aspetto esteriore dell’edificio e, quindi, delle sue caratteristiche architettoniche, tranne che per la sostituzione delle tapparelle esistenti con persiane alla genovese, ossia per un aspetto che ne comporta indubbiamente la riqualificazione.
Per tali ragioni, deve escludersi che l’intervento in contestazione necessitasse del consenso dei proprietari delle altre unità abitative comprese nello stabile.
4) Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 1120, secondo comma, cod. civ., in forza del quale sono vietate, tra l’altro, le innovazioni che alterano il decoro architettonico del fabbricato.
Precisano i ricorrenti che la nozione di “decoro architettonico” non postula che si tratti di edificio connotato da particolare pregio artistico, ma ne identifica semplicemente le linee essenziali, vale a dire la particolare struttura e fisionomia che contribuisce ad attribuire una specifica identità all’edificio medesimo.
L’intervento in questione, che determina l’incremento dell’altezza del fabbricato e la modifica del suo aspetto esteriore, risulterebbe conseguentemente pregiudizievole del decoro architettonico dello stabile.
Neppure questa censura può essere condivisa.
Occorre rammentare che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, non tutti i mutamenti della cosa comune possono dare luogo ad una innovazione vietata dall’art. 1120, secondo comma, cod. civ., poiché tale nozione deve ritenersi circoscritta alle modificazioni materiali che alterano l’entità sostanziale o mutano la destinazione originaria del bene (cfr., fra le ultime, Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2015, n. 4736).
Le innovazioni in senso tecnico-giuridico (ossia le innovazioni di cui tratta l’art. 1120 cod. civ.), inoltre, devono essere tenute distinte dalle modificazioni ex art. 1102 cod. civ. le quali mirano a potenziare (o a rendere più comodo) il godimento della cosa comune, ma ne lasciano immutata la destinazione.
Nel caso in esame, è evidente che l’intervento di demolizione e ricostruzione a quota più elevata del tetto dello stabile non è idoneo ad alterarne l’entità sostanziale né a modificare l’originaria funzione di copertura assolta da tale elemento strutturale.
Deve escludersi, pertanto, che l’intervento in parola configuri un’innovazione preclusa dall’art. 1120 cod. civ.
E’ anche evidente che la sopraelevazione dello stabile non può determinare alcun sostanziale mutamento della destinazione economica della cosa comune né provocare la permanente esclusione degli altri condomini (gli attuali ricorrenti) dall’uso e godimento della stessa.
Ne consegue l’infondatezza della censura riferita alla violazione dei limiti di utilizzo della cosa comune sanciti dall’art. 1102 cod. civ.
Per tali ragioni, il provvedimento impugnato si sottrae ai rilievi di legittimità formulati con il secondo motivo di gravame.
5) Con il terzo motivo, gli esponenti denunciano che l’autorizzazione paesaggistica rilasciata in funzione del contestato intervento edificatorio sarebbe viziata per carenza di motivazione, non essendovi indicate le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a ritenere che le opere in progetto fossero compatibili con i valori paesistici dell’area in cui ricade l’intervento medesimo, assoggettata a tutela in quanto compresa entro il limite di 300 m dalla linea di battigia.
E’ vero che, in linea di principio, l’autorizzazione paesaggistica deve essere motivata anche quando abbia contenuto positivo, favorevole al soggetto che la richiede (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 1° aprile 2014, n. 3585), e che l’atto di cui si controverte non contiene autonome valutazioni circa il rispetto delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio da parte dell’intervento in progetto.
Costituisce parimenti jus receptum, però, il principio secondo cui la valutazione paesaggistica può essere legittimamente motivata per relationem, con rinvio agli atti acquisiti nel corso del procedimento (cfr., fra le molte, T.A.R. Liguria, sez. I, 21 novembre 2013, n. 1406).
Nel caso in esame, l’autorizzazione paesaggistica risulta adeguatamente motivata mediante richiamo ai pareri favorevoli formulati dalla Commissione locale del paesaggio, dalla Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici della Liguria nonché agli elementi posti a fondamento della relazione paesaggistica, fatti oggetto di positiva valutazione da parte del responsabile del procedimento.
