L’esenzione dall’imposizione del passaggio (peraltro non assoluta) di case, cortili, giardini ed aie prevista dall’ultimo comma dell’art. 1051 c.c., non è estensibile oltre i casi espressamente previsti.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 luglio – 11 ottobre 2013, n. 23160
Presidente Triola – Relatore Piccialli
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 6.7.1996 Lu..Gu. , M.M.P. , R..F. , I..L. , Fr.Gi. , S..P. , M.L..S. e S.R. , proprietari degli immobili siti nel fabbricato condominiale c.d. (omissis) , citarono al giudizio del locale tribunale G..G. , proprietario di un fondo confinante, nonché A..B. , titolare di un’impresa edile, quale ritenuto esecutore dell’intervento di seguito indicato sub b), chiedendo: a) accertarsi l’esistenza di una servitù di passo pedonale e carrabile, a favore del condominio, costituita per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, sulla strada privata di collegamento, attraverso l’area di proprietà del convenutola le vie R. e L. , lamentando l’avvenuta chiusura degli accessi da parte del G. ed instando per il ripristino del relativo esercizio; b) condannarsi quest’ultimo al ripristino della pavimentazione in cemento di una striscia di terreno, di assunta proprietà del condominio, ascrivendone la demolizione, avvenuta tra gennaio e febbraio 1995 al B. su incarico del G. ; c) condannarsi entrambi i convenuti in solido al risarcimento dei danni. Costituitisi i convenuti, chiesero ciascuno il rigetto della domande, il B. eccependo di essere stato incaricato del lavoro dall’attore Gu. , il G. negando l’esistenza della servitù, segnatamente opponendo la natura cortilizia dell’area oggetto della pretesa, mentre della striscia di suolo di cui sub b) si assumeva esclusivo proprietario, quanto meno per usucapione. All’esito di istruttoria orale e consulenza tecnica il Tribunale di Verona con sentenza n. 987 del 2003 dichiarò l’esistenza della pretesa servitù, in quanto costituita per destinazione del padre di famiglia ed esercitata per oltre venti anni dai partecipanti al condominio, fino all’epoca della chiusura posta in essere dal G. , condannando quest’ultimo a consentire agli attori il libero transito attraverso i cancelli terminali, accertò inoltre l’appartenenza al condominio della striscia di terreno, già pavimentata, dichiarando al riguardo che nessuna domanda di usucapione il convenuto aveva formulato, rigettò la domanda risarcitoria nei confronti del B. , ritenendo che avesse agito per ordine altrui, condannando il solo G. al pagamento della somma occorrente per il ripristino della pavimentazione, regolò, infine, le spese secondo soccombenza. Proposti appelli, principale dal G. , resistito dagli appellati, ad eccezione
della Fr. e del B. rimasti contumaci, incidentale da parte del Gu. e della M. (per la quantificazione in Euro 2065,83 della spesa occorrente per il ripristino della pavimentazione), la Corte di Venezia con sentenza del 21.11.06, pubblicata il 26.3.07, accoglieva parzialmente il gravame principale e rigettava l’incidentale, eliminando la condanna relativa al pagamento delle spese per il ripristino della pavimentazione della striscia di terreno condominiale, ritenendo testimonialmente provato che la relativa rimozione fosse avvenuta per ordine del condominio stesso, o comunque, del Gu. , rigettava nel resto l’appello del G. , condannandolo al pagamento dei due terzi delle spese del doppio grado del giudizio, per il restante terzo compensate. La conferma della decisione di primo grado sui rimanenti capi veniva motivata nei seguenti essenziali termini: 1) non vertendosi in ipotesi di costituzione coattiva, ma di accertamento di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, non era fondatamente eccepibile, ai fini dell’esenzione ex art. 1051 u.c. cod.civ., la natura cortilizia dell’area, essendo invece rilevante il requisito dell’apparenza; 2) sotto tale ultimo profilo, peraltro, le accertate (come da documentazione fotografica) e risalenti caratteristiche dell’area, delimitata sui lati opposti da due cancelli e connotata da un tracciato sterratole evidenziavano l’effettiva natura di strada, tale qualificata anche in atti e accertamenti delle autorità locali ed in una sentenza pretorile possessoria (del 14.3.95); 3) la pregressa appartenenza di entrambi i fondi in contesa ad un