In tema di servitù di passaggio, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facoltà di apportare modifiche al proprio fondo e di apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalità di transito. Ne consegue che, ove non dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominante, al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello, l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù, questi non può pretendere l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, peraltro in contrasto col principio servitus in faciendo consistere nequit.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 gennaio – 15 maggio 2014, n. 10700
Presidente Goldoni – Relatore Petitti

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 17 febbraio 1999 A.A. e A.M. evocavano, dinanzi alla Pretura di Ascoli Piceno, A.E. chiedendo la reintegra e/o la manutenzione del possesso della servitù di passaggio da esse esercitata, mediante la rimozione del cancello apposto da A.E. o, in via subordinata, l’installazione, a spese della medesima, di meccanismi elettrici di apertura e chiusura idonei a consentire l’uso diretto ed indiretto della servitù di passaggio.
A sostegno della richiesta di provvedimento interdittale le ricorrenti deducevano di essere titolari del diritto di servitù di passaggio (costituita mediante contratto nel 1968) sul fondo di proprietà della convenuta, passaggio strumentale sia alla loro abitazione, situata sul fondo dominante, sia all’azienda agricola, situata presso l’abitazione e da loro gestita, consentendo lo sbocco sulla via pubblica; di esercitare, sin dalla costituzione della servitù, liberamente il loro diritto utilizzando il passaggio situato a 50-60 mt. dall’abitazione direttamente e indirettamente, mediante il libero passaggio della generalità dei visitatori, dei fornitori e dei clienti dell’azienda; ciò in qualunque ora del giorno e, come nel caso della raccolta del latte, anche della notte, con orari variabili (tra le ore 22,00 e le ore 6,00), in qualunque periodo dell’anno e in qualunque condizione metereologica; che A.E. aveva installato, unilateralmente, un cancello con chiusura dall’interno sulla strada gravata dalla servitù di passaggio, senza munirlo di citofono o di un sistema di apertura a distanza, limitandosi alla consegna delle chiavi e pretendendo l’immediata chiusura del cancello a seguito di ogni utilizzo; che la consegna delle chiavi non aveva evitato il concreto aggravamento della servitù di passaggio giacché le due ricorrenti, in età avanzata, in conseguenza della chiusura, avevano dovuto sobbarcarsi il disagio di recarsi ad aprire e chiudere il cancello in presenza di visitatori, clienti o fornitori (il tutto con l’ulteriore disagio determinato dalla posizione defilata del cancello, non visibile dall’abitazione né tantomeno dai campi e dalle stalle dell’azienda agricola presso le quali le ricorrenti erano impegnate durante il giorno); di essere vittime di continue turbative al proprio diritto perpetrate dai familiari di A.E. , come risultante dalla sentenza penale di condanna del Tribunale di Ascoli Piceno n. 98 del 5 marzo 2004, passata in giudicato, per i reati di ingiuria e violenza privata.
Assunte sommarie informazioni, il Pretore di Ascoli Piceno, con provvedimento in data 6 maggio 1999, rigettava la richiesta di interdetto possessorio.
Le ricorrenti instauravano il giudizio di c.d. merito possessorio dinnanzi al Tribunale di Ascoli Piceno che, con sentenza n. 763 del 2000, respingeva la domanda confermando il provvedimento emesso dal Pretore. Il Tribunale rigettava altresì la domanda riconvenzionale proposta dalla parte convenuta per ottenere la condanna delle ricorrenti al pagamento della quota loro spettante delle spese di manutenzione e pulizia del passaggio nonché alla partecipazione alla spesa necessaria per l’eventuale installazione di idoneo impianto di apertura a distanza del cancello.
A sostegno della decisione il giudice evidenziava che l’installazione del cancello con contestuale consegna delle chiavi non poteva qualificarsi come molestia o turbativa, rientrando nella facoltà riconosciuta al proprietario, e che la menomazione dell’utilità dedotta dalle ricorrenti, attinente alla perdita della maggiore comodità costituita dal libero accesso dei terzi provenienti dalla via pubblica e diretti all’abitazione delle ricorrenti, non si riteneva tale da concretare una turbativa di consistenza apprezzabile meritevole di tutela possessoria.
Avverso tale sentenza le ricorrenti proponevano appello dinanzi alla Corte di appello di Ancona. La resistente si costituiva proponendo appello incidentale per la condanna delle appellanti alla rifusione delle spese sostenute per la pulizia dello spazio comune.
L’adita Corte, con sentenza n. 80 depositata il 3 marzo 2007, respingeva l’appello principale e dichiarava inammissibile l’appello incidentale. Quanto all’appello principale, la Corte distrettuale rilevava l’assenza di alcuna diminuzione o restrizione dell’esercizio del transito a seguito dell’installazione del cancello; la sussistenza di semplici disagi di trascurabile entità derivati alle proprietarie del fondo dominante a seguito delle nuove modalità di transito e, inoltre, la mancata dimostrazione, da parte delle appellanti, che le visite da parte dei fornitori, dei clienti e dei terzi alla loro azienda fossero cosi frequenti e continue da causare ad esse un intollerabile disagio.
