Qualora, dopo che sia stato risolto il contratto di locazione, il conduttore permanga nella detenzione del bene con il consenso del locatore, sulla base di un accordo che sia volto a differire la data del rilascio e che preveda anche il corrispettivo dovuto, l’indennità di occupazione deve intendersi ragguagliata all’importo convenuto; tale corrispettivo costituirà anche l’indennità dovuta per il periodo successivo in relazione al quale le parti non abbiano raggiunto alcun accordo, fatta salva la possibilità, per il locatore, di fornire la prova dell’eventuale maggior danno, con rigorosa dimostrazione che la ritardata restituzione dell’immobile ha concretamente pregiudicato la possibilità di locare il bene a terzi per un canone superiore all’ultimo corrispettivo convenuto con il conduttore inadempiente, senza che possa ritenersi a tal fine sufficiente la mera prova del diverso emaggiore valore locativo di mercato.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile

Sentenza 11 luglio 2014, n. 15899

Sfratto per morosità – indennità di occupazione – Natura risarcitoria – Maggior danno – Differenza fra il corrispettivo convenuto dalle parti e il maggior valore del canone di mercato – Esclusione – Prova del danno – Effettiva possibilità del locatore di ricavare un maggior reddito dall’immobile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13158/2008 proposto da:

COM PALERMO (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SANSONE MARIA PIA con studio in (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), tutti eredi ex lege di (OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 131/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 12/02/2008, R.G.N. 231/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/05/2014 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 7.10.95, (OMISSIS) -proprietario di un immobile locato al Comune di Palermo e adibito a scuola media – deduceva che, nel novembre 1985, il Pretore di Palermo aveva convalidato lo sfratto per morosita’, ma il Comune aveva continuato ad occupare l’immobile col consenso del locatore; che, sino a tutto il 1988, l’Amministrazione aveva regolarmente versato i corrispettivi consensualmente determinati dalle parti; che, per il periodo successivo e fino al rilascio dell’immobile (avvenuto il 23.11.93), non era stato raggiunto alcun ulteriore accordo sul corrispettivo e il Comune aveva versato – in ritardo – somme inferiori rispetto a quelle richieste e rispetto alle stesse valutazioni fatte da un’apposita commissione comunale in vista della stipulazione di un nuovo contratto di locazione; chiedeva, pertanto, la condanna del Comune al pagamento delle differenze fra quanto dallo stesso corrisposto e il valore locativo dell’immobile, nonche’ la condanna al risarcimento dei danni in misura corrispondente alla spesa necessaria per riportare l’immobile in normali condizioni di manutenzione e al rimborso delle spese sostenute per adeguare l’immobile alla normativa antincendio.

L’Amministrazione convenuta contestava la domanda assumendo, fra l’altro, che fra le parti si era instaurato un nuovo rapporto locatizio e che non ricorrevano le condizioni per l’applicazione dell’articolo 1591 c.c. (in quanto il locatore aveva ottenuto, di volta in volta, il corrispettivo determinato ex novo) e per il risarcimento dei danni (atteso che il deterioramento del bene era dipeso dall’uso protrattosi nel tempo e dall’assenza di interventi di manutenzione da parte del locatore).

Il Tribunale di Palermo condannava il Comune al risarcimento dei danni cagionati alla struttura (quantificati in lire 525.000.000), rigettando – invece – la domanda volta a conseguire il pagamento della differenza fra somme corrisposte e valore locativo dell’immobile.

La Corte di Appello di Palermo, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dal (OMISSIS), condannava il Comune al pagamento dell’ulteriore somma di euro 449.217,70, a titolo di differenza fra valore locativo e somme corrisposte dall’Amministrazione, e rideterminava in euro 222.7 98,31 la somma dovuta a titolo di risarcimento danni; condannava, infine, il Comune al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ricorre per Cassazione il Comune di Palermo, affidandosi a due motivi illustrati da memoria; resistono con controricorso gli eredi di (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), gia’ costituitisi nel corso del giudizio di appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve preliminarmente rilevarsi che, in difetto di impugnazione sugli altri capi della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo, l’attuale oggetto del giudizio e’ circoscritto alle questioni della spettanza (o meno) delle ulteriori somme richieste dagli eredi (OMISSIS) per l’utilizzo dei locali nel periodo dall’1.1.1989 fino alla data del rilascio (novembre 1993) e della quantificazione del risarcimento per i danni cagionati all’immobile.

2. Col primo motivo di ricorso, il Comune deduce “violazione ed erronea applicazione dell’articolo 1591 c.c. – insufficiente e contraddittoria motivazione”, formulando il seguente quesito di diritto: “1.a Il maggior danno ex articolo 1591 c.c., non puo’ essere provato in base all’astratto valore locativo del bene, determinato con consulenza tecnica d’ufficio, ma deve essere rigorosamente provato dal locatore nella sua esistenza e nel suo ammontare, con riferimento ad una effettiva lesione del suo patrimonio; 1.b Il consenso espressamente manifestato dal locatore alla continuazione del rapporto con il conduttore impedisce il configurarsi dell’inadempienza del conduttore all’obbligo di restituire il bene locato e di ogni pertinente responsabilita’ ex articolo 1591 c.c., 2 parte”.

