In merito all’inadempimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare, da parte del promissario acquirente, l’obbligo di quest’ultimo di restituire l’immobile, costituisce conseguenza giuridica della risoluzione del preliminare che rende indebita la protrazione della detenzione in quanto divenuta priva del titolo giuridico giustificativo per il venir meno dell’efficacia giuridica del contratto che ne autorizzava il godimento.

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Tribunale Taranto, Sezione 3 civile – Sentenza 5 gennaio 2015, n. 20

Inadempimento del contratto preliminare di vendita – Preliminare di vendita – Inadempimento del promittente acquirente – Obbligo di restituire l’immobile – Conseguenza giuridica della risoluzione del preliminare

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Taranto terza sezione civile in composizione monocratica in persona del Giudice ad essa assegnato Dott. Antonio Pensato ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta in primo grado al n. 484/2010 R.G. sezione distaccata di Manduria
Tra
Gi.Vi. rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ma.Fa. e Lu.Sa.
– attore –
E
Sa.Ma. rappresentata e difesa dagli Avv.ti Fr.Ma. e Ro.At.
– convenuta –
Le parti precisavano le loro conclusioni come da verbale di udienza del 14/10/2014
FATTO E DIRITTO
Gi.Vi. conveniva in giudizio Sa.Ma. chiedendo accertarsi la risoluzione per suo recesso o comunque per inadempimento della convenuta del contratto preliminare di compravendita stipulato il 20/7/2008 con la convenuta per inadempimento di quest’ultima rispetto all’obbligo di pagare il prezzo di vendita ed il diritto di trattenere gli importi versatigli a titolo di caparra confirmatoria. Si costituiva la convenuta eccependo: che il recesso non era stato mai esercitato dall’attore né era esercitabile avendo avuto il contratto esecuzione; che non si era perfezionata alcuna pattuizione di caparra confirmatoria per mancanza di effettivo versamento di somme alla stipula del preliminare; che non vi era suo inadempimento avendo versato tutte le somme dovute. Chiedeva il rigetto delle avverse domande ed in riconvenzionale pronunciarsi il trasferimento in suo favore della proprietà dell’immobile. In via subordinata chiedeva la condanna dell’attore a restituirle le somme versate in esecuzione del preliminare, ove ritenuto risolto, per la natura indebita del relativo pagamento. In rito va evidenziato che alla udienza di precisazione delle conclusioni l’attore si è riportato alle domande precedentemente proposte (rif. verbale di udienza del 14/10/2014) senza formulare alcuna rinuncia ad alcuna di esse. Ciò posto, va evidenziato che nell’atto di citazione l’attore aveva chiesto accertarsi la risoluzione del preliminare datato 20/7/2008 per suo recesso o comunque per inadempimento della convenuta, il suo diritto a trattenere le somme riscosse e la condanna della convenuta alla restituzione dell’immobile promesso in vendita. Tali domande sono solo in parte fondate. Sussiste l’inadempimento della convenuta. E’ pacifico, ai sensi dell’art. 115 c.p.c. trattandosi di circostanza dedotta dall’attore nella sua memoria depositata il 29/3/2011 senza che sia intervenuta specifica contestazione da parte della convenuta, che le parti nello stabilire il versamento di Euro 75.060,00 nell’ambito del contratto preliminare di vendita datato 20/7/2008, come condizione per la stipula del contratto definitivo, in realtà tennero conto dei precedenti versamenti eseguiti dalla convenuta in esecuzione di altro preliminare del 20/7/2007, riversato in atti, concluso sempre tra le parti in lite e sempre relativamente al medesimo immobile che prevedeva un prezzo maggiore. In definitiva dalla richiamata deduzione difensiva di parte attrice, non contestata da parte convenuta, emerge in modo pacifico che il prezzo pattuito in relazione al secondo preliminare non era di Euro 75.060 ma quello maggiore di Euro 106.260,00 risultante dalla sommatoria del prezzo inserito nella scrittura privata del 20/7/2008 maggiorato dell’importo precedentemente ricevuto dall’attore di Euro 31.200,00. L’effettiva dazione di detta somma da parte della convenuta è dimostrata dalle copie di assegni, sottoscritte per ricezione dall’attore, e le quietanze agli atti, anch’esse sottoscritte dall’attore. Dalla lettura coordinata delle clausole nn. 6, 7 ed 8 del contratto preliminare di vendita datato 20/7/2008, sottoscritto dalle parti in lite con firme da ritenersi tacitamente riconosciute ex art. 215 n. 2 c.c., emerge che la convenuta si era obbligata a versare la residua somma dovuta per il trasferimento in suo favore della proprietà dell’immobile ivi descritto prima della stipula del contratto definitivo di compravendita. Ciò