Alla luce del costante indirizzo della giurisprudenza l’applicabilità nell’ambito del condominio delle norme sulle distanze, anche in tema di vedute, non costituisce un principio assoluto, considerato che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica il contemperamento dei vari interessi che va regolato anzitutto con i prioritari criteri dettati dall’art. 1102 c.c.
L’impossibilità di poter osservare, tenuto conto delle particolari caratteristiche dell’edificio (nella specie di epoca risalente), tutte le prescrizioni previste dalla normativa speciale in questione, non può costituire comunque circostanza tale da comportare la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica, laddove, l’intervento abbia comunque conseguito un risultato conforme alle finalità della legge, comportando una sensibile attenuazione delle condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione, rispetto alla precedente situazione
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 6 giugno – 26 luglio 2013, n. 18147
Presidente Goldoni – Relatore Piccialli
Fatto e diritto
Si riporta di seguito la relazione preliminare ex art. 380 bis c.p.c..
“Con il ricorso in esame E..V. e gli altri condomini in epigrafe indicati hanno impugnato per cassazione, nei confronti del condominio di (omissis) la sentenza in oggetto, con la quale la Corte di Genova ha respinto il loro appello avverso la sentenza del locale tribunale n. 134/06, confermando la legittimità dell’impugnata delibera assembleare del 20.5.05, prevedente l’installazione di un ascensore nello stabile, da collocarsi in un cortile interno (c.d. cavedio),segnatamente per venire incontro alle esigenze di un disabile abitante in uno degli appartamenti del condominio.
La corte ligure ha ritenuto legittima e meritevole l’adozione a maggioranza della delibera, vertendosi in ipotesi riconducibile alla legge n. 13/89 in materia di rimozione di barriere architettoniche e, sulla scorta della relazione del c.t.u. e di diretto esame dei rilievi fotografici, ha escluso la sussistenza di pregiudizi alla statica ed all’estetica del fabbricato o menomazioni, degne di rilievo, relative all’uso e godimento dei beni comune, in particolare del cavedio, occupato solo per il 10% della sua superficie, o a quello degli appartamenti dei dissenzienti, al riguardo richiamando l’espressa deroga al regime delle distanze contenuta nell’art. 3 della citata legge speciale, disattendendo infine le richieste risarcitorie, in assenza di alcun atto illecito ed in presenza, per di più, di un aumento di valore di tutti gli immobili compresi nel condominio derivante dalla innovazione in questione.
Il ricorso, cui ha resistito il condominio, è affidato a quattro motivi che, ad avviso del relatore, si palesano tutti privi di fondamento.
Con il primo, deducente violazione degli artt. 1120 co. 2 e 1102 co. 2 c.c. e connesse carenze e contraddittorietà di motivazione, segnatamente per non avere la corte tenuto conto dei pregiudizi subiti dai ricorrenti, sia per la sottrazione all’uso comune di una parte del cortile, sia per il c.d. cono d’ombra determinato dalla nuova struttura ed interessante gli appartamenti dei ricorrenti, si propone in realtà, senza evidenziare alcun effettivo malgoverno dei richiamati principi in materia di comunione e condominio, né carenze o illogicità argomentative, una rivisitazione del merito della controversia (peraltro comprensivo di alcuni profili, che non risultano sottoposti anche ai giudici territoriali), il cui riesame da parte della Corte d’Appello è risultato esaustivo e basato su accertamenti di fatto incensurabili, di cui si è in premessa riferito, pervenendo ad una decisione improntata ad una corretta valutazione comparativa delle opposte esigenze in conflitto, che in questa sede risulta incensurabile.
