In materia di abusivismo edilizio, la notifica e la comunicazione costituiscono una condizione legale di efficacia dell’ingiunzione di demolizione (trattandosi di atto recettizio impositivo di obblighi), vale a dire un presupposto di operatività dell’atto nei confronti dei sui diretti destinatari.
T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 12-06-2014, n. 3275
Fatto – Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4527 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
P.M., V.P., rappresentati e difesi dagli avv.ti Marcello Russo e Maria Pezzullo, presso i quali hanno eletto domicilio in Napoli, via Sant’ Aspreno, 13;
contro
Comune di Orta di Atella, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Parisi, presso cui ha eletto domicilio in Napoli, via S. Aspreno, 13;
per l’annullamento
– del provvedimento prot. gen. 11182 del 4 settembre 2013 – prot. urb. n. 1951 del 4 settembre 2013 emesso dal Comune di Orta di Atella recante accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 15 del 29 settembre 2012;
– dell’ordinanza di demolizione n. 15 del 29 dicembre 2012.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune del Orta di Atella;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2014 il dott. Gianluca Di Vita e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso notificato il 14 ottobre 2013 e depositato il 17 ottobre 2013 i coniugi Sig.ri P.M. e V.P. premettono in fatto di essere comproprietari dell’unità immobiliare posta al piano terra del fabbricato sito nel Comune di Orta di Atella, allibrata in Catasto al Foglio 11, part. 5287 sub. 27 per averla acquistata dalla società F.A.G.G. Costruzioni Generali s.r.l. con contratto di compravendita del 14 luglio 2004.
A sua volta, la società venditrice aveva acquisito l’area di sedime dai Sig.ri Maria Comune, Massimo Comune e Anna D’Ambrosio in data 27 gennaio 2004 ed aveva proceduto alla costruzione dell’edificio del quale fa parte l’immobile dei ricorrenti in virtù del permesso di costruire n. 29/2003 del 3 marzo 2003 rilasciato in favore dei Sig.ri Comune e successivamente volturato alla F.A.G.G. s.r.l..
Lamentano che, sul presupposto della inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 15 del 29 settembre 2012 – mai notificata ai deducenti – l’intimata amministrazione locale ha emesso l’epigrafato provvedimento prot. gen. 11182 del 4 settembre 2013 con cui ai sensi dell’art. 31, terzo comma, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. Edilizia) ha proceduto all’acquisizione gratuita e alla conseguente trascrizione nei registri immobiliari della porzione immobiliare di loro proprietà, oltre che dei proporzionali diritti sulle parti comuni del fabbricato, area di sedime e cortili pertinenziali.
Deducono violazione del T.U. Edilizia, eccesso di potere, violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990 n. 241, irragionevolezza, illogicità manifesta, difetto di istruttoria.
In data 19 dicembre 2013 si è costituito in giudizio il Comune di Orta di Atella che deposita documentazione (ivi compresa l’ordinanza di demolizione n. 15/2012) e, nel merito, replica alle argomentazioni di parte ricorrente concludendo per il rigetto del gravame.
Con successivo atto di motivi aggiunti notificati il 18 – 19 febbraio 2014 e depositati il 28 febbraio 2014 i ricorrenti impugnano l’ordinanza di demolizione n. 15 del 29 settembre 2012 versata agli atti di causa dall’amministrazione resistente, deducendo profili di illegittimità autonoma e derivata.
Il T.A.R. ha accolto la domanda cautelare con ordinanza n. 11 del 9 gennaio 2014 con la seguente motivazione “…ad una sommaria delibazione propria della fase cautelare non appare prima facie destituita di giuridico fondamento la prima censura che attiene alla omessa notifica dell’ordine di demolizione nei confronti dei ricorrenti proprietari dei cespiti immobiliari incisi dall’impugnato provvedimento acquisitivo (T.A.R. Campania, Sez. VIII; 24 luglio 2013 n. 3818)”.
Alla pubblica udienza del 7 maggio 2014 la causa è stata introitata per essere decisa.
E’ fondato il ricorso introduttivo proposto avverso il provvedimento prot. gen. 11182 del 4 settembre 2013 emesso dal Comune di Orta di Atella ai sensi dell’art. 31 terzo comma del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
In particolare, come già illustrato nell’ordinanza cautelare n. 11/2014, merita assorbente considerazione il motivo di diritto con cui parte ricorrente lamenta l’omessa notifica dell’ordine di demolizione.
Ai sensi dell’art. 31, secondo e terzo comma, del Testo Unico in materia edilizia “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma.
Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
Orbene, dall’esame degli atti di causa emerge che l’ingiunzione demolitoria n. 15 del 29 settembre 2012 non è stata ritualmente notificata ai ricorrenti, bensì risulta indirizzata ai Sig.ri Comune Massimo e Comune Maria, titolari del permesso di costruire n. 29/2003 successivamente trasferito alla società F.A.G.G..