emerge, in particolare, dal contenuto della clausola n. 8 del richiamato contratto ove viene fissata data (30/9/2010) di stipula del contratto definitivo di vendita successiva a quella (30/6/010) di scadenza dei pagamenti rateali mensili del residuo prezzo con specificazione che la stipula del contratto definitivo era subordinata al buon fine, cioè all’avvenuto precedente regolare incasso, degli assegni mediante cui doveva pagarsi il residuo prezzo. Le n. 24 rate mensili di Euro 2.540,00 ciascuna, pari a complessivi Euro 60.960,00, cui si riferisce la clausola n. 7 del preliminare datato 20/7/2008, non sono state pagate interamente avendo l’attore riconosciuto (rif. atto di citazione) di aver ricevuto il complessivo importo di Euro 44.580,00 comprensivo, oltre che di alcune delle predette rate, anche della somma di Euro 14.100,00 versatagli all’atto della sottoscrizione del preliminare. Poiché il prezzo realmente pattuito era di Euro 106.260 (Euro 75.060 oltre gli acconti precedentemente versati per Euro 31.200,00) la convenuta rimaneva debitrice di Euro 30.480,00 mai corrisposti. L’inadempimento di cui si è resa responsabile la convenuta va ritenuto grave considerato che riguarda per un verso la obbligazione, ritenuta essenziale tanto da subordinarvi la successiva stipula del contratto definitivo, di versare il prezzo di trasferimento della proprietà prima del successivo rogito definitivo e per altro verso ha rilevante valore economico in quanto riguarda il mancato versamento di importo superiore al 25%, e prossimo al 30% del prezzo convenuto. Ciò giustifica la risoluzione del contratto (art. 1455 c.c.). Tale risoluzione era già maturata alla data di proposizione del presente giudizio essendo prodotta in atti diffida ad adempiere contenuta nella missiva del 14/4/2010 inviata dall’attore alla convenuta e da quest’ultima ricevuta il 16/4/2010, come attesta la cartolina di ricevimento ad essa allegata. Ai sensi dell’art. 1454 c.c. la diffida ad adempiere, decorso il termine con essa assegnato alla parte inadempiente per adempiere, produce risoluzione di diritto del contratto in presenza di inadempimento grave, come accaduto nella specie per le ragioni innanzi evidenziate. La risoluzione del contratto non necessitava, dunque, di ulteriori iniziative di recesso dell’attore essendo già maturata prima della notifica dell’atto di citazione. La risoluzione del contratto per inadempimento della promittente venditrice impedisce l’accoglimento della sua domanda riconvenzionale di pronuncia di sentenza traslativa della proprietà prevedendo l’art. 2932 come condizione che la domanda sia proposta dalla parte che abbia regolarmente adempiuto gli obblighi a suo carico Gli effetti dell’inadempimento della parte promittente acquirente, in relazione alle prestazioni eseguite, sono disciplinati dalla clausola n. 10 del contratto preliminare del 20/7/2008 che prevede sia il diritto di ottenere dalla promittente venditrice la restituzione dell’immobile e sia il diritto del promittente venditore di trattenere a titolo di risarcimento del danno tutte le somme fino ad allora versategli. L’obbligo della convenuta di restituire l’immobile, oltre che pattiziamente previsto, costituisce giuridica conseguenza della risoluzione del preliminare che rende indebita (art. 2033 c.c.) la protrazione della detenzione in quanto divenuta priva di titolo giuridico giustificativo per il venir meno dell’efficacia giuridica del contratto che ne autorizzava il godimento. Quanto al diritto si trattenere le somme riscosse la clausola n. 10 del preliminare è stata espressamente invocata dall’attore (rif. atto di citazióne pag. 5) a sostegno della sua richiesta di accertamento di tale diritto. La qualificazione data dall’attore al tenore contenutistico di tale clausola, in termini di caparra confirmatoria, non è condivisibile in quanto essa prevedendo una predeterminazione pattizia del risarcimento dovuto in caso di inadempimento con quantificazione riferita alla sommatoria di tutte le rate di prezzo riscosse configura, in realtà, una clausola penale (in tal senso Cass. Civ. n. 18195/2007 a proposito di identica pattuizione inserita in un contratto di leasing). La domanda dell’attore, sia pure erroneamente qualificata come diritto di trattenere somme ritenute caparra confirmatoria, va, quindi, accolta, nei termini che si preciseranno, non ricorrendo violazione dell’art. 112 c.p.c. Rimangono, infatti, fermi i fatti costitutivi della domanda costituiti dalla richiesta di accertamento della risoluzione del contratto per inadempimento e dal contenuto della clausola n. 10 del preliminare del 20/7/2008 che, in realtà, in caso di inadempimento della promittente acquirente prevede il diritto del promittente venditore