Il secondo motivo, denunciante violazione ed erronea applicazione degli artt. 873,907 c.c., 3 L. 13/89, 9 D.M. 1444/68 e 4 delle norme di conformità e congruenza del Piano Urbanistico del Comune di La Spezia, nonché vizi di motivazione, con riferimento alle distanze che la nuova struttura non avrebbe osservato rispetto agli appartamenti in questione ed alle relative vedute, è manifestamente infondato, alla luce del costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’applicabilità nell’ambito del condominio delle norme sulle distanze, anche in tema di vedute, non costituisce un principio assoluto, considerato che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica il contemperamento dei vari interessi che va regolato anzitutto con i prioritari criteri dettati dall’art. 1102 c.c. (tra le altre v. nn. 22838/05, 6546/’10, 12520/10), cui nella specie risulta improntata la decisione di merito.
Il terzo motivo, deducente violazione dell’art. 1 p.3 lett. d) L. 13/89 e D.M. 236/89, in relazione alla non corrispondenza dell’opera alle specifiche prescrizioni normative in materia di superamento delle barriere architettoniche (per la presenza di un gradino di accesso al fabbricatoci apertura manuale della porta, di dislivelli e relativi gradini tra le uscite dall’ascensore ed i vari pianerottoli, e per l’assenza di accorgimenti tecnici di segnalazione), è altrettanto manifestamente infondato. Va considerato, infatti, che l’impossibilità di poter osservare, tenuto conto delle particolari caratteristiche dell’edificio (nella specie di epoca risalente), tutte le prescrizioni previste dalla normativa speciale in questione, non può costituire comunque circostanza tale da comportare la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica, laddove, come nel caso di specie, l’intervento abbia comunque conseguito, come nella specie accertato dai giudici di merito, un risultato conforme alle finalità della legge, comportando una sensibile attenuazione delle condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione, rispetto alla precedente situazione.
Manifestamente infondato è infine il quarto motivo, deducente violazione dell’art. 2043 c.c. e connessi vizi di motivazione, non essendo nella specie configurabile alcun atto illecito, comportante il diritto al risarcimento dei danni.
Si propone, conclusivamente, la reiezione del ricorso.
Roma 11 giugno 2012”.
Tanto premessoci collegio, esaminata la memoria controdeduttiva di parte ricorrente, dato atto delle conclusioni della parte resistente e del P.G. adesive alla relazione, ritiene del tutto condivisibili le ragioni reiettive esposte dal relatore e si riporta alle stesse, non ravvisando nell’ulteriore scritto difensivo depositato nuovi argomenti, diversi da quelli esposti in ricorso e già disattesi, comunque atti a superarle.
Va anzitutto osservato che il dedotto allontanamento dall’alloggio della persona inabile, delle cui esigenze in particolare si sarebbe tenuto conto nel disporre l’innovazione, costituisce circostanza di fatto che, quand’anche allo stato fosse sussistente, non sarebbe idonea ad incidere sul thema decidendi, che resta fissato dagli elementi fattuali accertati ed esaminati in sede di merito,né comunque a determinare una sopravvenuta cessazione della materia del contendere. A tal ultimo profilo persiste, invero, l’interesse del condominio alla installazione e mantenimento, nonostante il dissenso di alcuni condomini, dell’impianto di ascensore, le cui finalità, non limitabili a quelle sole della tutela delle persone versanti in condizioni di minorazione fisica, sono comunque individuabili nell’esigenza di migliorare la fruibilità dei piani alti dell’edificio da parte dei rispettivi utenti, apportando una innovazione che, senza rendere talune parti comuni dello stabile del tutto o in misura rilevante inservibili all’uso o al godimento degli altri condomini (v. Cass. n. 28920/11, 20902/10), facilita l’accesso delle persone a tali unità abitative (in particolare di quelle meno giovani o fisicamente dotate, ancorché non invalide), nel contempo imponendo un sacrificio ai dissenzienti, la cui entità, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, è risultata contenuta entro limiti tollerabili.
Il ricorso va, conclusivamente, respinto, con conseguente condanna dei soccombenti alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio in favore del condominio resistente che liquida in complessivi Euro 1.700,00,di cui 200 per esborsi.