Per la cassazione di questa sentenza A.A. e M. hanno proposto ricorso articolato in sei motivi di gravame. L’intimata non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ponendosi in risalto che “le ragioni per cui la motivazione è inidonea a sorreggere la negazione della tutela invocata dalle ricorrenti, consistono nel fatto che la sentenza impugnata, non negando l’esistenza, per le ricorrenti, di un disagio – ulteriore e maggiore (compromettendo l’utilitas inerente la funzione produttiva e abitativa del fondo oggetto della servitù di passaggio) rispetto a quello, trascurabile, di apertura e chiusura del cancello – in occasione della visita di clienti, fornitori e terzi connessi con la destinazione del fondo dominante, finisce, nello stesso tempo, con l’affermare e negare che i disagi dei ricorrenti siano limitati solamente all’apertura e chiusura del cancello)”.
1.1. Con ulteriori tre motivi di ricorso, A.A. e M. denunciano l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., rilevando che “le ragioni per cui la motivazione è inidonea a sorreggere la negazione della tutela invocata dalle ricorrenti, consistono nel fatto che la sentenza impugnata omette di considerare i su detti aspetti del caso concreto e le testimonianze di C.F. e Co.Lu. , mentre se il Giudice di merito le avesse considerate, avrebbe certamente dovuto riconoscere la sussistenza di un disagio apprezzabile – concretizzato nella riduzione dell’utilitas, oggetto della servitù di passaggio a causa della chiusura del fondo, prima liberamente goduta – ed ulteriore a quello, trascurabile, della custodia delle chiavi e apertura e chiusura del cancello, con aggravamento e turbativa del godimento della servitù di passaggio da parte della proprietaria del fondo servente e conseguente riconoscimento del diritto delle ricorrenti alla tutela possessoria invocata, sulla base del costante orientamento di codesta S.C. (Cass. n. 5808 del 1998; Cass. n. 8436 del 1995; Cass. n. 15699 del 2001”.
Le ricorrenti si dolgono, sotto un primo profilo, per l’omessa valutazione del grave e apprezzabile disagio derivante dall’apposizione del cancello, sostenendo che la consegna delle chiavi non sarebbe sufficiente a permettere il libero passaggio di tutte le persone, clienti o fornitori, che debbono servirsi dello stesso per l’utilità e la comodità del fondo dominante; sotto altro profilo, censurano l’omessa considerazione del disagio derivante dal necessario tragitto da percorrere in ogni condizione meteorologica e in orari notturni per andare e tornare dal cancello all’abitazione o all’azienda agricola, tragitto erroneamente ritenuto di 25 mt e non, come affermato dal teste C. , di 50-60 mt.; in ultimo, lamentano che la Corte abbia omesso di esaminare quanto dichiarato dai testi sull’esistenza, antecedentemente, delle frequenti e continue visite di clienti, fornitori e terzi.
2. Con il quinto e il sesto motivo di gravame le ricorrenti lamentano violazione di legge (artt. 841, 1064, 1168 e 1179 cod. civ.), in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Le ricorrenti richiamano giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui il passaggio della generalità dei fornitori e dei clienti attuali e potenziali su di una strada per l’accesso ad un immobile destinato ad attività commerciale può formare oggetto di servitù industriale. Puntualizzano altresì l’errata applicazione del dettato codicistico per non aver ritenuto la Corte sussistente un effettivo disagio, maggiore rispetto a quello, trascurabile, legato alla necessità di custodire le chiavi e servirsene per la chiusura e l’apertura del cancello, tale da tradursi in una limitazione sostanziale della servitù di passaggio.
3. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è infondato.
3.1. Giova premettere che, come questa Corte ha avuto modo di affermare, in tema di servitù di passaggio, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facoltà di apportare modifiche al proprio fondo e di apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalità di transito. Ne consegue che, ove non dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominante, al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello, l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù, questi non può pretendere l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, peraltro in u contrasto col principio servitus in faciendo consistere nequit (Cass. n. 14179 del 2011; Cass. n. 6513 del 2003).
Spetta, poi, al giudice di merito stabilire quali misure, in concreto, risultino più idonee a contemperare l’esercizio dei due diritti (quello di chiusura del fondo servente e quello di libero e comodo esercizio della servitù da parte del proprietario del fondo dominante) avuto riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità del suo esercizio, allo stato e configurazione dei luoghi (Cass. n. 15977 del 2001; Cass. n. 15796 del 2002; Cass. n. 21613 del 2004).
L’art. 1067, primo comma, cod. civ., dunque, vieta non già qualsivoglia innovazione, ma solo quelle che rendano più gravosa la situazione del fondo servente. È evidente che la collocazione di un cancello sul locus servitutis modifica la precedente situazione di esercizio del diritto di passaggio, per cui se bastasse registrare tale dato per integrare l’ipotesi dell’aggravamento della servitù, sarebbe esclusa in partenza, contro la lettera e il senso stesso della norma citata, sia questa che qualsivoglia altra innovazione non rispondente all’interesse del titolare della servitù. L’aggravamento non è dato dall’innovazione in sé, ma dall’incidenza di essa rispetto al modo in cui è stata goduta la servitù, venendo in rilievo, quindi, frequenza del passaggio, caratteristica dei luoghi, particolari esigenze del transito ed ogni altra precedente condizione di esercizio.