originario unico proprietario, dante causa comune delle parti, l’indicazione della strada interna nel piano di lottizzazione da lui predisposto e la relativa conservazione dell’assetto dei luoghi all’atto del frazionamento del compendio, integravano gli estremi della citata fattispecie costitutiva della servitù, peraltro successivamente e di fatto esercitata, come da prova testimoniale, per oltre un ventennio dagli appartenenti al condominio; 4) inammissibili, perché tardivamente proposte soltanto in comparsa conclusionale, erano le eccezioni contestanti l’accessio possessionis e l’insussistenza dell’utilitas, comunque essendo palese quest’ultimo requisito, consentendo la strada al condominio il vantaggio di un diretto collegamento tra due pubbliche vie; 5) altrettanto fondata era la domanda relativa alla striscia di terreno, la cui appartenenza al condominio, in difetto di altri contrari elementi, doveva ritenersi sulla base della situazione catastale, evidenziante quale confine tra i due suoli l’allineamento del ciglio del marciapiede, poi demolito, con lo spigolo nord del pilastro di accesso alla proprietà G. , conclusione confortata anche dal riscontro in un frazionamento redatto nel 1952, quando l’intero compendio apparteneva all’originario unico proprietario, in cui la porzione dell’area risultava graficamente descritta; 6) infondata, infine, era risultata l’eccezione di usucapione (tale soltanto proposta nella comparsa di costituzione e risposta dal G. , che soltanto in sede di conclusioni aveva, inammissibilmente, formulato la domanda riconvenzionale), non avendo il convenuto provato l’esercizio di alcun esclusivo potere di fatto sulla striscia di suolo e risultando irrilevante che la stessa fosse stata, tra il 1986 ed il 1987, lasciata all’esterno della recinzione dello scoperto condominiale, tanto più che era stata, come riferito dai testi, sistematicamente utilizzata dai vari condomini quale area di parcheggio, e, prima di essi, da abitanti di altri edifici antistanti, collocandovi anche piante.
Avverso tale sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi. Hanno resistito, con distinti controricorsi, il F. , il P. , la L. e S.M.L. , nonché il Gu. e la M. , proponendo questi ultimi ricorso incidentale.
Non hanno svolto attività difensive, benché intimati, la F. e R..S. .
Sono state infine depositate memorie illustrative per il G. e per i Gu. – M. .
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi. Ancora in via preliminare, va disattesa l’eccezione sollevata nella memoria del G. , con riferimento alla validità del mandato difensivo conferito dai controricorrenti Gu. e M. , per essere stata la relativa sottoscrizione autenticata soltanto da uno dei tre difensori, l’avv. Cerutti, non abilitato al patrocinio in cassazione.
Tale eccezione risulta superata, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la mancata certificazione dell’autografia della sottoscrizione del mandato rappresentativo e difensivo apposto in margine o in calce al ricorso per cassazione, costituisce una mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura ad litem, non essendo tale invalidità comminata dalla legge, né incidendo sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto, individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con valide ragioni e prove, l’autografia della firma (v. sez. 2^, n. 27774/12 ed, in precedenza, S.U. n. 10732/03, relativa ad un caso in cui, come nella specie, l’autenticazione era stata apposta soltanto da un avvocato non patrocinante in cassazione, ma il ricorso risultava firmato anche da altro difensore validamente abilitato, che si era poi costituito in giudizio).
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce “violazione dell’art. 1051 c.c., nonché erronea e/o insufficiente motivazione, per non aver applicato il divieto di costituzione delle servitù coattive sull’area cortilizia del G. “, sostenendosi che lo stesso, in mancanza di alcun accordo tra le parti (nella specie escluso con sentenza n. 1938/1998 del Tribunale di Verona, intervenuta tra il P. ed il Fl. ), sarebbe applicabile “anche in caso di mancata interclusione del fondo dominante…qualora il proprietario del suddetto fondo agisca in giudizio per ottenere un più comodo collegamento tra vie pubbliche sulla proprietà del ricorrente” (v. quesito ex art. 366 bis).
