Deve considerarsi legittima la costruzione di una piccola veranda da parte del proprietario dell’ultimo piano se non reca pregiudizi estetici all’edificio e non compromette in termini di ariosità e luminosità le abitazioni dei piani sottostanti.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile – Sentenza 13 gennaio 2014, n. 466

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere

Dott. MANNA Felice – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 28318/07) proposto da:

CONDOMINIO di via (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) del foro di Napoli e domiciliato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour n. 1;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli Avv.ti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) del foro di Napoli, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del controricorso, e domiciliati presso la Cancelleria della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour n. 1;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2837 depositata il 14 settembre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to (OMISSIS) (con delega dell’Avv.to (OMISSIS)), per parte ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione in opposizione di terzo ex articolo 404 c.p.c., notificata il 4 giugno 2003 (OMISSIS) evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, il Condominio di via (OMISSIS) ed il proprio consorte, (OMISSIS), con il quale si trovava in regime di comunione, per sentire dichiarare inutiliter data ovvero inefficace nei suoi confronti la sentenza dello stesso Tribunale n. 6691 del 1996, con la quale veniva pronunciata la condanna alla demolizione di una veranda sul lastrico di copertura di loro proprieta’, in quanto emessa in violazione delle regole sul litisconsorzio necessario, essendo la stessa litisconsorte pretermessa. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Condominio, intervenuto anche il coniuge (OMISSIS), il giudice adito, nella fase rescindente, accoglieva l’opposizione e per l’effetto dichiarava l’inefficacia del titolo posto a base dell’esecuzione, nella fase rescissoria, sulla base degli accertamenti svolti nella causa originaria, riteneva la fondatezza della originaria pretesa limitatamente alla menomazione dell’estetica, nonche’ dell’ariosita’ e/o della luminosita’ dei piani sottostanti.

In virtu’ di rituale appello interposto dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), con il quale lamentavano la violazione delle norme in materia di giudizio di opposizione ex articolo 404 c.p.c. e ss., deducendo l’intervenuto accordo transattivo formalizzato nell’assemblea del 17.5.1997 di autorizzazione degli appellanti a conservare il manufatto, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza del Condominio, il quale proponeva anche appello incidentale condizionato, accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale; in parziale riforma della decisione gravata, rigettava la domanda di demolizione del manufatto proposta dal Condominio nei confronti degli appellanti (OMISSIS) e (OMISSIS).

A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che trattandosi di costruzione all’ultimo piano di comproprieta’ degli appellati, regolata dall’articolo 1127 c.c., essa normalmente era consentita, tranne nei casi indicati dalla legge, cioe’ di pregiudizio statico (che non aveva formato oggetto di accertamento nella specie) ovvero di pregiudizio estetico, pregiudizio all’ariosita’ o alla luminosita’, da escludersi alla luce della relazione peritale del 10.2.1990, avuto riguardo alla struttura ed alle dimensioni del fabbricato, all’entita’ e alle caratteristiche della veranda, da cui risultava che in realta’ consisteva in uno stenditoio, non destinato ad abitazione in quanto di modesta altezza. Ne’ era stato argomentato dal giudice di prime cure il pregiudizio dell’aspetto architettonico, non potendo ritenersi tale per il fatto puro e semplice dell’essere il manufatto realizzato in profilati metallici e con copertura a lastre prefabbricate nell’ambito di un edificio progettato in c.a.; ne’ poteva essere invocata la violazione del regolamento condominiale, in particolare la lettera K, per essere fuori, nella specie, dall’ipotesi della menomazione stessa dell’estetica.