Non resta quindi che prendere atto dell’omessa instaurazione del rapporto procedimentale sanzionatorio con gli odierni ricorrenti che, si rammenta, sono attualmente comproprietari del manufatto ed ai quali, pertanto, andava correttamente notificata l’ordinanza demolitoria.
Difatti, la notifica e la comunicazione costituisce una condizione legale di efficacia dell’ingiunzione di demolizione (trattandosi di atto recettizio impositivo di obblighi), vale a dire un presupposto di operatività dell’atto nei confronti dei sui diretti destinatari (T.A.R. Lazio, Latina, 3 gennaio 2008 n. 1).
E’ evidente che indirizzare il provvedimento monitorio anche al comproprietario dell’immobile costituisce una garanzia per lo stesso visto che quest’ultimo potrà attivarsi per ottenere la demolizione delle opere abusive al fine di non vedersi spogliato della proprietà dell’area in caso di inottemperanza ai sensi dell’art. 31, terzo comma, del D.P.R. n. 380 del 2001. Diversamente opinando si finirebbe infatti per mettere il contitolare nelle condizioni di subire a sua insaputa la confisca del bene e dell’area di sedime.
Ne consegue che il soggetto nel cui interesse è prevista detta comunicazione può legittimamente censurare la relativa omissione che assume un valore sostanziale e non meramente procedimentale o processuale; ciò, come si è visto, in ragione della funzione assolta dall’istituto consistente nella esigenza di portare a conoscenza dell’atto il suo destinatario onde ottenere da lui la sua personale e soggettiva collaborazione necessaria per il conseguimento del fine di ripristino della legalità violata.
Da tanto discende l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, con assorbimento delle ulteriori censure, ed il suo conseguente annullamento.
Per l’effetto, l’amministrazione dovrà provvedere alla notifica dell’ordinanza di demolizione n. 15/2012 nei confronti degli odierni ricorrenti.
Si appalesano viceversa infondati i motivi aggiunti proposti avverso il citato ordine demolitorio.
Non colgono nel segno i primi due rilievi che attengono all’omessa comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio ex art. 7 della L. n. 241 del 1990 e al difetto di motivazione in ordine alla posizione di affidamento dei proprietari e al decorso del tempo dalla ultimazione del manufatto (2003).
In senso contrario, giova rammentare il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativo secondo cui:
– in caso di ordine di demolizione delle opere abusive non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990 trattandosi di atto dovuto e vincolato sicché, sotto un primo profilo, non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 29 gennaio 2009 n. 5001) ed inoltre trova applicazione l’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990 in tema di vizi procedimentali non invalidanti posto che, per le ragioni di seguito illustrate, l’amministrazione non avrebbe potuto adottare un atto di diverso contenuto (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 16 luglio 2013 n. 3709);
– l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico, anche di natura urbanistica ed ambientale, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati: difatti, il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione è costituito soltanto dalla constatata esecuzione dell’opera in totale difformità dal titolo edilizio o in assenza del medesimo, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 aprile 2004 n. 2529; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 2 dicembre 2004 n. 18085);
– il potere di reprimere abusi edilizi non è soggetto né a prescrizione, né a decadenza stante il carattere permanentemente illegale dell’abuso edilizio medesimo, per cui non è configurabile alcun possibile “affidamento” del privato sulla legittimità di opere edilizie in realtà abusive e conseguentemente il doveroso provvedimento demolitorio non necessita di alcuna specifica motivazione sull’esistenza di un interesse pubblico alla rimozione dell’opera abusiva perché tale interesse pubblico sussiste “in re ipsa”.
E’ parimenti destituita di giuridico fondamento la doglianza che attiene al presunto difetto di motivazione in ordine ai presupposti giustificativi della sanzione irrogata.
Ed invero, nel gravato ordine demolitorio il Comune, all’esito di specifico sopralluogo, ha contestato la seguenti difformità del manufatto rispetto ai grafici allegati al permesso di costruire n. 29 del 3 marzo 2003:
– al piano terra, in luogo del previsto porticato e posti auto coperti, sono stati realizzati ulteriori n.4 appartamenti al piano rialzato (n. 2 al blocco “A” e n. 2 al blocco “B”) con innalzamento della quota di calpestio di circa cm. 80;
– al piano terzo, in sostituzione di n. 4 sottotetti non abitabili, sono stati realizzati n. 4 appartamenti (n. 2 al blocco “A” e n. 2 al blocco “B”);
– i corpi – scala previsti come aperti, in realtà sono stati chiusi;
– le tompagnature perimetrali risultano eseguite con una sagoma diversa rispetto a quella approvata;
– le citate difformità hanno determinato aumenti plano – volumetrici dettagliatamente indicati nel provvedimento (aumento di superficie di mq. 6,00; incremento di volumetria pari a mc. 3.632,00; eliminazione di mc. 422,48 di porticato, di mc. 572,20 di scale chiuse e di mc. 1.125,69 di volume tecnico relativo al sottotetto; aumento di altezza di mt. 1,60);
– non è rispettata la distanza tra i due fabbricati (blocco “A” e blocco “B”) che, da progetto, dovrebbe essere pari a mt. 12,15 e, viceversa, risulta di mt. 10,20;
– neppure risulta rispettata la distanza tra il fabbricato del blocco “B” ed il confine est che, da progetto, dovrebbe essere pari a mt. 7,00 e, viceversa, è di mt. 5,50.