Obbligo del proprietario del fondo servente è, quindi, quello di garantire il passaggio e l’esercizio civiliter della servitù non potendo il titolare di essa richiedere ulteriori sacrifici ed esborsi, soprattutto, non essendo in potere dello stesso titolare lo stabilire il modo in cui egli ritiene più comodo esercitare la servitù e di imporne giudizialmente l’attuazione sulla base del semplice assunto che la chiusura del fondo servente abbia arrecato pregiudizio al suo diritto e senza aver fornito la prova dell’effettivo disagio (Cass. n. 6513 del 2003).
In altri termini, nel caso in cui il proprietario del fondo servente intenda esercitare la facoltà, prevista dall’art. 841 cod. civ., di chiudere il fondo per preservarlo dall’ingerenza di terzi, spetta al giudice di merito stabilire in concreto quali misure risultino più idonee a contemperare i due diritti, avendo riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità d’esercizio e alla configurazione dei luoghi (v. Cass. n. 21744 del 2013).
3.2. Ciò premesso, si deve rilevare che la Corte d’appello di Ancona non si è discostata dagli indicati principi, avendo operato esattamente il bilanciamento che il legislatore rimette al giudice di merito nel contemperare le esigenze del proprietario del fondo servente, di apportare le necessarie cautele a salvaguardia del proprio bene, e il diritto del fondo dominante di esercitare la servitù di passaggio con modalità analoghe a quelle esistenti prima delle innovazioni apportate dal proprietario del fondo servente. Non sussistono, quindi, le denunciate violazioni di legge, dovendosi necessariamente spostare l’attenzione sui motivi con i quali vengono denunciati, sotto diversi profili, vizi di motivazione.
In proposito, è bene ricordare che “il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando cosi liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 24679 del 2013).
3.3. Nella specie, deve rilevarsi che l’accertamento svolto dalla Corte d’appello è sorretto da motivazione immune dai denunciati vizi.
La Corte d’appello, in sintesi, dopo aver affermato che “la previa apertura del cancello, necessaria per esercitare il passaggio, e la chiusura dello stesso, comportano soltanto dei semplici disagi, di trascurabile entità, derivati alle proprietarie del fondo dominante a seguito delle nuove modalità di transito decise dalla proprietaria del fondo servente e, in quanto tali, sono giuridicamente irrilevanti”, ha ritenuto che le appellanti, odierne ricorrenti, non “avessero minimamente dimostrato che le visite da parte dei fornitori, dei clienti e di terzi alla loro azienda agricola fossero cosi frequenti e continue da causare ad esse ricorrenti un intollerabile disagio per la necessità di recarsi ad aprire e chiudere spesso il cancello posto ad una distanza di soli m. 25 dalla loro abitazione”.
Orbene, pur volendosi ammettere che la Corte territoriale sia incorsa in errore nel quantificare in 25 metri la distanza dell’abitazione e della stalla dal cancello, sta di fatto che le deduzioni delle ricorrenti non appaiono idonee ad evidenziare lacune nel ragionamento della Corte d’appello e a superare la affermata assoluta carenza di prova in ordine alle modalità di esercizio della servitù, segnatamente con riferimento alle esigenze dell’azienda agricola, rispetto alle quali viene essenzialmente censurata la sentenza impugnata. Le deposizioni testimoniali richiamate nel ricorso, invero, non si sottraggono alla implicita valutazione di non concludenza espressa dalla Corte d’appello, in considerazione della loro genericità, e di non idoneità a legittimare la pretesa della imposizione alla intimata di munire il cancello di un meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza, o di altro similare rimedio, peraltro in contrasto con il principio servitus in facendo consistere nequit (Cass. Civ., Sez. 2, del 27/06/2011, n. 14179).
Del resto, non è senza rilievo la circostanza che tutti i giudici di merito che si sono interessati della domanda di reintegrazione nel (o manutenzione del) possesso della servitù di passaggio formulata dalle odierne ricorrenti abbiano concordemente escluso la sussistenza di una prova tale da far ritenere che l’apposizione del cancello, accompagnata dalla consegna delle chiavi, si risolvesse non in un disagio limitato, ma incidesse addirittura sull’esercizio stesso della servitù, rendendolo molto più gravoso.
Nel caso di specie è mancato poi ogni specifico riferimento, in ipotesi anche documentale, alla tipologia dell’attività svolta dall’azienda agricola delle ricorrenti, alla entità della stessa, anche al fine di poter corroborare l’assunto di un passaggio frequente di fornitori e clienti, necessario anche di notte in considerazione delle lavorazioni ivi svolte.
In sostanza, le deduzioni svolte nel ricorso, lungi dall’evidenziare le denunciate violazioni di legge o vizi di illogicità, contraddittorietà o insufficienza della motivazione, si risolvono nella richiesta di una nuova valutazione delle risultanze istruttorie onde pervenire ad un risultato diverso da quello affermato dai giudici di merito e favorevole all’assunto delle ricorrenti.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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