Proseguiva, quanto all’appello incidentale condizionato, con il quale si insisteva nella perenzione dell’atto di opposizione, rilevava la corte territoriale che sebbene l’atto andasse notificato alla parte personalmente, giusta il principio di generale applicazione di cui all’articolo 330 c.p.c., comma 3, essendovi una qualche relazione con la persona del precedente difensore, non poteva essere sostenuta la tesi dell’inesistenza della notifica, trattandosi di nullita’ discendente da inesatta indicazione del soggetto processuale destinatario della notifica.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il CONDOMINIO, affidato a tre motivi, illustrato anche da memoria ex articolo 378 c.p.c., al quale hanno resistito con controricorso i (OMISSIS) – (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ preliminare la questione di ammissibilita’ del ricorso dedotta dai controricorrenti per violazione degli articoli 327 e 330 c.p.c., per avere il Condominio notificato l’atto oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza, depositata il 14 settembre 2006, per cui il termine lungo sarebbe venuto a scadere il 1 novembre 2007, mentre e’ stato notificato – peraltro alle parti personalmente – solo il 3 novembre 2007, come risulta dall’esame del timbro apposto sull’atto, debitamente firmato dall’Ufficiale giudiziario del distretto del Tribunale di Napoli, recante l’indicazione della predetta data.

Cio’ posto, considerato che, a norma dell’articolo 327 c.p.c., allorche’ non sia intervenuta la notificazione della sentenza, il termine per proporre ricorso per cassazione e’ quello lungo, che decorre dalla data di deposito della pronuncia, la notificazione del ricorso per essere tempestiva sarebbe dovuta avvenire entro il 1.11.2007, ne derivano – questa e’ la conclusione dei controricorrenti – la tardivita’ della notifica dell’impugnazione e conseguentemente l’inammissibilita’ del ricorso de quo.

L’eccezione, pur fondata su rilievi corretti in punto di fatto, non merita pero’ di essere condivisa. All’uopo occorre osservare che la prima notificazione del ricorso risulta essere stata (vanamente) tentata dal Pubblico ufficiale il 29 ottobre 2007 presso i procuratori costituiti della (OMISSIS) e del (OMISSIS), non andata a buon fine in quanto l’Ufficiale giudiziario non aveva reperito gli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), nel luogo indicato dall’istante, a causa del trasferimento del loro recapito in altro luogo. Nella relata di notifica, l’Ufficiale giudiziario da conto puntualmente di non avere potuto notificare il ricorso perche’ i procuratori, secondo informazioni assunte in loco, si erano trasferiti. Nel medesimo momento in cui la notificazione del ricorso per cassazione non e’ andata a buon fine, l’Ufficiale notificante e’ stato messo in condizione di conoscere che i procuratori dei (OMISSIS) – (OMISSIS) avevano trasferito il loro studio legale altrove e poiche’ la successiva notificazione dell’atto e’ avvenuta in data 3 novembre 2012, ossia cinque giorni dopo, quando ormai era trascorso l’anno di cui all’articolo 330 c.p.c., e’ stata effettuata alle parti personalmente, con le modalita’ e nei luoghi di cui all’articolo 138 c.p.c. e ss..

Mette conto sottolineare che questa Corte, nei suoi arresti piu’ recenti, ha modificato il precedente orientamento, statuendo che in caso di esito negativo della notifica di un’impugnazione, non imputabile al notificante, il procedimento notificatorio puo’ essere riattivato e concluso, anche dopo il decorso dei relativi termini. Invero, se la notifica dell’atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, non si perfeziona per cause non imputabili al notificante, questi non incorre in alcuna decadenza ove provveda con sollecita diligenza (da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza) a rinnovare la notificazione, a nulla rilevando che quest’ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre il gravame (cfr Cass. n. 6547 del 2008). Successivamente sono intervenute anche le Sezioni Unite statuendo che, qualora la notificazione di atti processuali, da compiere entro un determinato termine perentorio, non si sia perfezionata per cause non imputabili al notificante, quest’ultimo ha la facolta’ e l’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avra’ effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreche’ la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (cfr Cass. SS.UU. n. 17352 del 2009 e n. 9046 del 2010). Dall’esame degli arresti sopra riportati, nella loro essenzialita’, appare pertanto evidente che la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte e’ tendenzialmente orientata in direzione di un maggiore e piu’ consapevole riguardo alle circostanze soggettive ed oggettive dalle quali sia dipeso il decorso infruttuoso dei termini di impugnazione, giungendo ad affermare il principio che e’ stato cosi’ massimato (v. Cass. 30 settembre 2011 n. 19986): “in tema di notificazione di un atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, qualora la notificazione non si sia perfezionata per cause non imputabili al notificante (quale, in particolare, l’avvenuto trasferimento del difensore domiciliatario, non conoscibile da parte del notificante) e l’ufficiale giudiziario abbia appreso, gia’ nel corso della prima tentata notifica, il nuovo domicilio del procuratore, il procedimento notificatorio non puo’ ritenersi esaurito ed il notificante non incorre in alcuna decadenza, non potendo ridondare su di lui la mancata immediata rinotifica dell’atto da parte dell’ufficiale giudiziario, non dipendente dalla sua volonta’, ove provveda con sollecita diligenza (da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza) a rinnovare la richiesta di notificazione, a nulla rilevando che quest’ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame”.

