L’appaltatore può provare, con ogni mezzo di prova ed anche in via presuntiva, che le variazioni dell’opera appaltata siano state richieste dal committente, essendo richiesta la prova scritta dell’autorizzazione di quest’ultimo solo ove le variazioni delle opere siano dovute ad iniziativa dell’appaltatore .
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 ottobre 2013 – 8 gennaio 2014, n. 142
Presidente Goldoni – Relatore Nuzzo
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 1.10.1999, l’impresa Foresti s.n.c. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Verbania, K.P. esponendo: con contratto 3-4.12.98 aveva appaltato al convenuto i lavori di ristrutturazione di un fabbricato in (…); in corso d’opera il K. aveva verbalmente ordinato l’esecuzione di lavori extra; a causa del mancato saldo dei lavori commissionati,per complessive L. 109.681.150, di cui aveva percepito acconti per sole L. 57.272.727, esso attore aveva comunicato al committente di ritenere ormai risolto il contratto per inadempimento.
Chiedeva, quindi, la declaratoria di risoluzione del contratto con condanna del convenuto al pagamento della somma di L. 52.408.423 oltre accessori.
Il K. , costituitosi, contestava di aver commissionato lavori extra-capitolato e sosteneva di aver subito danni a seguito dell’illegittima sospensione dei lavori e della indebita occupazione del cantiere. Chiedeva, pertanto, la dichiarazione di intervenuta risoluzione del contratto per colpa della impresa Foresti s.n.c., con compensazione dell’eventuale residuo credito della stessa con i danni da lui subiti.
Espletata C.T.U. il Tribunale, con sentenza del 19.1.2004, dichiarava la risoluzione del contratto di appaltò per colpa del K. e lo condannava a corrispondere alla impresa Foresti la somma di Euro 19.385,71 (pari alla differenza tra il valore delle opere eseguite e l’importo corrisposto dal committente a titolo di acconto) oltre IVA, interessi legali, rifusione delle spese processuali e di C.T.U..
Avverso tale decisione il K. proponeva appello cui resisteva la impresa Foresti.
Con sentenza depositata il 29.3.2007 la Corte d’Appello di Torino rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali del grado. Rilevava la Corte di merito: la notifica dell’atto di citazione era rituale in quanto eseguita a mani del convenuto, presso la sua abitazione in (…), nell’ambito della circoscrizione dell’ufficiale giudiziario procedente; affermava che il convenuto era in grado di conoscere a lingua italiana sicché non era necessaria la traduzione in lingua tedesca dell’atto introduttivo del giudizio; era contrattualmente prevista la possibilità per la committenza di disporre anche solo verbalmente delle varianti e dei lavori extra capitolato: la sospensione dei lavori era stata determinata dal grave inadempimento del convento per non aver corrisposto gi acconti pattuiti. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso K.P. formulando sei motivi con i relativi quesiti di diritto.
Resiste con controricorso l’impresa Foresti s.n.c. di Foresti Grigio, Walter, Sonia & C..