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto frutto di confusione concettuale tra l’azione dichiarativa della servitù già sussistente, in virtù di acquisto a titolo originario, quale è la destinazione del padre di famiglia prevista dall’art. 1062 c.c., e quella ex art. 1051 c.c., diretta alla pronunzia di natura costitutiva, con la quale la servitù, sussistendone le condizioni, viene coattivamente imposta sul fondo da asservire, in virtù del provvedimento del giudice, che invece nella prima ipotesi – come nella specie – ha soltanto natura di accertamento, ricognitivo di una situazione di assoggettamento di un fondo all’altro per utilità di quest’ultimo, già esistente nel mondo giuridico. Solo alla seconda ipotesi si riferisce l’esenzione (peraltro non assoluta) di case, cortili, giardini ed aie prevista dall’ultimo comma dell’art. 1051 c.c., con disposizione di carattere eccezionale, come tale non estensibile oltre i casi espressamente previsti.
Palesemente inconferente è, altresì, in considerazione della natura originaria e non convenzionale del titolo dell’accertata servitù, il profilo di censura deducente la mancanza di accordo tra le parti che sarebbe stato accertato con la citata sentenza del 1998.
Con il secondo motivo si censura, per violazione degli artt. 1061 c.c. e 116 c.p.c. e per connessa erroneità ed insufficienza di motivazione, l’accertamento del requisito dell’apparenza delle pretesa servitù, sostenendo che l’area interessata sarebbe soltanto un cortile interno recintato chiuso da due cancelli ed inaccessibile a terzi, priva di alcun tracciato stradale.
Il motivo non merita accoglimento, risolvendosi nella inammissibile formulazione di censure in fatto, avverso l’accertamento congruamente motivato dai giudici di merito.
La corte di merito, in particolare, basandosi essenzialmente sulle caratteristiche dell’area evidenziate dalle fotografie e dalle stesse testimonianze, pur dando atto che alcuni testi l’avevano qualificato “corte” o “cortile”, ha tuttavia ritenuto non decisiva tale definizione, non essendo in concreto la stessa assolutamente incompatibile con l’assoggettamento dell’area al passaggio, desumendo il carattere dell’apparenza, in relazione alla relativa servitù, sia dalla esistenza di un evidente tracciato stradale, in passato sterrato, all’interno dell’area, sia dalla stessa esistenza dei due cancelli alle estremità del percorso, in precedenza non chiusi, che consentivano il collegamento tra le due strade pubblicherà vie (OMISSIS) (su cui affaccia il condominio) e la via (OMISSIS), attraverso un percorso interno a quello che, in origine, era un unico fondo.
Tale situazione evidenziava una, quanto meno concorrente, destinazione del tracciato suddetto al passaggio dall’una all’altra estremità dell’area, poi frazionata lasciando immutato l’assetto in questione, con conseguente asservimento ex art. 1062 c.c. al transito di una parte, a vantaggio dell’altra, su cui si è poi insediato il condominio.
Tale ricostruzione dello stato dei luoghi e delle relative vicende, in quanto integrante un accertamento di merito esente da lacune o vizi logici, è incensurabile in sede di legittimità.
Il terzo motivo, con il quale si censura per violazione degli artt. 1144 c.c. e 116 c.p.c., nonché per erronea valutazione delle risultanze probatorie, l’accertamento del prolungato possesso ad usucapionem, essendo in realtà il passaggio riferito dai testi avvenuto per mera tolleranza, è inammissibile per difetto d’interesse, censurando una ratio decidendi subordinata e, pertanto, ultronea, che la corte ha ritenuto di dover aggiungere, a guisa di obiter dictum, a quella confermata e decisiva, della pregressa costituzione per destinazione del padre di famiglia del diritto reale, in cospetto della quale non sarebbe stato anche necessario il successivo prolungato esercizio del possesso da parte dei soggetti che ne erano già titolari dall’epoca del frazionamento del fondo originariamente unico, o dagli aventi causa di costoro.