Nel caso che ci occupa, la rinnovazione della notificazione del ricorso per cassazione alle parti personalmente, decorso l’anno dal deposito della sentenza impugnata, e’ avvenuta ad appena cinque giorni dalla prima tentata notifica ed a distanza di soli due giorni dallo scadere del termine, sicche’ deve escludersi la decadenza dell’impugnante e la fondatezza dell’eccezione di inammissibilita’ dei controricorrenti.

Esaurita tale questione preliminare, deve ora rilevarsi che la prima doglianza svolta dal CONDOMINIO attiene alla violazione e falsa applicazione dell’articolo 404 c.p.c., comma 1, in relazione all’articolo 327 c.p.c., in quanto – ad avviso del ricorrente – la corte di merito avrebbe dovuto ritenere l’inammissibilita’ dell’opposizione di terzo per tardivita’, preliminarmente eccepita dal ricorrente, in quanto proposta a due anni dalla conoscenza della sentenza n. 6691/96, come emergeva dalla circostanza che la (OMISSIS) aveva ricevuto “a mani proprie” le notifiche del precetto e del ricorso ex articolo 612 c.p.c., dirette al coniuge in comunione dei beni. Questione che era stata sostanzialmente non affrontata dal giudice di appello, mentre il giudice di prime cure aveva spostato la tesi della inesistenza del termine per proporre opposizione del terzo nei casi di specie, nonostante si trattasse di questione esaminabile di ufficio, riguardando la procedibilita’ dell’azione, per cui afferisce a norme sottratte alla disponibilita’ delle parti. A culmine del mezzo viene posto il seguente quesito di diritto: “La Corte di legittimita’ e’ chiamata ad individuare il termine essenziale per la proposizione dell’opposizione di terzo ex articolo 404 c.p.c., comma 1. In particolare se esso decorra o meno dalla conoscenza che comunque il terzo abbia avuto dalla sentenza a lui pregiudizievole.

(Connesso e’ poi l’ulteriore) quesito se il giudice del merito debba o meno verificare di ufficio, anche in assenza di apposita eccezione, la sussistenza delle condizioni di proponibilita’ dell’impugnazione della sentenza; in particolare la sussistenza o meno del termine per proporre il gravame”.

Il motivo e’ immeritevole di accoglimento.

Sul piano generale si osserva che l’opposizione di terzo ordinaria, prevista dall’articolo 404 c.p.c., comma 1 puo’ essere proposta da qualsiasi terzo che ritenga la sentenza passata in giudicato, o comunque esecutiva, pronunciata “inter alios”, pregiudizievole dei suoi diritti. La relativa legittimazione a proporre tale impugnazione straordinaria presuppone, in capo all’opponente, la titolarita’ di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti e alla quale si ricollega la produzione del pregiudizio incidente negativamente sulla sua sfera giuridica (cfr, da ultimo, Cass. n. 9647 del 2007; Cass. n. 6179 del 2009 e Cass. n. 8888 del 2010). Il rimedio impugnatorio in discorso consente, quindi, di superare, in via eccezionale, le preclusioni del giudicato al solo fine di rimuovere il pregiudizio di un diritto autonomo del terzo, che questi non sia stato messo in grado di far valere nei riguardi delle parti della controversia sfociata nell’emissione della sentenza “pregiudizievole”, ma che egli avrebbe potuto in quel momento (ossia nel medesimo contesto, fattuale e normativo, considerato e cristallizzato dalla sentenza opponenda) viceversa far valere, ove avesse partecipato al giudizio.