Ne consegue la reiezione del motivo di gravame.
6) Viene quindi denunciata, con il quarto motivo di ricorso, la violazione degli artt. 43, 48 e 51 delle norme di attuazione del vigente piano territoriale di coordinamento paesistico, atteso che l’incremento edilizio determinato dall’intervento in progetto si porrebbe in contrasto con il regime di conservazione cui l’area è sottoposta in forza di tali disposizioni.
Come correttamente eccepito dalla difesa della Società controinteressata, la censura è inammissibile per genericità e perplessità, poiché le richiamate disposizioni del PTCP individuano tre distinti regimi normativi, ciascuno relativo ad un ambito differente, e non è ovviamente possibile che il fabbricato interessato dall’intervento edificatorio sia sottoposto ad una pluralità di regimi.
Peraltro, la parte ricorrente non ha prodotto in giudizio le norme di attuazione del PTCP, ma si è limitata a trascrivere uno stralcio di alcune disposizioni che, essendo prive di numerazione e di rubrica, non consentono neppure di accertarne l’effettiva riferibilità allo specifico regime previsto per il loro fabbricato.
In termini più generali, è ancora il caso di rilevare come i menzionati pareri favorevoli della Soprintendenza e dalla Commissione locale del paesaggio consentano di escludere la sussistenza dei profili di pregiudizio per l’ambiente e il paesaggio denunciati dalla parte ricorrente.
7) Le censure dedotte con il quinto motivo di ricorso attengono alla qualificazione delle opere in progetto: l’Amministrazione procedente avrebbe erroneamente qualificato come ristrutturazione un intervento che, comportando l’ampliamento del manufatto al di fuori della sagoma attuale, sarebbe in realtà riconducibile alla categoria delle nuove costruzioni, non ammesse dal vigente PUC nell’area in questione.
Soggiungono gli esponenti che l’applicazione della normativa derogatoria dettata dalla legge regionale Liguria 6 agosto 2001, n. 24, recante norme sul recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti, non potrebbe comunque dare luogo ad una difforme qualificazione dell’intervento edificatorio, poiché le categorie della ristrutturazione e della nuova costruzione sono puntualmente definite dalla legge statale.
I manufatti che si prevede di realizzare nell’area circostante l’edificio (marciapiede, lampioni stradali, posti auto), avendo natura di opere di urbanizzazione, confermerebbero che si tratta di un intervento di nuova costruzione
Infine, l’art. 5 della citata l.r. n. 24/2001 consente anche interventi di recupero ai fini abitativi di volumi collocati in parti dell’edificio diverse dai sottotetti, ma solamente alla condizione, non rispettata nella fattispecie, che non siano modificate la sagoma e le caratteristiche architettoniche essenziali dell’edificio.
A confutazione dei rilievi di parte ricorrente, occorre rammentare che la qualificazione formale dell’intervento operata dal legislatore regionale (ossia l’attribuzione del nomen di “ristrutturazione” in luogo di quello di “nuova costruzione”) non può considerarsi rilevante ai fini del vaglio di ammissibilità dell’istanza edificatoria, dovendosi invece valutare, a tal fine, la sostanziale conformità dell’intervento alla normativa speciale sul recupero dei sottotetti (T.A.R. Liguria, sez. I, 18 febbraio 2014, n. 282; 25 giugno 2014, n. 1005; 13 gennaio 2015, n. 68; 8 maggio 2015, n. 463).
Ciò premesso, in disparte la formale qualificazione dell’intervento di sopraelevazione dell’edificio, esso risulta correttamente assentito ai sensi dell’art. 2 della citata l.r. n. 24/2001 che, nel testo vigente ratione temporis, ammetteva gli interventi di recupero dei sottotetti degli edifici residenziali, con aumenti delle altezze del colmo e di gronda, anche in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale vigente o in corso di formazione.
Pur configurando una nuova costruzione, pertanto, il contestato intervento di sopraelevazione è stato legittimamente approvato in forza della disposizione derogatoria dettata dal legislatore regionale.