Il quarto motivo, con il quale si censura, per violazione dell’art. 1027 c.c., la ritenuta sussistenza dell’utilistas che nella specie sarebbe stata erroneamente individuata in un vantaggio meramente personale dei condomini e non del condominio, già dotato di un comodo accesso alla pubblica via e privo di porte o garage comunicanti con l’area del G. , è privo di fondamento.
Il requisito dell’utilità non va confuso con quello della necessità, per cui può consistere anche nella maggiore comodità, che l’asservimento di un fondo procuri agli utenti dell’altro Nella specie, sulla base di accertamento di fatto non censurabile in questa sede, i giudici di merito hanno evidenziato come il tracciato stradale in questione, avente uno dei due estremi sulla via (OMISSIS), in corrispondenza del condominio, consenta ai componenti di quest’ultimo l’agevole raggiungimento anche dell’altra strada pubblica, assicurando così, conformemente alla destinazione impressa dall’originario unico proprietario dei fondi, una possibilità di uscita alternativa, palesemente vantaggiosa per la collettività condominiale, non limitata soltanto a taluni partecipanti alla stessa.
Il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 342 c.p.c., 2909 c.c. ed omessa motivazione, per non avere la corte affrontato la questione, sollevata sia in primo, sia in secondo grado, del giudicato costituito dalla sentenza n. 1938/98 del Tribunale di Verona, prodotta in copia, che pronunziando tra Fl.Gi. , originario proprietario dei “vecchi fabbricati” e successivamente, di un solo appartamento nel condominio XXXXXXX, poi venduto a P.S. , aveva negato al primo la titolarità del diritto di passaggio sul cortile, chiuso dal secondo.
Anche tale motivo va disatteso, tenuto conto che, non avendo al precedente giudizio partecipato tutti i condomini attori nel successivo, o il condominio, ma soltanto un soggetto che si assume dante causa di uno dei predetti (del P. ), l’efficacia preclusiva avrebbe potuto al più verificarsi soltanto nei confronti di quest’ultimo, ove nella sentenza fosse stato rinvenibile un accertamento sull’insussistenza del diritto di servitù. Ma tale accertamento negativo neppure vi fu, poiché, come si rileva dal contenuto della sentenza, che pur da atto dell’esistenza del passaggio, la domanda di Gi..Fl. venne respinta non perché fosse stato escluso l’asservimento di un fondo all’altro, ma soltanto perché il medesimo (come l’altro attore Um..Fl. ) non era stato in grado di provare la propria legittimazione a rivendicarlo, non avendo fornito alcuna prova del diritto di proprietà sugli “appezzamenti di terreno serviti dal passaggio in questione”, della cui esistenza dunque il giudice aveva dato atto. Il sesto motivo, con il quale si censura per violazione degli artt. 345 c.p.c. e 1146 co. 2 c.c., con connessi vizi di motivazione, la ritenuta inammissibilità dell’eccezione deducente l’insussistenza dei requisiti dell’accessio possessionis ai fini dell’usucapione della servitù, è inammissibile per difetto d’interesse, per le stesse ragioni esposte con riferimento al terzo motivo Con il settimo motivo si deduce violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1146 c.c., per erronea valutazione delle prove in ordine alla proprietà della striscia di terreno, attribuita al condominio, e per mancata applicazione del principio dell’accessio possessionis tra il G. ed il suo dante causa, al riguardo sostenendo che le risultanze istruttorie avrebbero evidenziato che tale striscia di terreno non avrebbe potuto essere utilizzata dai componenti del condominio XXXXXXX, non avendovi alcuna possibilità di accesso, come anche prima della costituzione del condominio, mentre l’unica testimonianza favorevole alla tesi attrice sarebbe stata imprecisa; Per converso sarebbe risultato dimostrato che soltanto il G. , e prima di lui il suo dante causa, avrebbero posseduto la suddetta area da tempo immemorabile.
Si confuta, infine, con il finale quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., la possibilità da parte delle giudice di merito di porre a fondamento del proprio convincimento un frazionamento contenuto in una consulenza tecnica svoltasi in un diverso giudizio.
Il motivo è inammissibile, perché, a parte la inadeguatezza del quesito, attinente soltanto ad uno dei vari elementi probatori utilizzati dai giudici di merito, pur denunciando la violazione di norme di diritto, si risolve, in realtà, nell’esposizione di palesi censure in fatto avverso la valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla corte territoriale.