E’ soddisfatto l’onere motivazionale posto che, come si legge nell’impugnato atto, l’intervento edilizio in questione ha comportato la realizzazione di un organismo edilizio con variazioni essenziali ai sensi dell’art. 32 del T.U. Edilizia.
Peraltro, non può dubitarsi che l’ente abbia fatto buon governo della citata disposizione.
In argomento, deve infatti rammentarsi che, a norma dell’art. 31 secondo comma del D.P.R. n. 380 del 2001, “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”.
Per quanto concerne le “variazioni essenziali”, l’art. 32 primo comma del D.P.R. n. 380 del 2001 decreto stabilisce che l’essenzialità ricorre quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.
Ed invero rientra in tale previsione la realizzazione dell’edificio in questione di superficie e sagoma diversi, con significativo incremento volumetrico e creazione di n. 8 nuovi appartamenti originariamente non previsti nel progetto originario (n. 4 al piano terra, tra i quali quello dei ricorrenti e n. 4 al piano sottotetto), con posizionamento diverso rispetto a quanto riportato nei grafici acclusi al permesso di costruire.
Con l’ultimo profilo di illegittimità dedotto in via autonoma avverso l’ordine di demolizione n. 15/2012, i ricorrenti censurano il presunto difetto di istruttoria in cui sarebbe incorsa l’amministrazione locale. In sintesi, rappresentano che le variazioni contestate sarebbero state indicate dai Sig.ri Sig.ri Massimo e Maria Comune nella denuncia di inizio attività (d.i.a.) assunta a protocollo dell’ente con n. 8969 del 31 luglio 2003. Espongono che il Comune non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la piena conformità dei corpi di fabbrica rispetto a tale ultimo titolo edilizio ed aggiungono che, prima di adottare l’ordine di ripristino, l’amministrazione avrebbe dovuto previamente esercitare i poteri inibitori di cui all’art. 23, sesto comma, del T.U. Edilizia ovvero, in prosieguo, disporre l’annullamento in autotutela della d.i.a..
Le argomentazioni sono prive di pregio.
Costituisce dato processuale acquisito che siano state introdotte significative varianti al progetto edilizio assentito dal Comune con permesso di costruire n. 29/2003 e, tuttavia, ritiene il Collegio che dette variazioni non potevano essere legittimamente autorizzate a mezzo d.i.a..
In punto di diritto, giova infatti rammentare che la normativa edilizia vigente riconosce all’amministrazione comunale la possibilità di rilasciare titoli abilitativi che autorizzino la realizzazione di varianti al progetto approvato.
La giurisprudenza distingue tra: varianti in senso proprio, varianti essenziali e varianti c.d. minime (Consiglio di Stato, Sez. IV, 11 aprile 2007 n. 1572; Cass. Pen., Sez. III, 25 settembre 2012 n. 49290 e 24 marzo 2010 n. 24236).
Per quanto riguarda le c.d. “varianti in senso proprio”, deve rilevarsi che non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.
La nozione di “variante”, infatti, deve ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto all’originario progetto e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, riguardano la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato.
Il nuovo provvedimento – da rilasciarsi con il medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire – rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in variante, che giustifica – tra l’altro – le peculiarità del regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano sostanziale e procedimentale.
Rimangono sussistenti, infatti, tutti i diritti quesiti e ciò rileva specialmente nel caso di sopravvenienza di una nuova contrastante normativa che, se non fosse ravvisata l’anzidetta situazione di continuità, potrebbe rendere irrealizzabile l’opera.
In ogni caso deve riconoscersi il carattere di nuovo permesso di costruire ad un provvedimento che, nonostante la qualificazione formale di variante, autorizzi invece la realizzazione di un manufatto completamente diverso da quello originario.
Costituisce, poi, “variante essenziale” ogni variazione incompatibile con il disegno globale ispiratore del progetto edificatorio originario, sia sotto l’aspetto qualitativo che sotto l’aspetto quantitativo.