2.1. Il motivo e’ fondato, per quanto di ragione (ossia in relazione al profilo riassunto dal quesito 1.a), alla luce di una ricostruzione del caso che ne comporta – a differenza di quanto sostenuto dal Comune – la sussunzione nel paradigma dell’articolo 1591 c.c..

2.2. La peculiarita’ della vicenda e’ costituita dal fatto che, risolto il contratto di locazione a seguito di convalida di sfratto pronunciata nel novembre 1985, il Comune conservo’ la disponibilita’ dell’immobile per gli anni successivi, e cio’ col consenso del locatore e sulla base di accordi che riguardarono – fino a tutto l’anno 1988 – anche le condizioni economiche della persistente occupazione.

Tale situazione ha fatto ritenere al primo giudice che tra le parti fosse intervenuta una rinnovazione tacita del contratto, che e’ stata, invece, esclusa dal giudice dell’appello (pur con la precisazione che la perdurante occupazione trovava titolo nell’espresso consenso del proprietario e che “l’indennita’ di occupazione corrisposta dall’Ente non aveva natura risarcitoria, ma di semplice corrispettivo per il protrarsi dell’occupazione”).

2.3. Al riguardo, risultano corrette le affermazioni con cui la sentenza impugnata ha escluso che fra le parti fosse intervenuta una rinnovazione tacita del rapporto di locazione, in quanto la volonta’ di obbligarsi di una pubblica amministrazione deve manifestarsi attraverso atti tipici e non per facta concludentia (cfr., ex plurimis, Cass. n. 11649/2002), mentre appare erronea (e contraddittoria) la conclusione che l’indennita’ versata dal Comune non avesse natura risarcitoria, atteso che, negata la prosecuzione o la ricostituzione del rapporto contrattuale (risolto dalla convalida di sfratto), non appare ipotizzabile (tertium non datur) che il Comune abbia versato somme a titolo diverso dal risarcimento del danno per la perdurante occupazione (ex articolo 1591 c.c.).

2.4. La circostanza che tale occupazione fosse consentita dal locatore (che, in sostanza, concesse ripetute dilazioni del termine di rilascio) non vale ad escludere che il conduttore fosse comunque in mora nell’adempimento dell’obbligo contrattuale di restituire il bene locatogli (giacche’ la mora si era determinata fin dal momento della notifica dell’intimazione di sfratto) e, quindi, ad impedire l’operativita’ della previsione dell’articolo 1591 c.c., ma riveste un’indubbia rilevanza ai fini della quantificazione della c.d. indennita’ di occupazione.

2.5. E’ noto che tale indennita’ ha natura risarcitoria (lo indica la stessa rubrica dell’articolo 1591 c.c., e lo si desume chiaramente dalla circostanza che la salvezza dell’obbligo di risarcire il “maggior danno” non puo’ che presupporre un’identica natura risarcitoria nell’obbligo di “dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna”) e che – con la disposizione in esame – il legislatore ha inteso effettuare una liquidazione forfetaria minima del danno per ritardata restituzione, ragguagliandola al corrispettivo convenuto (cfr. Cass. n. 9488/2007), con salvezza della possibilita’, per il locatore, di dimostrare un eventuale maggior danno.

2.6. Sebbene il “corrispettivo convenuto” coincida, di norma, col canone di locazione, nulla osta alla possibilita’ che l’importo risulti superiore per effetto di un accordo successivo fra le parti, giacche’ l’indicazione del legislatore e’ volta ad individuare un dato economico che, in quanto concordato fra gli interessati, possa ragionevolmente essere assunto a parametro di riferimento per la quantificazione del danno.

Cio’ vale anche per gli importi determinati dal (OMISSIS) e dal Comune di Palermo dopo la convalida dello sfratto e in costanza di occupazione dell’immobile, senza che al riconoscimento dell’efficacia di tali pattuizioni osti un difetto di forma scritta, giacche’ e’ pacifico che gli accordi sull’indennita’ di occupazione vennero formalizzati in deliberazioni della Giunta Municipale: si tratto’, in buona sostanza, di accordi sulla liquidazione del danno conseguente alla perdurante occupazione.

2.7. Nel caso di specie, l’ultimo valore economico concordato e’ pacificamente quello relativo all’anno 1988 (il ricorrente lo indica in “lire 195.375.000 oltre oneri accessori” per il periodo luglio 1988/luglio 1989) ed e’ pertanto a tale valore che doveva essere ragguagliato il risarcimento minimo per gli anni dal 1989 al 1993, salva restando – per il locatore – la possibilita’ di provare un maggior danno.