Motivi della decisione
Il ricorrente deduce:
1) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, avuto riguardo alla mancata traduzione in lingua tedesca dell’atto introduttivo ed alle modalità della sua notificazione, con conseguente nullità della sentenza, avuto riguardo anche alla eccepita inosservanza del termine a comparire previsto in citazione, inferiore a quello previsto dall’art. 163 bis c.p.c. con riferimento alla residenza in (…) del convenuto;
erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto valida la notifica dell’atto di citazione benché eseguita presso l’abitazione di vacanze in (…) del K. , la cui residenza e domicilio era in (…); tanto aveva precluso allo stesso di svolgere compiutamente la propria difesa per non aver potuto coltivare la domanda riconvenzionale né la chiamata di terzo, stante anche la mancata traduzione dell’atto introduttivo nella lingua tedesca conosciuta dal ricorrente;
2) violazione o falsa applicazione di norme di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, “avuto riguardo alla produzione documentale, al mancato avviso ad uno dei C.T. di parte, al mancato termine per le osservazioni alla C.T.U.; nullità della C.T.U.”; la Corte di merito, ribadendo la statuizione del Tribunale, non aveva ammesso i documenti venuti ad esistenza dopo il maturare delle preclusioni istruttorie,pur essendone possibile la produzione fino alla precisazione delle conclusioni; il C.T.U., nel suo supplemento peritale del 13.1.2003, aveva dato atto, inoltre, di non aver convocato il C.T. di parte, Z.S. , sicché sussisteva la nullità della C.T.U.;
3) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia attinente alla mancata imputazione all’impresa della risoluzione del contratto di appalto,nonostante fosse stata inviata alla società appaltatrice diffida ex art. 1454 c.c. per i ritardi nell’esecuzione delle opere e per “gli abbandoni di cantiere”, diffida comportante la risoluzione “pleno iure” del contratto;
4) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente della controversia in relazione al “quantum” dovuto per le opere eseguite, tenuto conto che le opere extra contratto non era state assentite per iscritto ex art. 1659 c.c. e considerato che il teste Piazza aveva contestato all’impresa appaltatrice danni da infiltrazioni e l’esecuzione di lavori senza previo assenso scritto del committente;
5) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia, avuto riguardo all’esito della C.T.U., posto che le opere in economia erano state conteggiate dal C.T.U. sulla base di documentazione indicata dal C.T. dell’impresa, senza che sul punto fosse stata svolta attività istruttoria e benché dette opere non fossero state autorizzate dalla Direzione dei lavori e dalla committente;
6) violazione o falsa applicazione di norma di diritto e/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’accoglimento della domanda di danni ai sensi dell’art. 1224 c.c.; erroneamente la Corte di merito aveva attribuito natura di credito di valore al residuo credito liquidato in favore della impresa Foresti, pur trattandosi di credito di valuta insuscettibile di rivalutazione monetaria, avendo l’appaltatrice agito per ottenere il corrispettivo di lavori edili oggetto del contratto.
Il primo motivo di ricorso, sotto il profilo della inosservanza del termine minimo a comparire, è infondato.
La Corte di merito ha disatteso il motivo di appello sul punto, affermando che l’atto di citazione era stato notificato al convenuto “a mani proprie”, ex art. 138 c.p.c., presso il suo domicilio in (…) e, precisamente, nella sua casa di abitazione “ove il K. ha mostrato di avere un centro stabile di interessi patrimoniali e di vita (come vieppiù attestato dalla stessa vertenza contrattuale oggetto di lite e concernente la ristrutturazione della casa da lui colà posseduta e personalmente abitata)”.
Sulla base di tale accertamento in fatto, sorretto da congrua motivazione, come tale incensurabile in sede di legittimità, correttamente il giudice di appello ha ritenuto rituale la notificazione suddetta, evidenziando che il maggior termine a comparire di cui all’art. 163 bis c.p.c., non andava concesso al convenuto sol perché cittadino straniero, avuto riguardo alla “ratio” di tale norma che prevede un termine a comparire maggiore solo se “il luogo di notificazione” si trova non Italia ma all’estero, dovendosi presumere la necessità di un maggior tempo per apprestare, dall’estero, una congrua difesa in Italia. Nella specie, quindi, una volta accertato che il convenuto aveva un proprio domicilio anche in (…), avendo ivi stabilito il proprio centro stabile di interessi patrimoniali e di vita, in aderenza a detta “ratio”, occorre avere riguardo, ai fini del termine di comparizione, non ai luoghi delle possibili notificazioni, bensì al luogo in cui il cui la notificazione è realmente e validamente avvenuta (V. Cass. n. 1616/1987; 7978/1991).
Deve, comunque, ribadirsi la validità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio eseguita a mani proprie del destinatario, posto che, secondo la testuale previsione dell’art. 138 c.p.c. (“l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione di regola mediante consegna della copia nelle mani proprie del destinatario… ovunque lo trovi”), la notificazione a mani è sempre valida, a prescindere dal fatto che essa non sia avvenuta presso la casa di abitazione anagrafica del destinatario ( Cfr. Cass. n. 12373/2002; n. 1887/06), stante l’idoneità di tale forma di notificazione “a sanare ogni nullità della notificazione stessa” (Cass. n. 3015/1986) ed a garantire l’immediata e sicura conoscenza dell’atto da parte del destinatario.