Sulla scorta di tali presupposti la giurisprudenza di questa Corte ha, percio’, statuito che il termine per proporre opposizione di terzo desumibile dall’articolo 325 c.p.c., comma 1, avverso la sentenza passata in giudicato (o, comunque, esecutiva), e’ stabilito con esclusivo riferimento all’opposizione di terzo revocatoria prevista dall’articolo 404 c.p.c., comma 2, e non concerne l’opposizione di terzo ordinaria, il cui esercizio non trova altro limite che l’estinzione del diritto del terzo pregiudicato dalla sentenza pronunciata tra altre persone (cfr Cass. 24 novembre 2009 n. 24721).

Alla stregua di tali considerazioni la Corte partenopea ha correttamente, confermando sul punto la sentenza di primo grado (con la quale era stata accolta la domanda in opposizione ex articolo 404 c.p.c., comma 1, nella fase rescindente, salvo ritenere, nella fase rescissoria, che l’opera arrecava menomazione all’estetica, all’ariosita’ e alla luminosita’ dei piani sottostanti), ritenuto ricorrere ipotesi di opposizione di terzo ordinaria, essendo rimasto accertato inequivocabilmente in fatto che la (OMISSIS) aveva agito in qualita’ litisconsorte pretermesso rispetto alla sentenza n. 6691 del 1996 (passata in giudicato) del Tribunale di Napoli intervenuta tra il (OMISSIS) ed il Condominio, con la quale era stata disposta la demolizione della veranda realizzata sul lastrico di copertura, di cui era comproprieta’, unitamente al (OMISSIS) e nonostante non fosse stata evocata in detto giudizio.

A tal riguardo, quindi, in definitiva, risulta conforme ai richiamati principi giuridici la decisione della Corte territoriale con la quale e’ stato statuito che la (OMISSIS) (nella predetta qualita’) era, nel caso di specie, legittimata all’esperimento dell’impugnazione prevista dall’articolo 404 c.c., comma 1, vantando un diritto di proprieta’ autonomo ed insensibile al giudicato formatosi “inter alios” ed oggettivamente incompatibile con tale accertamento dal momento che il suo diritto di proprieta’ riceveva un concreto pregiudizio alla sua sfera giuridica dall’ordine di demolizione (donde la necessita’ della declaratoria dell’inopponibilita’ nei suoi confronti dei relativi effetti riflessi della sentenza oggetto di impugnazione) e il cui esercizio non poteva ritenersi consumato per intervenuta decadenza dai termini.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia error in judicando per violazione e falsa applicazione dell’articolo 156 c.p.c., comma 3, in relazione all’articolo 330 c.p.c., comma 3, oltre ad error in judicando per motivazione incongrua, contraddittoria e insufficiente. Deduce il Condominio che erroneamente la corte di merito ha ritenuto sanata ex tunc, con la sua costituzione, la notifica dell’atto di opposizione fatta al difensore costituito per lo stesso Condominio nel giudizio conclusosi con la sentenza opposta, questione che seppure marginale per il giudice di primo grado, che aveva rigettato l’opposizione nel merito, tale non era per quello distrettuale rilevando l’inesistenza dell’atto ai fini dell’ulteriore preclusione decadenziale alla proposizione dell’opposizione di terzo. A corollario del motivo e’ posto il seguente quesito di diritto: “Se la notificazione, oltre l’anno, di una citazione per opposizione di terzo al procuratore che rappresentava la parte convenuta nel giudizio conclusosi con la sentenza, oggetto di opposizione, passata in cosa giudicata, sia inesistente o nulla o valida. In ipotesi che la Corte ne stabilisca la inesistenza, se da detta data, attestante comunque la conoscenza della sentenza, decorra il termine iniziale per proporre l’opposizione di terzo ex articolo 404 c.p.c.. La Corte e’ chiamata poi a dirimere i problemi consequenziali: se tutta la fase processuale antecedente alla costituzione della parte opposta sia altrettanto inesistente”.

Anche detto motivo e’ privo di pregio.