2.8. Cio’ detto, va escluso che tale maggior danno possa risultare provato sulla base della mera differenza fra il corrispettivo convenuto dalle parti e il maggior valore del canone di mercato giacche’, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. n. 2552/2011), la prova del danno deve essere fornita in modo rigoroso, in relazione a effettive – e perdute – possibilita’ del locatore di ricavare un maggior reddito dall’immobile attraverso la nuova locazione dello stesso ad un canone superiore, richiedendosi pertanto una prova che, quand’anche si giovi di elementi presuntivi (cfr. Cass. n. 14624/2004), non puo’ prescindere dal rigoroso accertamento della concreta compromissione della nuova e piu’ remunerativa occasione locatizia.

2.9. La sentenza impugnata erra, dunque, laddove afferma che “non vi sono dubbi allora sul diritto del (OMISSIS) ad ottenere una indennita’ conforme al valore locativo del bene e quindi a conseguirne il reddito percepibile qualora lo stesso fosse stato locato a terzi in condizioni di libero mercato”, senza richiedere all’attore la prova dell’esistenza di concrete occasioni di locazione ad un canone corrispondente al teorico valore locativo e del fatto che le stesse non si siano concretizzate a causa del ritardato rilascio del bene da parte del conduttore.

3. La sentenza va pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, che dovra’ uniformarsi al seguente principio di diritto: “ove, dopo che sia stato risolto il contratto di locazione, il conduttore permanga nella detenzione del bene col consenso del locatore, sulla base di un accordo che sia volto a differire la data del rilascio e che preveda anche il corrispettivo dovuto, l’indennita’ di occupazione deve intendersi ragguagliata all’importo convenuto; tale corrispettivo costituira’ anche l’indennita’ dovuta per il periodo successivo in relazione al quale le parti non abbiano raggiunto alcun accordo, fatta salva – in questo caso – la possibilita’, per il locatore, di fornire la prova dell’eventuale maggior danno, con rigorosa dimostrazione che la ritardata restituzione dell’immobile ha concretamente pregiudicato la possibilita’ di locare il bene a terzi per un canone superiore all’ultimo corrispettivo convenuto con il conduttore inadempiente, senza che possa ritenersi a tal fine sufficiente la mera prova del diverso e maggiore valore locativo di mercato”.

4. Col secondo motivo, il Comune deduce “violazione ed erronea applicazione degli articoli 1223, 1590, 1609 e 1576 c.c. – vizio di motivazione”, formulando i seguenti quesiti di diritto: “2.a Ai sensi degli articoli 1576 e 1609 c.c., grava sul conduttore l’obbligo di eseguire gli interventi di piccola manutenzione dell’immobile locato, mentre grava sul locatore l’obbligo della manutenzione ordinaria e straordinaria”; 2.b. “In base ai principi generali sull’onere della prova, il locatore che chiede il rimborso delle spese di ripristino dell’immobile ha l’onere di provare che i danni dallo stesso lamentati siano riferibili ad omessa piccola manutenzione posta a carico del conduttore, nonche’ di avere subito una effettiva lesione del suo patrimonio”.

4.1. Il motivo, per quanto articolato come unico, cumula due distinte censure, riconducibili al n. 3 (“violazione ed erronea applicazione degli articoli 1223, 1590, 1609 e 1576 c.c.) e all’articolo 360 c.c., comma 1, n. 5 (“vizio di motivazione”): per ciascuna di esse, deve procedersi a una distinta verifica circa il rispetto della previsione dell’articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis (atteso che la sentenza e’ stata pubblicata in data 12.2.2008);

4.2. Il motivo formulato ai sensi del n. 3 risulta inammissibile in quanto entrambi i quesiti di diritto non rispettano il modello individuato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte.

E’ noto, infatti, che il quesito di diritto “deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” (Cass. n. 22604/13) e che, dovendo assolvere alla “funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale”, non puo’ essere “meramente generico e teorico”, ma dev’essere “calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile” (Cass. n. 3530/12).

Nel caso in esame, i due quesiti formulati non rispondono – neppure se letti congiuntamente – agli anzidetti criteri, in quanto non contengono alcuno specifico riferimento al caso concreto e si limitano ad enunciazioni di carattere generale che non consentono di cogliere il senso della censura mossa alla sentenza impugnata.

4.3. La censura relativa al vizio di motivazione risulta anch’essa evidentemente inammissibile per mancata formulazione della sintesi descrittiva del fatto (c.d. quesito di fatto) richiesta dall’articolo 366 bis, 2 periodo.

4.4. In relazione a detta censura, il ricorso risulta inammissibile anche a norma dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non contiene la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda (nella specie, le lettere del preside dell’istituto, il verbale di consegna e le relazioni di C.T.U. richiamate nell’illustrazione del motivo), requisito che comporta la necessita’ di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale sia stato prodotto e in quale fascicolo si trovi il documento e, altresi’, di trascriverne o riassumerne in misura adeguata il contenuto (cfr. Cass. n. 21104/2013).

5. Il giudice del rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui alla motivazione, cassa in relazione e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione.

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