E’ affetta da nullità, che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia nella stessa espresso voto favorevole, e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall’art. 1137 c.c., la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell’interesse comune. E ciò, in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca.
condominio ripartizione spese
Cass. 14 giugno 2013, n. 15042
Svolgimento del processo
…., con atto di citazione dell’11 settembre 1997 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di
Caltanissetta il condominio di …. , chiedendo che venisse dichiarata nulla o, comunque, venisse
annullata e/o dichiarata inefficace la delibera assembleare del 9 settembre 1997 in ordine alla
quale l’attore aveva conferito delega di partecipazione ad altro condomino ex amministratore
dello stabile. Deduceva l’attore che il Condominio deliberando sul punto n. 4 dell’ODG
“chiarimenti delibera assembleare 16 giugno 1992 riflettente la maggiorazione quote
millesimali relativi agli appartamenti adibiti ad uffici”, aveva in effetti proceduto ad un aumento
delle quote millesimale deliberando quindi su un oggetto non rientrante e/o comunque non
sufficientemente indicato nell’ODG. Deduceva comunque l’inefficacia della delibera n quanto la
delega all’ex amministratore non comprendeva l’aumento della ripartizione delle spese.
Deduceva comunque l’annullabilità della delibera perché adottata sulla base della volontà
manifestata dall’ex amministratore delegato in conflitto di interessi con l’attore atteso che lo
stesso essendo condomino aveva tratto vantaggio dalla deliberata maggiorazione millesimali
per gli immobili adibiti ad ufficio atteso che tale maggiorazione comportava una diminuzione
delle quote degli altri appartamenti, la nullità della delibera perché aveva adottato una
ripartizione delle spese non conforme a legge. Si costituiva il Condominio, chiedendo il rigetto
delle domande attoree. Il Tribunale di Caltanissetta con sentenza n. 237 del 2001 rigettava la
domanda, rilevando che il termini chiarimenti sulla precedente delibera del 1992 termine
contenuto nell’ODG per la sua ampiezza comprendeva n sé anche la possibilità di aumentare le
quote stesse, per altro la delega conferita dall’attore per farsi rappresentare non conteneva
alcuna limitazione e pertanto la volontà espressa dal rappresentante era pienamente valida ed
efficace. Avverso questa sentenza proponeva appello …. . Non si costituiva il Condominio. La
Corte di Appello di Caltanissetta rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.
Dichiarava non ripetibili nei confronti del Condominio le spese processuale del grado. Secondo
la Corte nissena l’assemblea, come emerge dal verbale di assemblea del 9 settembre 1997 si è
mantenuta nell’ambito del punto indicato nell’ODG avendo limitato l’oggetto del dibattito al
contenuto della delibera del 16 giugno 1992, non determinando aumenti di quote millesimali
non deliberate in precedenza, dato che il 16 giugno 1992 sul punto che qui interessa
l’assemblea condominiale aveva deliberato “..) per quanto riguarda le spese relative alla
tabella B e C tenuto conto dell’uso differenziato della civile abitazione per effetto della presenza
degli uffici pubblici di un contributo pari al doppio della quota spettante, conseguentemente
veniva eliminato il contributo del 30% della tabella C a suo tempo deliberato. La cassazione di
questa sentenza è stata chiesta da L.P.F. per quattro motivi. Il Condominio …. in questa fase
non ha svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
…. lamenta: a) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 e 1137 cc
(Art. 360 n. 3 c.p.c.). Avrebbe errato la Corte nissena nel non aver valutato la validità della
delibera del 9 settembre 1997 perché, anche se meramente ricognitiva, come ha ritenuto la
Corte territoriale, della delibera precedente, avrebbe dovuto essere, comunque, valutata nella
sua validità. In buona sostanza sostiene il ricorrente, non può una delibera ritenersi valida solo
perché ricognitiva di precedente delibera nel momento in cui il suo contenuto viola norma di
legge e, quindi, è affetta da nullità. Né tanto meno il suo contenuto può considerarsi valido così
illecitamente sanando una precedente delibera nulla. In realtà, specifica il ricorrente, nel
momento in cui L.P. ha censurato la delibera del 9 settembre 1997 che aveva secondo la Corte
nissena assunto valore meramente cognitivo di una precedente delibera che a sua volta era
fissato una maggiorazione diversa rispetto a quella predisposta dall’amministratore, non ci si
poteva esimere dal valutare se la delibera impugnata violasse disposizioni di legge. Di nessun
rilevo sarebbe, secondo il ricorrente, la circostanza che il P. non avesse impugnato la
precedente delibera, atteso che al momento della notifica dell’atto di citazione riteneva non
correttamente interpretata la stessa precedente delibera anche se affetta da nullità e di cui si
riservava, se del caso, l’impugnazione. In ragione di ciò, il ricorrente pone il seguente quesito
di diritto: se una delibera condominiale anche se ricognitiva di una precedente delibera
assembleare, possa dichiararsi valida, ovvero vada dichiarata nulla ove, comunque, il suo
contenuto non sia conforme alle tabelle millesimali esistenti ovvero violi il disposto dell’art.