Le considerazioni che precedono rendono irrilevanti i riferimenti alle opere di sistemazione dell’area circostante l’edificio, siccome non sospettate ex se di incompatibilità con le previsioni urbanistiche di zona, ma menzionate nel contesto del ricorso quali indici rivelatori della reale natura della complessiva iniziativa edificatoria.
Infine, la questione inerente alla pretesa violazione dell’art. 5 della l.r. n. 24/2001 è posta in termini inammissibilmente generici, potendosi solo intuire, stante la mancanza di più puntuali riferimenti, che si voglia fare riferimento alla parte di intervento comportante il recupero ai fini abitativi del portico o loggiato esistente al piano sottostrada.
Proprio la genericità degli elementi allegati al riguardo dalla parte ricorrente non consente di apprezzare se tale opera comporti effettivamente una modifica plano-volumetrica della sagoma dell’edificio ovvero se, come eccepisce la difesa di controparte, il loggiato rimanga comunque incluso nella sagoma.
Inoltre, i ricorrenti non si sono peritati di confutare le puntuali considerazioni contenute nella relazione tecnica del progettista, relative all’individuazione delle caratteristiche architettoniche essenziali dell’edificio che non sarebbero in alcun modo intaccate dall’intervento in parola.
Anche quest’ultimo profilo di doglianza, pertanto, non risulta idoneo a rivelare la sussistenza dei denunciati vizi di legittimità.
8) Con il sesto e ultimo motivo del ricorso introduttivo, è stata denunciata la violazione dell’art. 10.1 del vigente PUC di Lerici che non ammette, nella zona in cui ricade la contestata iniziativa edificatoria, interventi di nuova costruzione.
Come rilevato al punto precedente, il recupero del sottotetto dell’edificio in questione è stato assentito ai sensi della più volte citata l.r. n. 24/2001 che opera in deroga alla disciplina stabilita dalla strumentazione urbanistica comunale e, comunque, è espressamente richiamata dall’art. 10.2 del PUC.
9) Le censure sollevate con il ricorso per motivi aggiunti, seppur articolate nel contesto di due motivi di gravame, possono essere esaminate in modo congiunto poiché strettamente connesse.
Sostengono gli esponenti, con il primo motivo aggiunto, che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché, in violazione della distanza minima prevista dall’art. 905 cod. civ., ammette l’apertura di cinque nuove vedute e quattro nuovi balconi che si affacciano sul fondo di loro proprietà.
Con il secondo motivo aggiunto, si afferma che, a causa dell’accennata violazione della distanza minima legale, la Società controinteressata non avrebbe avuto titolo per richiedere il permesso di costruire relativo alle opere in contestazione.
A prescindere dal fatto che la difesa di controparte contesta la fondatezza delle circostanze riferite dalla parte ricorrente, sostenendo che il progetto prevede soltanto una nuova veduta e nessun balcone, si rammenta che, con l’atto di acquisto del loro alloggio, gli odierni ricorrenti avevano espressamente rinunciato “all’osservanza delle distanze legali dai rispettivi confini nel caso di varianti prospettiche che dovessero essere apportate agli immobili”.
In forza di tale impegno, la Società controinteressata aveva acquisito il diritto di aprire vedute senza il rispetto della distanza minima delle vedute dal confine prevista dall’art. 905 cod. civ. che, essendo unicamente posta a tutela della riservatezza del proprietario confinante, è pacificamente derogabile (cfr., ex multis, T.A.R. Basilicata, 4 settembre 2007, n. 519).
La preventiva rinuncia al rispetto della suddetta distanza minima comporta, ovviamente, che i ricorrenti non abbiano titolo per denunciarne la violazione.
10) In conclusione, il ricorso principale e i motivi aggiunti sono infondati e, pertanto, devono essere respinti.
La decisione di rigetto coinvolge anche l’istanza risarcitoria, peraltro formulata in termini inammissibilmente generici.
11) Il diverso esito della fase cautelare giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.
Va dichiarata, altresì, l’irripetibilità del contributo unificato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate; contributo unificato irripetibile.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:
Santo Balba – Presidente
Paolo Peruggia – Consigliere
Richard Goso – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 9 luglio 2015.