Quanto all’altro profilo del motivo in esame, la Corte di merito ha congruamente motivato la conoscenza della lingua italiana da parte del K. con riferimento al risalente insediamento in (…) ove questi riceveva abitualmente, tra l’altro, la corrispondenza in italiano, alla redazione in lingua italiana del contratto di appalto da lui sottoscritto senza l’assistenza di un interprete o traduttore di lingua tedesca,alla sua presenza personale, senza richiesta di interprete,a talune udienze del giudizio di primo grado ecc… (V. pag. 9-10 sent. imp.); risulta, pertanto, rispettato il disposto dell’art. 122 c.p.c., laddove prevede che la lingua degli atti del processo è quella italiana e che alla eventuale traduzione debba farsi luogo solo nel caso in cui il convenuto non conosca quella lingua, verifica, peraltro, demandata in via esclusiva al giudice di merito,previa necessaria specifica denuncia dell’interessato ed insindacabile in sede di legittimità ove, come avvenuto nel caso in esame, la valutazione al riguardo sia immune di vizi logici e giuridici (Cass. n. 11038/2004).
Quanto alla seconda censura è sufficiente rilevare che la Corte di merito ha dato conto della insussistenza del lamentato difetto di contraddittorio in ordine all’espletamento della C.T.U., evidenziando, fra l’altro, che era stata disposta una relazione suppletiva, “ritenuta necessaria proprio a seguito delle osservazioni dedotte dal K. alla consulenza tecnica di ufficio 19.10.02”.
Priva di fondamento è la terza doglianza, posto che la risoluzione del contratto di appalto fra le parti è stata confermata, dal giudice di appello sulla base dell’accertato grave inadempimento del K. , per non avere questi dato seguito all’accordo sotteso alla lettera racc. 18.5.99, omettendo il versamento di un ulteriore acconto di L. 20.000.000.
Con riferimento al quesito formulato in relazione al quarto motivo (se “può l’appaltatore richiedere il pagamento di opere extracontratto ove non assentite per iscritto dalla committenza ex art. 1669 c.c.) è sufficiente rilevare che la Corte territoriale ha, sulla base di una corretta interpretazione della clausola contrattuale n. 5, che prevedeva l’esecuzione di lavori aggiuntivi “solo dopo autorizzazione della D.L. o del committente”, consentiva la possibilità di disporre anche solo verbalmente delle varianti e dei lavori extracapitolato. Per pacifica giurisprudenza, del resto, l’appaltatore può provare, con ogni mezzo di prova ed anche in via presuntiva, che le variazioni dell’opera appaltata siano state richieste dal committente, essendo richiesta la prova scritta dell’autorizzazione di quest’ultimo solo ove le variazioni delle opere siano dovute ad iniziativa dell’appaltatore (Cass. 3040/95; n. 7242/2001).
Il quinto motivo concernente le risultanze della C.T.U. in ordine alla quantificazione dell’importo delle opere eseguite, non individua le ragioni della decisione, laddove la sentenza ha evidenziato, nel conformarsi alle conclusioni del C.T.U., che il rinnovo della C.T.U. richiesta dall’appellante mirava a sovvertire risvolti tecnici ed economici “già ampiamente scandagliati in primo grado né l’appellante aveva dedotto elementi idonei a disattendere quanto accertato dalla C.T.U. e relativa integrazione”. Il motivo è, quindi, inammissibile in quanto si risolve nella contestazione di un accertamento in fatto e nella pretesa al rinnovo della C.T.U., possibilità rientrante nei poteri discrezionali del giudice di merito, senza che il provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza in base alle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti la superfluità dell’indagine richiesta (Cass. n. 20227/2003; n. 20227/2010).
Va, infine, disatteso il sesto motivo, posto che la sentenza ha correttamente qualificato come credito di valore la somma ancora dovuta dal committente per i lavori eseguiti dall’impresa appaltatrice, ravvisandone la natura risarcitoria in relazione alla pronuncia di risoluzione del contratto di appalto ex art. 1453 c.c., riconoscendo, di conseguenza, la rivalutazione monetaria di detta somma, in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, è fatto salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno da svalutazione monetaria sul corrispettivo dovuto dalla parte inadempiente, costituendo essa una forma di risarcimento, corrispondente alla liquidazione del danno complessivo, avuto riguardo al turbamento delle aspettative economiche della parte adempiente (Cass. n. 14213/1999; n. 5002/94).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.