L’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, e sempre che si tratti di gravi difetti, i quali, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo (cfr Cass. 16 febbraio 2012 n. 2238).
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 27 settembre – 15 novembre 2013, n. 25767
Presidente Piccialli – Relatore Falaschi
Considerato in fatto
Nel giudizio di primo grado, svolto dinanzi al Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Acireale, conseguente alla proposizione da parte del Condominio (omissis) di istanza per ottenere la condanna dell’Impresa di costruzioni SIDERBETON ITALIANA s.r.l., quale costruttrice – venditrice alla eliminazione a proprie cure e spese dei difetti di costruzione dell’edificio condominiale realizzato dalla società convenuta, nella resistenza della impresa costruttrice, espletata istruttoria, il giudice adito, con sentenza n. 283 del 22.12.2005, condannava l’impresa edile ad eliminare i difetti accertati in giudizio, eseguendo i lavori indicati dal c.t.u. alle lettere a), b), d) ed h) della relazione peritale.
Avverso la menzionata sentenza proponeva appello la medesima società SIDERBETON ITALIANA, cui resisteva l’appellato Condominio, la Corte di appello di Catania, respingeva il gravame e per l’effetto confermava la decisione impugnata.
Con ricorso notificato il 25 maggio 2011 e depositato il 14 giugno 2011, la SIDERBETON ITALIANA s.r.l. ha impugnato per cassazione la richiamata sentenza della Corte di appello di Catania (notificata il 26 marzo 2011) prospettando un unico motivo con il quale ha denunciato la omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per erronea ed insufficiente valutazione del contenuto degli atti e documenti di causa, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nonché violazione dell’art. 1669 c.c..
Con controricorso si è costituito il CONDOMINIO intimato. Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso.
All’udienza camerale il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.
Ritenuto in diritto
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con l’unica censura la società ricorrente, dedotto il vizio di motivazione nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., lamenta che mentre la pretesa fatta valere in giudizio riguarda le infiltrazioni verificatesi nelle pareti esterne ed interne dell’androne e del vano scala condominiale, la Corte abbia ritenuto che il vizio integri gli estremi del grave difetto di cui all’art. 1669 c.c., pur vertendosi in tema, di vendita e non già di appalto. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha accertato, alla stregua delle indagini tecniche svolte dal consulente d’ufficio, che i vizi lamentati dal condominio riguardano infiltrazioni di acqua presenti in più punti nei rivestimenti interni nell’androne dell’edificio in prossimità del portoncino di ingresso, oltre alle infiltrazioni d’acqua piovana dalla pavimentazione davanti all’androne d’ingresso. La Corte del merito ha altresì rilevato che le cause di tale “dissesto”, che riguardano importanti parti comuni dell’edificio condominiale, sono da addebitare, per la parte superiore, alla scarsa efficienza del sistema della pensilina di riparo dalle acque meteoriche (consistente nella insufficiente pendenza della parte orizzontale trasparente con conseguente difficoltà di evacuazione, come si evince dalla macchia di copioso ristagno d’acqua, nonché nel degrado dell’impermeabilizzazione perimetrale orizzontale e dalla possibilità, lasciata all’acqua battente, di interessare il portoncino sottostante per l’inefficienza, in atto, della guaina impermeabilizzante presente sulla facciata stessa), per la restante parte alla mancanza di sufficiente pendenza e alla carente impermeabilizzazione della superficie posizionata, sotto detta pavimentazione, smentita la deduzione della sufficienza della pendenza di appena l’1% di parte appellante (odierna ricorrente), dalle macchie che si riscontrano in corrispondenza di un pluviale di scarico del sistema di smaltimento delle acque meteoriche. Tale essendo la situazione di fatto, corretto è l’inquadramento delle evidenziate alterazioni nell’ambito dei gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c., posto che questi non si identificano solo con i fenomeni che influiscono sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in quelle alterazioni che, pur riguardando direttamente una parte dell’opera, incidono sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima, come appunto si verifica nel caso di infiltrazioni di acqua e di umidità attraverso le murature condominiali interne ed esterne dell’androne a causa della non corretta tecnica di costruzione sia della pensilina di protezione della porta di ingresso sia della pavimentazione (cfr. Cass. 15 aprile 1999 n. 3753; Cass. 4 novembre 2005 n. 21351; Cass. 3 gennaio 2013 n. 84), atteso peraltro il poco tempo decorso dal compimento delle finiture dell’edificio. Né – contrariamente a quanto suppone la società ricorrente – l’operatività della garanzia di cui all’art. 1669 cod. civ. è esclusa in ragione del fatto che si verta in ipotesi di vendita giacché l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, e sempre che si tratti di gravi difetti, i quali, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo (cfr Cass. 16 febbraio 2012 n. 2238). In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., ravvisandosi la manifesta infondatezza del ricorso.”.
Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, e, pertanto, il ricorso va rigettato. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.