Il divieto di tenere animali negli appartamenti di un edificio condominiale non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo tali tipi di regolamento disporre delle limitazioni alle facoltà connesse con il diritto di proprietà dei singoli condomini, sulle porzioni di fabbricato appartenenti agli stessi in via esclusiva. Tali disposizioni esigono, infatti, di essere approvate all’unanimità, pena la loro inefficacia anche nei confronti di quei condomini che, con il loro voto, abbiano concorso alla loro approvazione ed hanno, quindi, natura contrattuale e non regolamentare, non limitandosi, semplicemente, a disciplinare l’uso dei beni comuni.
Cassazione civile sez. II, 15 febbraio 2011, n. 3705
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 17 dicembre 2001 il Tribunale di Bari, in accoglimento della domanda proposta da L.N. e P. R. nei confronti del Condominio di via (OMISSIS) di quella città, dichiarava la nullità delle Delib. condominiali 17 giugno e Delib. 15 settembre 1996 relativamente alla modifica dell’art. 5 del regolamento condominiale laddove era previsto il divieto di tenere in casa e in qualsiasi spazio comune animali di qualsiasi genere.
Secondo il primo Giudice, in considerazione della natura contrattuale della predetta disposizione che incideva su diritti dei condomini, la stessa non poteva essere modificata a maggioranza, essendo richiesta l’unanimità dei consensi.
Con sentenza dep. il 14 maggio 2004 la Corte di Bari, in riforma della decisione impugnata dal Condominio, rigettava la domanda proposta dagli attori.
Secondo i Giudici di appello il Tribunale, dopo avere correttamente ritenuto il regolamento in oggetto di natura contrattale, aveva errato laddove aveva operato la distinzione fra clausole regolamentari modificabili a maggioranza e clausole modificabili con il consenso unanime sotto il profilo della limitazione dei diritti individuali: la sentenza di appello escludeva che quello relativo alla limitazione dei diritti individuali fosse un criterio esaustivo, posto che anche la regolamentazione dell’uso delle cose comuni, per le quali è pacifica la modificabilità a maggioranza, costituisce un limite al godimento della cosa imposta ai singoli; la diversa regola di modificabilità del regolamento va determinata in base al suo contenuto.
Orbene – osservavano ancora i Giudici di appello – il divieto di tenere animali, essendo finalizzato a non arrecare disturbo alla persona, non ha carattere reale e non integra il contenuto di una servitù, dando luogo a un obbligazione personale e la stessa, avendo anche l’effetto di non consentire il passaggio degli animali attraverso le parti comuni, rientra fra quella adottabili a maggioranza.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione L. N. e P.R. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l’intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censurano la decisione gravata che era incorsa in ultrapetizione laddove aveva proceduto alla interpretazione della clausola del regolamento condominiale, quando invece con i motivi di appello era stata dedotto esclusivamente che il predetto non aveva natura contrattale. Il motivo è infondato.
Occorre premettere che con l’atto introduttivo del giudizio gli attori avevano dedotto la nullità della delibera che aveva modificato il regolamento condominiale sul rilievo che lo stesso non era modificabile a maggioranza in considerazione della sua natura contrattuale: orbene il motivo di appello, con cui il Condominio aveva censurato la decisione di primo grado che ne aveva ritenuto la natura contrattuale, aveva in sostanza investito il giudice del gravame della questione in ordine al contenuto della clausola che costituiva l’accertamento posto a base della domanda, accertamento indispensabile per la decisione della presente controversia e che quindi correttamente ha formato oggetto di esame da parte dei Giudici di appello.
Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1027, 1028, 1058 e 1138 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censurano la decisine gravata che aveva ritenuto modificabile a maggioranza la disposizione del regolamento in questione, quando la previsione de qua rientrava nell’ambito delle servitù reciproche che, ponendo vincoli di natura reale, non potevano essere modificate se non con il consenso unanime dei condomini.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata, pur avendo affermato la natura contrattuale del regolamento condominiale, ha poi ritenuto modificabile a maggioranza la disposizione che prevedeva il divieto di tenere animali negli spazi privati e comuni. Orbene, occorre considerare che le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. 13164/2001); ne consegue che tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà’ dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica: certamente, tali disposizioni esorbitano dalle attribuzioni dell’assemblea, alla quale è conferito il potere regolamentare di gestione della cosa comune, provvedendo a disciplinarne l’uso e il godimento.
Ciò posto, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva (12028/1993). La sentenza va cassata in relazione al motivo; non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.: pertanto, va rigettato l’appello proposto dal Condominio avverso la decisione di primo grado che va confermata. Le spese del giudizio di appello e quelle della presente fase vanno poste a carico del Condominio, risultato soccombente.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso rigetta il primo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto dal Condominio di (OMISSIS). Condanna il resistente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di appello che liquida in Euro 1.880,00 di cui Euro 80,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge e di quelle della presente fase che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011