di trattenere le somme riscosse a titolo di penale (art. 1382 c.c. Ciò in quanto muta la sola qualificazione giuridica, che compete al Giudice, dei diritti derivanti dai fatti allegati. Trattandosi di clausola penale l’importo risarcitorio previsto dalla pattuizione n. 10 del preliminare datato 20/7/2008 può essere ridotto (art. 1384 c.c.) anche di ufficio (in tal senso Cass. civ. n. 18195/2007) qualora sia manifestamente eccessivo in relazione all’interesse del creditore alla prestazione principale. Nella specie, come detto, le somme versate dalla convenuta ammontano ad Euro 75.7780,00 a fronte di un danno conseguente all’inadempimento, di cui l’attore si duole nei propri scritti difensivi, connesso alla impossibilità di utilizzare l’immobile perché detenuto dalla convenuta per il periodo di anni sette, risalendo la detenzione alla stipula del primo preliminare datato 20/7/2007 secondo quanto in esso previsto. Sicuramente il danno risarcibile riguarda il mancato godimento dell’immobile per l’intera durata dell’occupazione da parte della convenuta atteso che la risoluzione produce effetti retroattivi (art. 1458 c.c.) rendendo sine titulo la detenzione fin dal momento in cui è stata acquisita (in tal senso Cass. Civ. n. 24510/2011). Lo stesso attore quantifica i frutti ritraibili da detto immobile in Euro 7.000,00 annui in virtù della sua vocazione locatizia a fini turistici data la collocazione in zona balneare. Tale vocazione di godimento dell’immobile non è stata contestata dalla convenuta neppure nella quantificazione del valore locatilo, da ritenersi, quindi, entrambe circostanze pacifiche (art. 115 c.p.c.).Inoltre il teste escusso ha confermato l’utilizzo da parte dell’attrice dell’immobile promessogli in vendita per fini di villeggiatura. Pertanto, a fronte di un danno quantificabile, secondo lo stesso attore, in Euro 49.000,00 appare eccessivo un risarcimento predeterminato, tramite clausola penale, in Euro 75.780,00 considerato che la risoluzione del contratto consente all’attore di rientrare nel pieno possesso dell’immobile di sua proprietà. Appare, perciò, equo ridurre la penale, considerata la prevedibile ulteriore protrazione della detenzione in attesa che sia dia esecuzione alla presente sentenza, a complessivi Euro 55.000,00. Conseguentemente, in accoglimento, per quanto di ragione, della riconvenzionale spiegata dalla convenuta, deve ritenersi indebito (art. 2033 c.c.) il pagamento di Euro 20.780,00 in conseguenza della risoluzione del contratto e della riduzione giudiziale della penale pattuita. Tale somma l’attore va condannato a restituire alla convenuta con aggiunta di interessi legali dalla domanda (art. 2033 c.c.) dovendo presumersi la buona fede dell’attore stesso al momento in cui ricevette i singoli acconti avendone diritto per contratto. In virtù della reciproca soccombenza le spese di lite possono compensarsi per metà tra le parti e la convenuta va condannata alla rifusione dell’altra metà in favore dell’attore essendo la sua soccombenza prevalente rispetto a quella dell’attore stesso in virtù dell’accoglimento di una sola sua domanda a fronte dell’accoglimento di tre domande (accertamento risoluzione per inadempimento, restituzione immobile e diritto a trattenere parzialmente somme) di parte attrice. Dette spese sono liquidate per metà come da separato dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Taranto terza sezione civile in composizione monocratica in persona del Giudice ad essa assegnato Dott. Antonio Pensato definitivamente pronunciando nella causa di cui all’epigrafe, così provvede:
1) In Accoglimento per quanto di ragione delle domande attoree dichiara risolto per inadempimento di Sa.Ma. il contratto preliminare datato 20/7/2008 e per l’effetto condanna la predetta a restituire in favore di Gi.Vi. l’immobile ubicato in Specchiarica marina di Manduria alla via (…) censito in catasto foglio (…);
2) Rigetta la domanda riconvenzionale di pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c. ed in accoglimento parziale della ulteriore domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta, dichiara indebiti i versamenti ricevuti da Gi.Vi. nei soli limiti di Euro 20.780,00 e lo condanna a restituire in favore di Sa.Ma. detto importo con interessi legali dalla data della domanda al soddisfo;
3) compensa per metà le spese di lite tra le parti e condanna Sa.Ma. alla rifusione della residua metà delle stesse in favore di Gi.Vi. liquidate in tale misura in Euro 183,99 per esborsi ed Euro 6750,99 per compensi, oltre IVA, CAP e rimborso spese generali in misura di legge.
Così deciso in Taranto il 2 gennaio 2015.
Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2015.

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