1123 cc. in ordine alla ripartizione delle spese dei condomini, in mancanza del consenso
unanime di tutti i condomini e, ciò anche se il condomino abbia partecipato all’assemblea (per delega) ed ancorché abbia espresso voto favorevole. b) con il secondo motivo: l’insufficiente
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e segg. cc. (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.). Secondo il ricorrente
avrebbe errato la Corte nissena nell’aver attribuito al deliberato del punto 4 dell’ordine del
giorno natura ricognitiva della precedente delibera del 16 giugno 1992 atteso che dal
contenuto esplicito dello stesso deliberato che si tratta di una diversa interpretazione della
volontà assembleare rispetto a quella operata dall’amministratore nella redazione dei bilanci
consuntivi da esaminare ed approvare al punto 1 dell’ordine del giorno. Piuttosto, la Corte
territoriale, sostiene il ricorrente, nell’interpretare la delibera assembleare avrebbe dovuto
indagare la comune intenzione dei presenti che, invero, apparirebbe essere non quella di
operare una mera ricognizione della precedente delibera in data 16 giugno 1992, quanto
invece di interpretare quest’ultima delibera in modo difforme rispetto a come l’aveva
interpretata l’amministratore che aveva elaborato i prospetti di bilancio a consuntivo e che, per
altro, l’aveva a suo tempo votata, così votata. Pertanto, conclude il ricorrente, dica l’Ecc. ma
Corte, se il contenuto di una delibera di assemblea condominale vada interpretato facendo
ricorso ai criteri di cu agli artt. 1362 cc. e quindi non limitandosi al contenuto letterale quando,
invece, indagando la comune intenzione delle parti presenti valutando il loro comportamento
complessivo anche posteriore. c) con il terzo motivo: la violazione e falsa applicazione dell’art.
1421 cc. (art. 360 n. 3 c.p.c.). Avrebbe errato la corte di Caltanissetta secondo il ricorrente,
nell’aver ritenuto che al delibera in data 9 settembre 1997 non poteva essere affetta da nullità
per mancanza del quorum necessario e in ogni caso che non si versasse in ipotesi di nullità per
mancanza di quorum necessario alla modifica della ripartizione delle spese e, pertanto nell’aver
ritenuto l’impugnazione inammissibile non essendo stato il l.P. condomino dissenziente, dato
che la nullità ex art. 1421 c.c. può essere proposta da chiunque vi abbia interesse e anche dal
condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla deliberazione impugnata
purché alleghi e dimostri di avervi interesse. Pertanto, conclude il ricorrente dica, l’Ecc. ma
Corte: se la delibera dell’assemblea condominiale nulla o, comunque accertata la nullità di una
delibera condominiale, l’impugnazione possa essere operata dal condomino che ha partecipato
all’assemblea e che abbia votato favorevolmente. d) 3. Con il quarto motivo il ricorrente
lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 cc. nonché insufficiente motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). 1) Avrebbe
errato la Corte nissena, secondo il ricorrente, nell’aver escluso che tra il delegato geom. G. e il
delegante L.P. non vi fosse un conflitto di interessi perché dalla deliberazione di cui al punto 4
dell’ODG il G. otteneva un indubbio vantaggio patrimoniale per la conseguente riduzione degli
oneri condominiali di cui alla tabella B e C, essendo egli stesso condomino. Pertanto, conclude
il ricorrente dica la Suprema Corte: se il conflitto di interessi del rappresentante rispetto al
rappresentante operi anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia esatta conoscenza del punto
all’ORD per cui ha delegato il rappresentante (sul presupposto, anche che comunque non è
prevedibile al momento del conferimento della delega l’esatta portata del voto da esprimere da
parte del rappresentante. 2) E di più, secondo il ricorrente la motivazione con la quale la Corte
territoriale avrebbe escluso il conflitto di interessi tra delegato delegante, sarebbe insufficiente,
considerato che non può escludersi un conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato
solo perché il rappresentante fosse a conoscenza dei criteri di ripartizione di spesa adottati nei
consuntivi del 1992/1993 al 1996/1997 e dell’esatta portata del punto 4 dell’ODG perché non
era prevedibile al momento del conferimento della delega l’ambito del voto da esprimere e,
quindi che lo stesso potesse adottarsi in conflitto di interessi atteso che se i chiarimenti si
fossero limitati all’applicazione della maggiorazione solo in caso di utilizzo degli appartamenti
ad uffici pubblici nessun conflitto sarebbe sorto, mentre avendo determinato un incremento
della maggiorazione della quota rispetto a quella di cui alla ripartizione di spesa operata dal
delegato con un vantaggio patrimoniale per il delegato e la di lui moglie non possa ritenersi
sufficiente la motivazione che abbia escluso il conflitto di interesse.