Per la configurazione dell’ambito di tale istituto, può essere utile tenere conto della definizione di “variazione essenziale” posta dall’art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001 che, come si è visto, ricomprende il mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizio, mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito e violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica. Di converso, non costituiscono variazioni essenziali quelle che incidono sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.
Le istanze per la realizzazione di varianti essenziali sono da considerarsi sostanzialmente quali richieste di un nuovo ed autonomo permesso di costruire e sono soggette, quindi, alle disposizioni vigenti nel momento in cui viene chiesto al Comune di modificare il progetto originario, perché in effetti non si tratta solo di modificarlo, ma di realizzare un’opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.
Caratteri peculiari presentano infine le c.d. “varianti leggere o minori in corso d’opera”.
In proposito, l’art. 22, secondo comma, del D.P.R. n. 380 del 2001 – come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002 e dal D.L. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 98 del 2013 – prevede che sono sottoposte a denuncia di inizio dell’attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire.
In tali ipotesi, la denuncia di inizio dell’attività costituisce “parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale” e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell’art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori purché si tratti, come di è visto, di “varianti leggere”.
Ebbene, nella fattispecie in esame si è visto che le difformità riscontrate rientrano nella previsione contenuta nell’art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001 (“variazioni essenziali”) tenuto conto delle significative modifiche al progetto originario con diretta incidenza sui parametri urbanistici, volumetrie, destinazioni, sagoma e superficie, con creazione “ex novo” di n. 8 nuove unità immobiliari in sostituzione dei box auto al piano terra e dei sottotetti stenditoi originariamente previsti nel permesso di costruire.
Peraltro, anche la legislazione regionale esclude che gli interventi edilizi contestati con l’ordine di demolizione potessero essere legittimamente assentiti con d.i.a.: giova difatti rammentare che in base all’art. 2, primo comma, della L.R. 28 novembre 2001, n. 19, possono essere realizzate in base a semplice denuncia di inizio attività, tra l’altro, “le varianti ai permessi di costruire che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma dell’edificio e non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire”.
La radicale diversità dell’intervento edilizio per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche e di utilizzazione rispetto a quello di progetto, desumibile dai descritti elementi costitutivi costituisce nell’insieme espressione della realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso da quello assentito: conseguentemente, per le ragioni illustrate, per procedere alla modifica radicale del progetto originario non era sufficiente una mera d.i.a. (non sussistendo le ipotesi normativamente previste dall’art. 22, secondo comma, del T.U. Edilizia).
Per quanto fin qui osservato, è evidente l’infondatezza anche dell’ulteriore deduzione svolta dai ricorrenti, in relazione all’asserito consolidarsi degli effetti della d.i.a. per decorso del termine di legge, che avrebbe imposto all’amministrazione comunale l’attivazione di un procedimento di autotutela per annullarne gli effetti.
Ed invero, una volta accertato che l’intervento edilizio sia difforme dal paradigma normativo, va richiamato il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del T.U. Edilizia, l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a., può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento (Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2010 n. 781; 18 dicembre 2008 n. 6378; 12 settembre 2007 n. 4828; 30 giugno 2005 n. 3498) e, più in generale, mantiene il potere di controllo sulle attività edilizie per il quale l’art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere realizzate non corrispondono a quelle oggetto della denuncia, sia quando le stesse non sono realizzabili con una semplice d.i.a., ma richiedono l’avvenuto rilascio del permesso di costruire (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 4 ottobre 2007 n. 8951) o di una sua variante.
Nella fattispecie, configurandosi variazioni essenziali ex art. 32 T.U. 380/2001, va considerato vincolato il comportamento dell’amministrazione che, come nel caso in esame, si è determinata nel senso della demolizione.
In conclusione, richiamate le svolte considerazioni, il Tribunale:
– accoglie il ricorso introduttivo e, per l’effetto, annulla il provvedimento prot. gen. 11182 del 4 settembre 2013 (prot. urb. n. 1951 del 4 settembre 2013) emesso ai sensi dell’art. 31, terzo comma, del D.P.R. n. 380 del 2001;
– respinge i motivi aggiunti proposti avverso l’ordinanza di demolizione n. 15 del 29 dicembre 2012.
L’accoglimento solo parziale del gravame giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando, così provvede:
– accoglie il ricorso introduttivo e, per l’effetto, annulla il provvedimento del Comune di Orta di Atella prot. gen. 11182 del 4 settembre 2013 (prot. urb. n. 1951 del 4 settembre 2013) emesso ai sensi dell’art. 31, terzo comma, del D.P.R. n. 380 del 2001;
– respinge i motivi aggiunti proposti avverso l’ordinanza di demolizione del Comune di Orta di Atella n. 15 del 29 dicembre 2012.
– compensa tra le parti le spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Ferdinando Minichini, Presidente
Renata Emma Ianigro, Consigliere
Gianluca Di Vita, Primo Referendario, Estensore