Ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell’usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c.., non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, ben potendo la sua iniziativa essere ispirata dalla volontà di evitare lungaggini di carattere giudiziale, ovvero essere improntata a spirito conciliativo.
L’applicazione dell’art. 1165 c.c. in relazione all’art. 2944 c.c., per quanto concerne l’interruzione del termine per usucapire in forza del riconoscimento da parte del possessore passa, perciò, necessariamente attraverso una corretta interpretazione del contenuto normativo del riconoscimento, il quale richiede, tra i suoi requisiti, quello della volontà.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 17 aprile – 29 luglio 2014, n. 17213
Presidente Piccialli– Relatore Proto
Osserva in fatto e in diritto
1. Con citazione del 3/5/1998 L.A. conveniva in giudizio P.A. e altri comproprietari per sentir dichiarare l’acquisto per usucapione di un compendio immobiliare, già oggetto di divisione bonaria di un asse ereditario all’esito della quale essa era stata immessa nel possesso esclusivo protrattosi per oltre venti anni.
Interveniva in giudizio L.M. che chiedeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di altri contitolari di diritti sui beni.
Nel corso del giudizio di primo grado l’attrice decedeva e si costituivano i suoi eredi.
Con sentenza del 24/3/2006 il Tribunale di Massa rigettava la domanda ritenendo non provato il possesso esclusivo del compendio e ravvisando quale elemento di equivocità di un possesso esclusivo, l’acquisto di quote da parte di altri comproprietari. A.R., A.M. e A.R., quali eredi dell’attrice, proponevano appello al quale resisteva la sola L.M., mentre le altre parti rimanevano contumaci.
Con sentenza del 17/7/2012 la Corte di Appello di Genova in riforma della sentenza appellata dichiarava l’usucapione del compendio immobiliare maturata a favore di A.R., A.M. e A.R., quali eredi di L.A. rilevando: – che era provato attraverso plurime testimonianze che, sulla base di una divisione informale tra gli eredi, L.A. era stata immessa nel possesso esclusivo del compendio immobiliare; – che parimenti era provato l’esercizio effettivo dei poteri di proprietaria sul fondo;
– che l’appellata L.M. non aveva mai esercitato il possesso dei beni, come dimostrato dalla testimonianza di F.A. che aveva riferito che il figlio di L.M. avendo necessità di utilizzare il fondo per il pascolo, si rivolse all’attrice per chiedere l’autorizzazione;
– che l’acquisto di alcune quote di comproprietà da alcuni coeredi non era ostativo all’usucapione trattandosi di condotta che doveva essere interpretata, nella specie, come finalizzata alla regolarizzazione del titolo di proprietà esclusiva e potendo, in ogni caso le quota essere acquistate in base a titoli diversi.
L.A.M. ha proposto ricorso affidato a due motivi.
A.R. e A.M. hanno resistito con controricorso.
E’ rimasto intimato A.R..
2. Preliminarmente si osserva che il ricorso non è stato notificato agli altri 10 appellati contumaci nel grado di appello e specificamente indicati nell’intestazione della sentenza di appello. Questo relatore, tuttavia, ritiene, anche in applicazione dei principi di cui all’art. 111 Cost., non necessaria l’integrazione del contraddittorio per la manifesta infondatezza del ricorso che, per le ragioni che seguono, a giudizio di questo relatore dovrebbe essere rigettato.
La non integrità del contraddittorio è comunque segnalata al fine dell’integrazione ove il Collegio fosse di diverso avviso sulla questione processuale o sulla questione sostanziale o su entrambe. 3. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1165 e 2944 c.c. e il vizio di motivazione sostenendo che l’acquisto di quote da altri coeredi, avvenuto tre anni prima della proposizione della causa, costituirebbe riconoscimento dell’altrui diritto ex art. 2944 c.c. ed atto idoneo ad interrompere la prescrizione acquisitiva; gli effetti dell’interruzione si estenderebbero, secondo la ricorrente, anche agli altri comproprietari, trattandosi di comproprietà pro indiviso.
3.1 Il motivo è infondato perché, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 3/8/1977 n. 3438; Cass. 9/12/2005 n. 27287 in motivazione) è ben possibile che il possessore esclusivo di beni ereditari che non abbia ancora maturato l’usucapione intavoli trattative con gli altri eredi i quali potrebbero ancora rivendicare diritti e al fine di assicurarsi l’acquisto di tali diritti.
Più in particolare, occorre rilevare che ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell’usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c.., non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, ben potendo la sua iniziativa essere ispirata dalla volontà di evitare lungaggini di carattere giudiziale, ovvero essere improntata a spirito conciliativo (Cass. 23/6/2006 n. 14654; Cass. 1/3/1993 n. 2520; Cass. S.U. 14/1/1987 n. 192).
L’applicazione dell’art. 1165 c.c. in relazione all’art. 2944 c.c., per quanto concerne l’interruzione del termine per usucapire in forza del riconoscimento da parte del possessore passa, perciò, necessariamente attraverso una corretta interpretazione del contenuto normativo del riconoscimento, il quale richiede, tra i suoi requisiti, quello della volontà (Cass. n. 18207 del 2004).
Di questi principi ha fatto corretta applicazione la Corte di Appello, accertando che l’atto di acquisto, nella particolare fattispecie e contrariamente al significato che normalmente si attribuisce ad un atto di acquisto, non esprimeva una volontà di riconoscimento del diritto del proprietario, ma solo l’esigenza di regolarizzare, da un punto di vista meramente formale il già avvenuto acquisto della proprietà. 4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione con riferimento all’affermazione del giudice di appello secondo la quale vi era stata tra i coeredi una divisione informale con immissione dell’attrice nel possesso esclusivo dei beni.
La ricorrente oppone di non avere ricevuto nulla dalla divisione e di non avere partecipato all’accordo divisionale
4.1 Il motivo è inammissibile.
La stessa ricorrente si qualifica erede, ma non si comprende se e sulla base di quali elementi il suo remoto dante causa (L.D.) sarebbe stato escluso dalla divisione; tuttavia, a prescindere dall’assoluta genericità della censura (evidenziata dalle controricorrenti), è assorbente osservare che la censura è inammissibile perché introduce una questione assolutamente irrilevante al fine di escludere il maturarsi dell’usucapione per il possesso ultraventennale da parte della coerede immessa nel possesso del compendio e che lo ha posseduto riti dominus per oltre venti anni.
4. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato manifestamente infondato”
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Il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio e sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite che non hanno depositato memorie.
Questo collegio condivide e fa proprie le argomentazioni della relazione e le relative conclusioni; pertanto il ricorso deve essere rigettato per manifesta infondatezza; le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente L.A.M. a pagare alle controricorrenti A.R. e A.M. le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi euro 2.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per esborsi.