1.1. Vanno preliminarmente ed unitariamente esaminati, il primo e il terzo motivo, sia per la
pregiudizialità rispetto agli altri motivi e, insieme, per l’innegabile connessione che esiste tra gli
stessi. Ed entrambi i motivi, primo e terzo sono fondati. Intanto, è appena il caso di osservare
che deve ritenersi affetta da nullità (che può essere fatta valere dallo stesso condomino che
abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia nella stessa espresso voto favorevole), e quindi
sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall’art. 1137 c.c., la delibera
dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino
i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell’interesse comune. Ciò, in quanto eventuali deroghe, venendo ad
incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della
parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui
egli aderisca. In tal senso è il costante orientamento di legittimità, che il Collegio pienamente
condivide e dal quale non ravvisa, comunque, ragione alcuna per discostarsi (ex plurimis,
Cass. 17101 del 27/07/2006).
1.1.a). Ora, nel caso in esame la delibera del 9 settembre 1997, come correttamente ccepisce
il ricorrente, è nulla: a) sia ove si intenda attribuire a questa delibera una natura “ricognitiva”
di una precedente delibera, ovvero, della delibera del 16 giugno 1992, dato che la delibera del
16 giugno 1992 proprio perché avrebbe deliberato di modificare il criterio legale di
determinazione delle quote di partecipazione alle spese condominiali, di cui all’art. 1123 c.c. a
maggioranza sia pure qualificata e non all’unanimità, era nulla; b) sia ove si intenda attribuire
alla delibera del 9 settembre 1997, una piena autonomia, per la stessa e assorbente ragione
che si è appena detto, dato che anche questa delibera finirebbe con il modificare il criterio
legale di determinazione delle quote di partecipazione alle spese condominiali, di cui all’art.
1123 c.c. a maggioranza sia pure qualificata e non invece, come sarebbe stato necessario
all’unanimità dei condomini.
1.1.b). In realtà, avendo il L. censurato la delibera del 9 settembre 1997, che secondo la
Corte nissena aveva assunto un valore meramente ricognitivo della precedente delibera del 16
giugno 1992, la Corte territoriale avrebbe dovuto – e non sembra lo abbia fatto – verificare se
la delibera cui quella in esame si ricollegava presentasse il lamentato vizio di nullità.
Ininfluente era la circostanza che il L. non avesse impugnato la precedente delibera né la
circostanza che il L. stesso aveva contribuito favorevolmente all’approvazione delle delibere del
16 giugno 1992 e del 9 settembre 1997, atteso: 1) che le delibere mille essendo tanquam non
esset (come se non fossero mai state prese), sono impugnabili dai condomini in qualsiasi
momento, senza alcun vincolo temporale e la nullità può e deve essere rilevata anche d’ufficio
ed, in particolare, nell’ipotesi in cui una delibera nulla sia evocata direttamente o
indirettamente nel giudizio di che trattasi.
2) che ai sensi dell’art. 1421 cc. le azioni di nullità relative alle delibere condominiali possono
essere proposte da chiunque vi abbia interesse e anche dal condomino che abbia partecipato
con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla purché alleghi e dimostri di
avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio
non operando nel diritto sostanziale la regola propria della matteria processuale secondo cui
chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere (Cass. n. 9562 del 1997), e, il L.
aveva dato prova di essere proprietario di immobili adibiti ad uso ufficio e che dalla
maggiorazione delle spese condominiali deliberate avrebbe subito un serio pregiudizio sia
perché i maggiori costi avrebbe potuto disincentivare le relative locazioni sia perché come
proprietario aveva l’obbligo del pagamento in caso di morosità del conduttore.
2. L’accoglimento del primo e terzo motivo determina l’assorbimento degli altri motivi atteso
che: a) con il secondo motivo si insite sull’annullabilità della delibera del 1997 in quanto il suo
contenuto era estraneo all’ordine del giorno, e b) con il quarto motivo si deduce l’annullabilità
della delibera del 1997 sotto il profilo che ha partecipato alla stessa il delegato dell’attuale
ricorrente pur essendo in conflitto di interessi con lo stesso.
In definitiva, va accolto il primo e il terzo motivo del ricorso e dichiarati assorbiti gli altri, la
sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di
Appello di Catania, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e il terzo motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania anche
per il regolamento delle spese del presente giudizio di Cassazione.