Quest’ultima (come già il primo giudice), nel contesto di una situazione di obiettiva incertezza in ordine al confine tra le due proprietà provenienti da un unico originario compendio immobiliare (circostanza che, anche in tema di rivendicazione comporta, per la ben nota e consolidata giurisprudenza di legittimità, l’attenuazione del relativo rigore probatorio), ha ritenuto, con adeguata motivazione esente da vizi logici e conforme al dettato di cui all’art. 950 c.c., di individuare la linea di demarcazione tra i due fondi non solo sulla base di un frazionamento redatto dal comune dante causa delle odierne parti, ma anche da una serie di altri elementi di prova, di cui ha dato ampio conto nella articolata motivazione e che non hanno formato oggetto di specifiche censure nel mezzo d’impugnazione, con il quale, oltre a formulare la menzionata infondata censura corrispondente al quesito, si tenta, per il resto, di accreditare, segnatamente con riferimento all’esito della prova orale, una valutazione, ai fine dell’eccezione di usucapione, delle relative risultanze diversa da quella esposta, in termini esaurienti e coerenti, dalla corte di merito.
Con l’ottavo motivo si censura per violazione degli artt. 167 e 189 c.p.c. e, quindi, per erronea valutazione del contenuto della comparsa di costituzione e risposta, l’esclusione della “domanda di usucapione” che, “anche se in via di eccezione”, sarebbe stata ivi “ritualmente formulata”, per poi essere “altresì, confermata in sede di precisazione delle conclusioni”.
Il motivo, di non agevole comprensione, resta assorbito dalla reiezione del precedente, laddove si è dato atto che la corte, pur dando correttamente atto che la domanda riconvenzionale in questione era stata abbandonataci è fatta tuttavia carico di esaminare, correttamente rigettandola, la corrispondente eccezione.
Il ricorso principale, conclusivamente, va respinto.
Con il ricorso incidentale il Gu. e la M. deducono “omessa o insufficiente motivazione” in ordine al fatto controverso e decisivo, ai fini della disattesa domanda risarcitoria, costituito dall’ordine all’impresa B. di demolire la pavimentazione in cemento (dalla corte di merito confermata di appartenenza condominiale), che secondo la sentenza impugnata sarebbe stato impartito dal Gu. , per conto del condominio, e non invece dal G. , come sostenuto dagli attori.
Si lamenta, in particolare, la mancata valutazione di altre due testimonianze che sarebbero state di segno contrario rispetto a quelle menzionate dalla corte di merito).
Trattasi tuttavia, come si rileva dal riportato tenore letterale, di deposizioni non decisive, in quanto una (quella resa da Fl.Gi. ) de relato, l’altra (quella fornita da Fl.Fe. )
assolutamente generica (“mi risulta che”), la cui mancata valutazione da parte della corte di merito non può inficiarne il relativo giudizio, assolutorio del convenuto G. dalla domanda risarcitoria, considerato che la maggiore attendibilità delle altre due, valorizzate, testimonianze di segno contrario, risulta giustificata dalla considerazione che le stesse, ammissive della provenienza condominiale dell’ordine in questione, provenissero proprio da stretti congiunti di due condomini (da un figlio del Gu. e dalla madre delle S. ).
In ogni caso, l’eventuale contrasto tra le testimonianze di segno opposto, avrebbe comunque comportato, in un contesto di palese incertezza probatoria, il rigetto del capo di domanda in questione, in virtù del principio actore non probante, reus absolvitur.
Va pertanto respinto anche il ricorso incidentale.
Tenuto conto, infine, dell’esito del giudiziose spese vanno totalmente compensate, per reciproca soccombenza, tra il ricorrente principale G. ed i ricorrenti incidentali Gu. / M. , mentre il primo, totalmente soccombente nei confronti degli altri controricorrenti, va condannato al rimborso delle stesse a tali parti.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta sia quello principale, sia l’incidentale, dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra G..G. , Lu..Gu. e M.M.P. e condanna il G. al rimborso, in favore degli altri controricorrenti, di tali spese, che liquida in misura di complessivi Euro 3.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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