Premesso che l’opposizione di terzo – per quanto gia’ sopra esposto – e’ compresa nel novero dei mezzi d’impugnazione (articolo 323 c.p.c.) e che la disciplina generale prevista circa il luogo di notificazione dell’impugnazione (articolo 330 c.p.c.) si applica, per quanto di ragione, anche in tema di opposizione di terzo, ne discende che l’impugnazione di cui all’articolo 404 c.p.c., deve essere notificata, in ogni caso dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza opposta (termine massimo della “perpetuatio” dell’ufficio difensivo e della dichiarazione di residenza o dell’elezione di domicilio effettuata nel giudizio) alle parti personalmente, a norma dell’articolo 137 c.p.c. e ss. (Cass. 23 ottobre 1983 n. 5651).

Osserva il Collegio che il denunciato vizio della notificazione dell’originario atto contenente l’opposizione concreta, pero’, una semplice nullita’, sanabile “ex tunc” qualora, come e’ avvenuto nella fattispecie, la controparte si sia costituita ed abbia confutato le ragioni esposte nell’opposizione, dimostrando cosi’ di aver preso cognizione, attraverso la notificazione, del contenuto degli atti (cfr. Cass. 23 settembre 1986 n. 5705 e 30 settembre 1984 n. 5558). Infatti la nullita’ della notifica di un atto di impugnazione e’ sanata, per raggiungimento dello scopo, dalla costituzione in giudizio del destinatario (articolo 156 c.p.c.) e la sanatoria retroagisce al momento del compimento della notifica viziata, rendendo cosi’ tempestiva l’impugnazione (gia’ Cass. 21.4.1994 n. n. 3795; Cass. 11.11.1992 n. 12125).

Con il terzo motivo e’ denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1127 c.c., comma 3, nonche’ contraddittorieta’ ed insufficienza della motivazione nel merito, oltre ad error in procedendo per vizio di extrapetizione, violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c.. In particolare il ricorrente deduce la contraddittorieta’ della motivazione perche’ il giudice distrettuale da un lato afferma la utilizzabilita’ della c.t.u., ma per altro verso contesta al ricorrente un difetto di prova; insiste, inoltre, nella falsa applicazione dell’articolo 1127 c.p.c., comma 3, laddove ha tautologicamente escluso il pregiudizio estetico, oltre ad avere attribuito al consulente tecnico di ufficio conclusioni difformi da quelle assunte. Il motivo a conclusione pone il seguente quesito di diritto: “Se il Giudice d’appello senza violare il principio contenuto nella norma di cui all’articolo 115 c.p.c., possa ritenere carente di prova la parte che ha prodotto in primo grado una c.t.u. espletata in altro processo tra le stesse parti, consulenza utilizzata dal giudice di primo grado e poi utilizzata anche dal giudice d’appello:

Se il giudice possa, senza violare il principio di cui alla norma contenuta nell’articolo 112 c.p.c., valutare diversamente i dati acquisiti in primo grado senza dare una contezza critica ed esatta degli elementi probanti, in base ai quali e’ pervenuto ad una diversa valutazione”.

Pure detto motivo e’ da rigettare in quanto nella sostanza costituisce censura alla valutazione probatoria effettuata dalla corte di merito e non ha alcuna attinenza con la denunciata violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c..

La corte di merito, infatti, con valutazione in fatto, ha ritenuto di condividere le conclusioni raggiunte dal c.t.u. nella relazione peritale del 10.2.1990, che ha escluso la esistenza di un pregiudizio estetico, nonche’ all’ariosita’ o alla luminosita’ dei piani sottostanti giacche’ la costruzione realizzata dai controricorrenti, avuto riguardo alla sua modesta altezza, in realta’, consisteva in uno stenditoio, non destinabile ad uso abitazione. Del pari era meramente ipotetico il pregiudizio architettonico, apparendo il manufatto realizzato in profilati metallici e con copertura a lastre prefabbricate nell’ambito di un edificio progettato in c.a..

Trattasi di una valutazione fattuale sull’effettiva esistenza del pregiudizio lamentato che, essendo rimessa esclusivamente al giudice di merito, sfugge al sindacato di legittimita’ di questa Corte, non presentando vizi di motivazione rilevabili in questa sede.

In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di cassazione poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi.

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